La campagna elettorale nei fatti è già cominciata, e non sarà facile fermare il treno. Non credo che si potrà tirarla troppo in lungo. Al centro dell’attesa direzione Pd di domani, connesso alla questione del congresso e del segretario ci sarà il tema elezioni. Se Renzi resterà segretario difficilmente potrà accettare un lungo bagnomaria. Non è nel suo temperamento, e forse stavolta non sarebbe nemmeno nella logica.

In ballo per il Pd c’è la possibilità di capitalizzare in termini di voti quei 13 milioni e mezzo di sì e di consolidarne almeno buona parte, al netto di qualche perdita a destra e di un po’ di recupero a sinistra.  E’ anche vero che l’estrema mobilità del voto oggi non garantisce risultati a nessuno se non, a quanto pare, a chi sa interpretare meglio la protesta anti-establishment. Quindi una componente di azzardo è inevitabile. Ma vale la pena di valutarla.

I 19 milioni e mezzo di no alla riforma costituzionale sono un voto in grandissima parte sociale: non politico, non nel merito, ma diretta espressione della fatica quotidiana. Il no è andato fortissimo dove il disagio sociale è più forte: al Sud e tra i giovani.

C’è poco da analizzare: al centro del disagio, la questione del lavoro. Sul jobs act i giudizi politici divergono: secondo alcuni buona o discreta riforma, con effetti almeno parzialmente benefici sull’occupazione; secondo altri solo la fine di ogni garanzia per i lavoratori.

Difficile dire con certezza, stante una crisi quasi decennale, se l’andamento dell’occupazione sarebbe stato migliore o peggiore senza jobs act. Ma sulla diminuzione delle garanzie non ci si può raccontare balle. I più fortunati tra le/i giovani –quelli che hanno trovato un lavoro, e abbastanza in linea con la propria formazione- sono precari che mediamente attendono il rinnovo del contratto fino alle 23.59 del giorno precedente alla scadenza, e si ritrovano a convivere da non-garantiti con colleghi anziani iper-garantiti che magari di queste garanzie fanno ampio uso a spese loro. Per tutti gli altri: disoccupazione, emigrazione forzata, voucher, sottoutilizzazione, sottomansionamento, sottoremunerazione, nessun reddito minimo e quindi anche sottocittadinanza.

Perché il lavoro non è solo il pane, ma anche le rose di una cittadinanza piena (si vedano gli ultimissimi dati Istat sul rischio povertà/esclusione sociale in Italia).

Se in una situazione come questa tu carichi lo schioppo del no –no alla riforma costituzionale o, a scelta, no a qualunque altra cosa- il colpo verrà fatalmente sparato. Il 4 dicembre sarà stata anche la festa della democrazia, come si è detto con qualche retorica, ma è stata soprattutto l’occasione per una sparatoria fragorosa contro una narrazione successista che non corrisponde affatto all’esperienza quotidiana e reale di molte e molti.

Quel no maggioritario è stata una domanda esplosiva, ma non costituisce ancora una risposta, né tantomeno una risposta unitaria: non diciamo accozzaglia, che è davvero brutto, ma il fronte che ha promosso e sponsorizzato il no popolare è una macedonia eterogenea tenuta insieme soltanto dall’antirenzismo nella sua quota maggioritaria, e dalla effettiva difesa della Costituzione in una quota molto minoritaria.

Quel no gridato non è stato populista, ma popolare, che è ben altra cosa. Populista potrebbe essere semmai la risposta politica che è ancora tutta da costruire. Il mio fortissimo auspicio è che a costruirla non sia la destra xenofoba di Salvini, o un centrodestra in cui Salvini oggi avrebbe fatalmente maggior peso; e non sia nemmeno il Movimento 5 Stelle, che non dà sufficienti garanzie di democrazia interna oltre a offrire pessime performance di governo tipo Roma e Livorno, e che esulta per la vittoria di Trump. A Salvini e Grillo guardano con interesse i pre-fascisti di tutta Europa, da Marine Le Pen a Nigel Farage all’olandese Geert Wilders. Perché quel populismo, la storia insegna, è sempre l’anticamera del fascismo.

Si deve fare tutto il possibile perché la risposta alla domanda posta da quel legittimo no non arrivi da Grillo o da Salvini. E il Partito Democratico, piaccia o non piaccia, oggi è l’unico soggetto politico in grado di offrire una risposta alternativa e a poter sostenere questa importantissima sfida. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fare dell’Italia, insieme ad altre nazioni europee come l’Austria, un polo politico europeo alternativo ai populismo.

Se il Pd sceglierà il voto anticipato scopo capitalizzazione almeno parziale di quei 13 milioni e 500 mila sì, dovrà però contestualmente dare segno di una brusca e vigorosa sterzata sulla questione del lavoro e delle garanzie sociali, quanto meno introducendo al più presto efficaci correttivi contro gli abusi: la lezione del 4 dicembre è stata questa. La questione sociale dovrà tornare alta in agenda. Al netto delle rogne connesse alla legge elettorale, esistono i tempi per farlo entro febbraio?

Questo cambiamento di sensibilità sociale –o meglio, riduzione di insensibilità- dovrà accompagnarsi ed essere testimoniato dalla presentazione anticipata di una squadra che testimoni due cose: la demolizione del mito dell’uomo solo al comando, spavaldo, diffidente e provincialmente chiuso nella sua strettissima corte toscana, il famoso Giglio Magico, una sorta di auto-rottamazione in favore di una maggiore capacità di ascolto (quel Renzi “maturo”che intravediamo in occasione delle sue sconfitte) e di un team più eterogeneo; e l’ingaggio di personalità la cui storia e la cui faccia costituisca di per sé prova di questa ritrovata sensibilità.

Un Pd aperto, arioso e in dialogo anche con la sinistra extra-Pd.

In questo senso  torno ancora una volta sul modello Milano ecco che cosa si sta muovendo in questa direzione che funziona bene pur con tutti i suoi limiti, garantendo un buon governo di centrosinistra e una buona qualità di vita per il maggior numero delle cittadine e dei cittadini, numero sempre più ampio, speriamo tutti. Amiche e amici non milanesi obiettano che a Milano le cose funzionano perché qui girano più soldi; io rispondo loro che non è meno vero il contrario, e cioè che l’economia ha più chance di fiorire là dove c’è un buon governo.

Per dirla plasticamente, tanti giovani, decine di migliaia, vengono a Milano in cerca di opportunità, e a quanto vedo sono contenti di starci. Non tutti possono venire qui, ma un po’ di Milano può essere portata là dove questi giovani italiani vivono a stento ma sperano giustamente di poter restare e vivere una vita degna. Si deve pensare soprattutto a loro! E portare un po’ di Milano significa anche proporre a tutto il Paese la buona esperienza del governo di centrosinistra.

E’ con questa roba che dobbiamo fare la minestra. Magari ci piacerebbe cucinare con altri ingredienti, ma al momento non li abbiamo. 

Un ultimo pensiero sul segretario del Pd. Tutto mi si potrà dire, ma renziana proprio no: ho le mie belle medagliette antirenziane. Anche se lui in persona, con la sua audacia e quel petto in fuori da capitano di ventura, italiano com’è, non mi sta affatto antipatico. Anzi. Lo capisco, ho un carattere esplosivo come il suo. Per come la vedo io, oggi un’alternativa a Renzi non esiste. Perfino a questo Renzi azzoppato che, come dicevo, lascia intravedere qualità insospettabili rispetto al turboRenzi guascone. E non solo perché, come riconosce perfino Ferruccio De Bortoli, non esattamente un suo amico, Matteo Renzi è uno straordinario animale politico e costituisce una preziosa risorsa per il nostro Paese. Ma soprattutto perché oggi Matteo Renzi, e soprattutto il Matteo Renzi in via di maturazione, resta l’unica possibilità per un Pd che intenda mantenere la propria vocazione maggioritaria e non riprecipitare  al 20 per cento o peggio.

Sperando di aver contribuito al complesso dibattito, un caro saluto ai Sì come me e pure ai No.

p.s.: anche l’arcivescovo di Milano Angelo Scola stasera è intervenuto per sostenere il modello Milano dell’accoglienza e del lavoro per i giovani. 

 

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