Vedete, amiche e amici, che per femminilizzare la politica le quote non bastano? C’è da fare le liste, oggi a Milano, ma l’esempio milanese è buono per ragionare in generale.

Capita questo: che gli uscenti dei partiti (quasi tutti maschi) vogliono rientrare. Ci sono ottime probabilità che rientrino, disponendo ciascuno del proprio patrimonio consolidato di preferenze, e come voi sapete alle comunali c’è la preferenza unica. Quindi avete voglia a fare liste cosmetiche 50/50. I maschi uscenti rientreranno, e forse qualche rara donna in più, sempre se garantita dal partito in questione. E in genere le garantite dai partiti sono le cosiddette cooptate. Ovviamente cooptate da uomini e per i motivi più svariati (relazionali, familiari e anche, ahinoi, come abbiamo visto spesso, di questi tempi, sessuali). E quindi tenute alla fedeltà assoluta, sia all’uomo che le fa entrare, sia ai codici della politica maschile. E allora non si femminilizzerà un bel nulla, come si è già visto, anche perché la cooptata è separata dalle altre, e quindi da se stessa.

Se in politica si entrasse per concorso, ci sarebbero moltissime donne, probabilmente la maggioranza, come in magistratura e in avvocatura. Ma dove si entra per cooptazione, il risultato è sempre questo.

In ogni caso il 50 per cento di elette, stanti così le cose, ce lo possiamo sognare. E la promessa era questa: 50/50 a ogni livello, consiglio, squadra, municipalizzate, enti, eccetera. Per la giunta e il resto si può rimediare dopo: assessore, presidenti di municipalizzate ed enti possono essere pescate da fuori, non devono essere elette. E’ sufficiente la volontà politica. Ma il rischio che il consiglio sia nuovamente un club per solo uomini è molto concreto. E allora come si fa?

Io ho pensato questo: alcuni dei maschi uscenti lascino “cavallerescamente” il loro posto a una donna, e facciano convergere su di lei il loro patrimonio di preferenze. Un gesto generoso e responsabile, che significa assumere la questione dell’equa rappresentanza come una priorità politica. L’uomo in questione non dovrebbe sparire, ma restare in relazione politica stretta con la “sua” eletta, lavorare politicamente con lei (non c’è bisogno di essere eletti per fare politica), decidere insieme a lei, in un’ottica di doppio sguardo. La scelta della candidata dovrebbe avvenire per affinità: per esempio, un ambientalista dovrebbe promuovere e collaborare con una ambientalista, e così via. O anche in base ad altre affinità. Così si aggirerebbe almeno in parte il meccanismo umiliante e sterile della cooptazione: sia perché le ragioni della sostituzione sarebbero evidenti (merito, competenze, capacità di fare squadra, etc.), sia perché molte più donne si farebbero avanti spontaneamente, troverebbero la forza per dire il loro desiderio, non sapendosi certamente destinate alla sconfitta.

Oltre a garantire un effettivo numero di elette, il passo indietro di alcuni candidati garantiti che decidono di continuare a lavorare fuori dalle istituzioni ma in stretta relazione con la “loro” eletta inaugurerebbe un modello interessante, quello del doppio sguardo politico, della relazione politica di differenza, riproducibile in ogni snodo dell’amministrazione. Già capita in molti luoghi di lavoro: per esempio è sempre più frequente che direttori di giornali, parlo del mondo che io conosco meglio, scelgano una donna per il ruolo della condirezione o vicedirezione (più raramente capita anche il contrario) proprio a significare l’opportunità e la fecondità del doppio sguardo. Anche la politica se ne arrichirebbe notevolmente.

Questa è la proposta che ho abbozzato, consapevole di tutte le difficoltà, la prima delle quali è che alcuni si convincano a fare un passo indietro. Un conto è solidarizzare con le donne in piazza, altro conto è assumere il problema personalmente.

Un’altra possibilità, non praticabile per queste imminenti elezioni, è la doppia preferenza di genere: ovvero l’indicazione anche di una donna ogni volta che si esprime la preferenza elettorale per un uomo, e viceversa. Ma qui manca un aspetto che io ritengo decisivo: quello della relazione politica di differenza, che costituisce la sostanza forte ed efficace della “coppia politica”.

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