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Donne e Uomini, Femminismo, Politica, questione maschile, Senza categoria Agosto 6, 2015

Rai: il nuovo CdA è fuorilegge

Piaccia o non piaccia, che sia “figlia del Nazareno” o meno, la nomina di Monica Maggioni alla presidenza Rai è stata obbligatoria. Nel CdA c’è una sola donna contro 6 uomini, e ciò in aperta violazione di una legge dello Stato, la Golfo-Mosca, che parla di almeno un terzo delle nomine riservate a uno dei due sessi. Ovvero alle donne. In verità anche la nomina di una presidente non risolve il problema: il nuovo cda Rai resta fuorilegge, e se qualcuna avesse voglia di andare fino in fondo quasi certamente le sarebbe data ragione.

La stessa Lella Golfo, una delle due madri della legge, pur festeggiando Maggioni commenta come segue: “Dopo un CdA con una sola donna su sette membri, la nomina di Monica Maggioni è una bella boccata d’ossigeno. Ora auspichiamo che anche i due membri restanti del Consiglio di Amministrazione siano donne. Nel 2012 la Rai anticipò le previsioni della mia legge sulle quote di genere, un passo indietro adesso sarebbe grave e inspiegabile”.

Ma il fatto importante è questo: qualcuna oggi avrebbe voglia di andare fino in fondo? di ingaggiare una lotta per far rispettare la legge?

Molte e molti fanno l’elenco delle ministre, delle parlamentari, delle sindache, delle presidenti, delle ad, delle consigliere di amministrazione che abbiamo (finalmente) visto in opera negli ultimi mesi o anche anni. Il loro essere donna ha cambiato qualcosa? si sono viste significative differenze, nello stile e nelle agende? abbiamo percepito, nelle nostre vite, che le cose vanno meglio?

Francamente no: ne abbiamo parlato tanto. E va attentamente considerato il fatto che siamo davvero in poche a porci il problema del CdA Rai. Abbiamo visto troppe cooptate, troppe segnaposto, troppe amiche e parenti messe lì in-nome-di. In qualche raro caso anche in nome delle donne, e ne abbiamo perso subito le tracce.

L’obiettivo del 50/50 va perciò abbandonato? Credo di no, perché rapidamente e inerzialmente ritorneremmo al 90/10, se andasse bene (meglio allora un lampante 100/0, ma sono astuti, non ce lo daranno mai!). Credo che si debba essere consapevoli del fatto che le azioni positive sono uno strumento grossolano, un grimaldello, un rimedio d’emergenza. E che il lavoro da fare è ben altro. Ma un passo indietro non agevolerebbe. Togliere le castagne dal fuoco ai nostri campioni della questione maschile non avrebbe senso. Tornare a rivedere il for men only (o, in molte situazioni, continuare a subirlo) potrebbe solo indebolirci.

Propongo quindi una tenuta critica sull’obiettivo della pari rappresentanza senza smettere di domandarci come fare funzionare ciò che non funziona, e in particolare come riuscire a fare agire la differenza femminile là dove, significativamente, non è prevista.

 

Donne e Uomini, Femminismo, Politica, questione maschile Maggio 29, 2015

Quote “rosa”: ci siamo sbagliate. Serve altro per cambiare la politica. Il sasso lanciato da Flavia Perina

(vignetta di Gianfalco)

 

Ha picchiato duro la mia amica Flavia Perina, giornalista (ha diretto “Il Secolo d’Italia” e condiretto AdnKronos) ed ex-deputata.

Con un aspro fondo su Il Fatto Quotidiano (Scusate, sulle quote rosa ci siamo sbagliati), si è definitivamente congedata dalla politica delle quote, all’apparenza molto successful: mai tante donne nel governo nazionale e nelle giunte locali, un 40 per cento medio di candidature femminili nelle liste per  le imminenti amministrative. Insieme a tante altre, me compresa -ci ho scritto pure un libro- Flavia ha creduto in quest’azione positiva, ha lottato per quella “massa critica” di donne che avrebbe dovuto finalmente cambiare la politica.

Nel suo fondo ride amaro su quella candidata “che ai gazebo regala pacchi di pasta da mezzo chilo con la sua fotografia sopra“. Su Adelina Putin (Fratelli d’Italia, Veneto) “che fa i volantini con su scritto: finalmente puoi votare Putin“. Sull’ex-centrodestra oggi candidata in Puglia con Michele Emiliano che “strizza l’occhio agli elettori da un manifesto che dice: Alla Regione provaci con una donna“. E sulla veneta che “va oltre con un temerario: In Regione, donne senza gonne“. C’è anche la candidata-nazione: “la mitica salumiera Adelina Cerrone, candidata al Comune di Eboli insieme con un sindaco di destra ma anche alla Regione Campania in una lista che sostiene la sinistra (e assolutamente convinta che sia normale)“.

E conclude: viene spontaneo fare il mea culpa per aver sostenuto le quote rosa con infiniti bla bla bla sulle pari opportunità e la promozione delle donne in politica come fattore di rinnovamento. Perché se lo standard è questo -pacchi di pasta e sissignore al leader- le signore sembrano in grado di competere perfettamente alla pari con i signori, senza bisogno di aiutini speciali, e pure con la marcia in più del potersi sfilare la gonna: una cosa che da noi funziona sempre“.

La questione si propone anche ai piani alti” dice Perina. “In Veneto e in Liguria, per esempio: ci sono due candidate presidenti che se la giocano al top. E poi nel suo videospot “dobbiamo guidare il Veneto” Ale Moretti si accomoda diligentemente in auto dalla parte del passeggero, e la guida la lascia a Matteo Renzi. Chi sta guidando, allora? Una cosa inimmaginabile nel caso di Ada Colau, la nuova sindaca di Barcellona, e per quella di Madrid. O per Merkel, per la leader scozzese Nicola Sturgeon, per Marine Le Pen… Ho lottato molto per le quote: i risultati sono questi? Dov’è la discontinuità con le prassi correnti?”

Ma anche nei Paesi che tu menzioni sono state applicate azioni positive: forse Colau non ci sarebbe senza la forzatura del 50/50 di Zapatero. Quasi ovunque è stato necessario passare dalle quote. Certo, con risultati meno deprimenti.

L’Italia negli ultimi vent’anni ha fatto tali passi indietro che perfino uno strumento a favore delle donne diventa un boomerang, si traduce in “provaci con una donna”. Una specie di eterogenesi dei fini. E poi è chiaro che finché le donne le sceglieranno gli uomini le cose andranno così. Non candidano certo Sturgeon, non vogliono tra i piedi donne assertive, indipendenti e che possano fare loro ombra“.

Rompicoglioni.

“Esatto. Rompicoglioni che cambino il linguaggio, i codici, le agende della politica”.

Sono d’accordo con te: è arrivato il momento di tirare qualche somma. Ma più che sulle idiozie da campagna elettorale terrei lo sguardo su un fatto (ne ho scritto qui e pure qui): la situazione delle donne italiane è molto difficile su tutti i fronti, dall’occupazione ail welfare ai diritti, proprio nel momento del governo più femminile di sempre.

“Il punto è che nelle istituzioni sono entrate quasi esclusivamente donne che non hanno mai creduto nelle battaglie del femminismo: il rettore della Sapienza che entra a far parte della giuria di Miss Università, una cosa assurda. Ma non ho visto commenti di deputate o ministre. Solo tre o cinque anni fa sarebbe saltato il banco. E’ anche il portato del rinnovamento generazionale: cosa buona e giusta, ma al principio estetico -per le donne il tema bella presenza è inaggirabile e onnipervasivo- ha tagliato fuori un’intera generazione di donne magari meno appealing per ragioni di età, ma preparate e assertive. Che per esempio sul tema dell’occupazione femminile avrebbero voluto e saputo combattere”.

Quindi? Che fare?

Si deve ammettere che questo modello non va. Fare autocritica. Negli Stati Uniti vedremo probabilmente due donne sfidarsi in campo democratico, e forse alle presidenziali. Qui siamo a questo punto”.

Non diresti piuttosto: abbiamo visto che le quote non bastano? Di qui dobbiamo partire per andare oltre? Dobbiamo lavorarci sopra? Perché poi la politica maschile non vede l’ora di sbarazzarsi anche di questo minimo vitale… Ci sono ancora giunte monosex, in giro.

“Non so. Quello che è certo, le quote non sono state un fattore di rinnovamento della politica e di progresso per la cittadinanza femminile”.

Poi c’è da capire come può fare una ad entrare in politica se non per cooptazione, parentela o supplenza di mariti, padri o fratelli incandidabili.

“In Italia mancano modelli riproducibili. L’autocandidatura è possibile solo se sei già forte sul tuo territorio, se hai già alle spalle un consenso coltivato per decenni. La bassa qualità delle elette dipende anche dal fatto che le donne di valore, consapevoli dei meccanismi di selezione, non perdono tempo con la politica e preferiscono investire il loro patrimonio di talento in altro”.

Forse il modello potrebbe essere questo: una donna che si fa avanti da sé con le sue ambizioni di governo e in forza della sua differenza femminile, con il sostegno di un’ampia rete di donne.

Ci vorrebbe una donna forte e assertiva, che vuole governare, capace di attivare sentimenti profondi nelle altre, di contrastare scetticismi e sfiducia e di aprire la strada. Davvero credo sia l’unica possibilità. In ogni caso resto convinta che si debba uscire dal modello normalizzante delle quote, in cui il tuo essere donna diventa funzionale al potere maschile. Le quote sono state solo la normalizzazione di un problema aperto. Che resta aperto, perché non si è risolto niente”.

Femminismo, Politica Maggio 15, 2015

La donna-carota, il femminismo di Stato, e quella cessa di Valeria Fedeli

La Donna Carota di Luigi Serafini, opera esposta a Expo, padiglione Eataly

Nessuna si arrabbi, per favore, per il titolo -la pazienza di leggere e spiego-. E nemmeno per l’orrore della Donna Carota, opera di Luigi Serafini esposta nel padiglione Eataly di Expo, e senza che nessuna faccia un plissé: salma carotizzata con allusive carote in mano. Ortopornonecrofilia.

In questo tempo del 50/50 (al governo, nei cda, dappertutto) per cui si è tanto combattuto, le donne di questo Paese NON stanno meglio. Un quid di femminismo è diventato quasi obbligatorio per ogni perfetta moglie borghese, come il filo di perle e la petite robe noir. Parità cosmetica che copre una situazione alquanto difficile.

Occupazione ai minimi, gap salariale in aumento, dimissioni in bianco ancora attive: problemi significati dalla natalità a picco, perché quando le donne non lavorano non nascono bambini. Welfare e servizi ancora al grado zero, la gigantesca fatica del quotidiano ancora tutta sulle spalle delle donne. Le legge 194 non funziona più causa colossale obiezione di coscienza e le donne sono costrette a migrare da una regione all’altra per un’interruzione di gravidanza o a comprarsi abortivi online rischiando la pelle. La legge 40 sulla fecondazione assistita -meglio, ciò che ne resta: ieri una sentenza ha dato l’ennesimo colpo, abolendo il divieto di accesso per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche- attende invano l’ennesimo vaglio del Parlamento. Quanto ai cosiddetti diritti o temi eticamente sensibili (dalle coppie di fatto al fine vita), fermo assoluto. Il rischio che il Partito Democratico sostenesse una legge di regolarizzazione della prostituzione (con tanto di tesserino di idoneità: qui ne abbiamo parlato a lungo) sembra sventato: in sintonia con il resto d’Europa si vira in senso quasi-abolizionista, il cambio di rotta è solo di pochi giorni fa, e sono state necessarie molte lotte. Abbiamo avuto l’amarezza di una consigliera di Parità del Governo a favore delle zone a luci rosse, nonché firmataria di un piano antiviolenza molto carente che, contro la Convenzione di Istanbul, marginalizza le Case delle Donne in prima linea da trent’anni, e non sembra voler assumere le metodologie maturate in queste fondamentali esperienze, burocratizzando, sanitarizzando e securitarizzando l’aiuto alle vittime di violenza, approccio fallimentare. Sembra proprio che la parità faccia fuori la differenza femminile.

Si sta a difendere i minimi. E, detto per inciso: qui c’è un intero programma politico per chi volesse assumerlo.

La parola d’ordine ideologica dello pseudo-femminismo paritario, sentita più volte con le mie orecchie, è “far fuori il vecchio femminismo”: ma a quanto pare senza “il vecchio femminismo” 1. le giovani emancipate oggi non sarebbero lì a occupare quelle posizioni  2. pur con il “nuovo femminismo” le donne di questo Paese stanno peggio, è un fatto.

Vengo alla seconda parte del ragionamento: c’è una perniciosa tendenza femminile a permanere nel lamento e nell’elencazione dei problemi -quella di vittima resta un’identità, per quanto ambigua- con una specie di idiosincrasia per le soluzioni. Per esempio, qui abbiamo più volte raccontato come si potrebbe garantire sia il funzionamento della legge 194, sia il diritto all’obiezione di coscienza che, piaccia o non piaccia, non può essere negato: ecco la proposta. Ma nessuna associazione, nessun collettivo, nessuna del movimento ha inteso finora farsene carico.

C’è anche di peggio: un’analfabetizzazione preoccupante che chiede si corra ai ripari.

Ieri, sulla pagina Facebook di una sindacalista legata al femminismo è comparsa una fotografia di Valeria Fedeli, a sua volta ex-leader sindacale e attuale vicepresidente del Senato. La foto è impietosa: occhiaie, gonfiori, una normale over sixty affaticata dal superlavoro e male illuminata dal flash. La sindacalista ce l’ha politicamente con Fedeli: legittimissimo, anch’io sono arrabbiata con Valeria per alcune cose. Ma per colpirla non usa argomenti politici come dovrebbe, regredendo a una misoginia pre-politica invidiosa, e quindi umiliando anche se stessa: ti indebolisco parlando del tuo aspetto fisico e della tua non-desiderabilità (e non mi accorgo che nel contempo indebolisco anche me).

Io sarò una cessa” scrive la tipa. “Ma poi mi guardo in giro e mi trovo persino bella!”. Segue una marea di commenti di donne, in uno stupefacente crescendo misogino. “Le hanno oscurato gli specchi”. “Se la mia nipotina fa i capricci le dico… guarda che chiamo la Fedeli!”. “Quella è un mocio vileda”. “E’ brutta quanto arrivista e presuntuosa”. “Ma chi è? Fa parte della famiglia Addams?”. “E’ un clown truccato male”.

La cosa mi fa pensare agli avversari politici -maschi- di Hillary Clinton, candidata alla presidenza degli Stati Uniti, quando cercano di renderla insicura stringendo l’obiettivo sulle sue rughe. Serve ben altro per tagliare le gambe alla ragazza. Idem per Valeria Fedeli, per come la conosco.
Ma una riflessione sullo stato delle cose è molto urgente.

 

 

Donne e Uomini, Politica, tv Aprile 24, 2015

Hillary & Claire. Ma anche tutte noi

Fiction e realtà: Claire Underwood (first lady in “House of Cards”) e Hillary Clinton, candidata alle Presidenziali Usa 2016

Ormai posso dirlo senza spoilerare: mollando quel mostro del marito Francis giusto nel pieno della sua campagna per la rielezione alla Presidenza Usa, Claire Underwood è stata tutte noi.Ti lascio” ( “I’m not going to New Hampshire. I’m leaving you”). Il terrore di lui: senza Claire è politicamente e umanamente dimezzato. Lo charme overcontrolled di lei che esce dalla Casa Bianca con valigia.

Il momentaccio è personale: Claire non può più nascondersi il fallimento del suo matrimonio, l’immoralità assoluta del marito, la sua sostanziale inconsistenza:Sei tu che non sei abbastanza. Ma soprattutto politico: accompagnando Mr President nella campagna in giro per gli States, la First Lady ha avuto modo di misurare il proprio appeal sugli elettori e il proprio potenziale. Ancora una volta, non sto spoilerando: non so niente della quarta stagione di “House of Cards”, in onda solo nel febbraio 2016. Ma le premesse per uno scambio di posizioni, Claire in prima linea e Frank “first husband” o suo addirittura suo competitor, ci sono tutte.

La questione spinge fin dall’era Clinton: che Mr President fosse Mrs President era quasi luogo comune. Hillary ambiziosissima ma realista: i tempi non erano maturi per una donna alla Casa Bianca, e se non posso andarci io, vacci tu. Lesson number one per le ambiziose: assicurarsi di non andare a sbattere, mai prestarsi a fare carne da macello. Ma la quarta stagione di “House of Cards” potrebbe fare da coro-fiction alla realtà della più alta sfida mai lanciata da una donna al potere temporale: una signora nella Stanza Ovale. Più di così solo il Soglio petrino. I tempi sono maturati (sportivamente Frank Underwood si è congratulato via Twitter con Hillary, precisando tuttavia che tanto vincerà lui).

I tempi sono maturissimi, come dimostra plasticamente l’immagine qui sopra, dibattito in tv in Gran Bretagna: spaesamento assoluto del laburista Ed Milliband di fronte all’inaspettato abbraccio che lo taglia fuori tra tre donne leader dell’opposizione, Natalie Bennett dei Verdi, Nicola Sturgeon del Snp, Leanne Wood del Plaid Cymru. Stesso sguardo del presidente Underwood mentre Claire lo molla.

E ce n’è anche per noi, amiche. La battaglia per un’equa rappresentanza (ci ho scritto un libro, me ne intendo) è stata vinta con il 50/50 della giunta di Milano -quasi tutto comincia politicamente a Milano- e quindi del governo nazionale. Fase 1 completata: anche se in moltissime situazioni siamo ancora all’anno zero e non ci si deve distrarre un attimo. La fase 2 è ben altro, e comporta una battaglia dentro-e-fuori, e quell’abbraccio la illustra benissimo.

Si tratta, in poche parole, di aspirare a governare le cose del mondo non nonostante che siamo donne, ma proprio per il fatto di esserlo. Di districare questa aspirazione dalle logiche del potere maschile e dai rapporti di forza. Di stabilire nuove priorità e quindi nuove agende politiche. Di liberarsi da ogni zelo e da ogni travestitismo. Di non cancellare, ma anzi di dare visibilità alla propria differenza in qualunque posizione di responsabilità, realizzandola pienamente in quelle posizioni, quando si desidera occuparle. Di condurre fino in fondo la critica alla rappresentanza. Di sperimentare e consolidare un nuovo linguaggio politico, nuovi strumenti, nuove figure, nuove forme e nuovi paradigmi. Di pensare all’autorità femminile come pratica di governo.

Ottima lettura propedeutica: “Sovrane” di Annarosa Buttarelli (Il Saggiatore). Qui potete vedere di che cosa si tratta.

 

 

Donne e Uomini, Femminismo, Politica Maggio 28, 2014

Impariamo a dirci: brava!

Grazie ragazze!

Simona Bonafè, capolista Pd nella circoscrizione centro, è stata la più votata fra tutt* i candidat* alle elezioni europee. Che Mr Preferenze sia una Miss Preferenze costituisce una prima assoluta nel nostro Paese. Una notizia -tra i molti commenti di questi giorni- non sufficientemente analizzata, insieme al fatto che, grazie al grande numero di elette soprattutto nel Pd e nel M5S, il drappello femminile a Strasburgo raddoppia (da 17 a 30) e costituisce quasi il 50 per cento della delegazione italiana.

L’azione positiva (su 3 preferenze non più di 2 allo stesso sesso) ha funzionato, ma è stata decisiva anche la volontà politica di scommettere sulle donne, collocandole in posizioni di eleggibilità. Volontà espressa, nel caso del Pd, dal segretario Renzi e dalla direzione del partito; nel caso del M5S, dalle scelte dirette della rete.

Per le madri e le sorelle maggiori delle neo-elette, in gran parte 30-40enni, vedere tutte queste ragazze o quasi nel governo e nei parlamenti è ragione di stupore e perfino di commozione: un risultato quasi impensabile solo fino a poco tempo fa, quando le politiche del Grande Nord e il governo 50/5o del “cugino” Zapatero ci apparivano come miraggi lontani (da noi nel frattempo le donne non dovevano “scassare la minchia”: onorevole Pippo Gianni, al tempo Udc).

Diciamo “brave” a queste giovani donne, e diciamo brave anche a tutte noi che abbiamo lottato in modo furente, ciascuna con i propri mezzi (personalmente sulla faccenda ho scritto addirittura due libri, oltre a scannarmi su questo blog, e a proporre lo slogan “doppio sguardo”) per portare a casa il risultato. E ammiriamo questa nuova generazione di uomini per i quali, a differenza dei loro padri e fratelli maggiori, è ormai impensabile lavorare politicamente tra soli maschi: il “for men only” va bene giusto per il calcetto.

Grande parte del rinnovamento per cui tutte e tutti spingiamo è rappresentato e garantito dalla impetuosa femminilizzazione della nostra politica. Fase 1 completata (ma mai smettere di vigilare!).

Ora si tratta che, insieme a loro stesse, queste donne sappiano portare in politica anche la propria differenza, il proprio linguaggio, il proprio sguardo, la sapienza femminile sulle cose del mondo. Che facendo rete tra loro -fatti salvi le differenze e gli inevitabili conflitti- riescano a cambiare modi, tempi e agende della politica (primum vivere) perché è di questo che c’è un grande bisogno. E che pratichino il sentimento nutriente della gratitudine nei confronti della genealogia di donne “lottatrici” che hanno alle spalle.

Care amiche: riconoscere i propri successi non è meno importante che riconoscere i propri errori. E ci dà grande forza, perché è la dimostrazione del fatto che lottare serve.

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Marzo 10, 2014

#Italicum: 40 posti alle donne, 60 agli uomini? Ma la Costituzione dice altro

Le deputate “ribelli” del Pdl

Al momento non si è trovato alcun accordo (il Pdl non ne vuole sentire parlare, nonostante la mobilitazione di molte sue parlamentari). Ma se alla fine si trovasse, la questione della cosiddetta “parità di genere” come avevamo anticipato potrebbe risolversi con una mediazione. La mediazione dovrebbe essere questa: 40/60 anziché 50/50. Quindi una “quota”, anziché il riconoscimento del principio della pari rappresentanza. Alle donne spetterebbe in questo caso il 40 per cento dei capilista e (forse) il 40 per cento delle posizioni in lista (non è affatto chiaro).

Anche in questo caso, tuttavia, se si richiedesse il voto segreto quasi certamente l’emendamento cadrebbe sotto il fuoco dei franchi tiratori bipartisan.

Ma facciamo l’ipotesi più ottimistica: voto palese e approvazione del 40/60. La formulazione dell’emendamento, com’è evidente, non sarebbe certamente “alle donne andrà il 40 per cento e agli uomini il 60”. Probabilmente si scriverebbe qualcosa tipo: “a nessun genere si potrà attribuire più del 60 per cento dei capilista (e delle candidature in lista)”. Ma la sostanza resta quella. E nonostante la foglia di fico di una formulazione sessualmente corretta, la sostanza sarebbe una legge dello Stato (e una legge molto importante) che sancisce un principio a una prima lettura incostituzionale.

La Costituzione infatti al riguardo è molto chiara. L’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E all’art. 51 si legge: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Se sarà 40/60 –sempre che si trovi un accordo in questo senso, sempre che l’accordo venga votato in modo palese, con qualche chance di passare, sempre che si indichino sanzioni, tipo la non ammissibilità delle liste là dove il principio fosse violato, altrimenti sarebbe inutile- un ricorso per anticostituzionalità non può essere escluso.

C’è anche la possibilità di un veto per incostituzionalità da parte del Presidente della Repubblica: ma a giudicare dal suo discorso dell’8 marzo, che ha evitato l’argomento Italicum, un intervento presidenziale appare improbabile.

In sostanza, c’è ancora tanto, tantissimo lavoro da fare. Vediamo oggi come va.

Qui il video realizzato dalla Rete delle Reti: Dovete Ascoltare!

Aggiornamento ore 21: come previsto, tutti gli emendamenti bocciati con voto segreto. Franchi tiratori anche nel Pd

Donne e Uomini, italia, Politica, questione maschile Marzo 6, 2014

Una legge francese contro la “questione maschile”. Proviamoci anche noi

 

In corso in queste ore alla Camera la battaglia sul 50/50 nelle liste elettorali. Le deputate hanno formato un fronte bipartisan per ottenere l’alternanza uomo-donna e il 50 per cento dei capilista, con la solidarietà della presidente Laura Boldrini.

L’attuale testo dell’Italicum prevede l’alternanza due-uno, e secondo le simulazioni provocherebbe infatti una diminuzione delle elette. Parte degli emendamenti proposti sono stati accantonati, altri attendono di essere esaminati. Non si sa se entro stasera o la prossima settimana: il dibattito proseguirà fino a mezzanotte per essere ripreso lunedì, con slittamento del voto finale. Né si sa se il voto sarà palese oppure, su richiesta di un numero congruo di deputati, segreto. In quest’ultimo caso gli emendamenti verrebbero certamente respinti con una mitragliata maschile bipartisan. Ma anche il voto palese non costituirebbe una tutela: Forza Italia, nonostante la mobilitazione di molte parlamentari di questo schieramento, difende l’attuale testo.

Potrebbe essere, insomma, un 8 marzo molto amaro.

Nel frattempo in Francia le cose sembrano andare meglio. In dirittura d’arrivo un’articolata legge di parità, una sorta di legge-quadro che prende di petto e complessivamente la “questione maschile”, proponendo per macro-aree tematiche (politica, lavoro, famiglia, violenza, autodeterminazione) dispositivi per un’effettiva applicazione delle normative già vigenti: spesso infatti le leggi esistono, ma vengono aggirate o restano inapplicate, come nel caso della nostra 194, affossata da una ponderosa obiezione di coscienza. Ma nella proposta francese ci sono anche novità legislative.

Affrontare la questione maschile, tutta insieme, e non un pezzetto alla volta: questa la novità dell’impostazione. “Poiché le disuguaglianze sono presenti ovunque” spiegano gli estensori della proposta “dobbiamo agire ovunque”.

Si parla per esempio di riforma dei congedi parentali, con relative sanzioni. Di meccanismi penalizzanti per le aziende con board ostinatamente monosex. Di semplificare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Di una giustizia più efficace e rapida contro la violenza sessista. E anche di liste elettorali che garantiscano, pena la non ammissibilità, un’effettiva equa rappresentanza (tutta la legge la trovate qui).

Ispirandosi al modello francese, calibrato e adattato alla situazione italiana (qui stiamo certamente peggio delle francesi), i deputati Michela Marzano e Pippo Civati hanno pensato di lavorare a uno schema simile, avvalendosi del contributo di chiunque abbia indicazioni e suggerimenti.

Anch’io intendo dare una mano alla redazione di questa proposta. E dicendo “io” mi riferisco anche alle lettrici e ai lettori di questo blog.

Una legge che nasce dall’esperienza e dalle riflessioni del maggior numero di donne e di uomini nasce più forte e radicata, scritta nella coscienza collettiva prima ancora che nei codici.

Vi invito quindi a leggere attentamente la proposta francese e a far pervenire qui le vostre osservazioni.

(per chi legge agevolmente in francese, ecco il testo integrale).

p.s. Questo post accetterà solo commenti che contribuiscono alla costruzione della proposta.

 

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Febbraio 8, 2014

Italicum: voto segreto contro il 50/50. Vigilare!

Un selfie per la campagna di Se Non Ora Quando Factory: "Se non è paritaria, non è democrazia".

Un selfie per la campagna di Se Non Ora Quando Factory: “Se non è paritaria, non è democrazia”

Martedì 11 comincia alla Camera l’esame degli emendamenti sulla legge elettorale. Tra gli emendamenti, quelli che riguardano la democrazia paritaria e la rappresentanza di genere.

Al momento il testo contiene una norma “farlocca” sul 50/50, di pura facciata, che certamente non garantirebbe il 50 per cento delle elette. Se la legge restasse com’è, dall’attuale 30 per cento si potrebbe retrocedere al 20-25, le solite quote da ultimi posti nelle classifiche del Gender Gap. In Tunisia, dove la legge è simile e i capilista erano tutti uomini, le donne sono il 26 per cento. Se invece passasse uno solo dei due emendamenti fondamentali la situazione resterebbe invariata: 30/31 per cento. Se passassero entrambi si arriverebbe al 40 per cento.

Pochi avrebbero il coraggio di respingere a viso aperto gli emendamenti trasversali -e anche quelli presentati singolarmente- che chiedono l’alternanza uno-a-una (e non due-a-una) e prevedono il 50 per cento dei capilista, pena la decadenza delle liste. La cosa più facile, come è già capitato più volte nel nostro Paese supermacho -quando, per esempio, la ministra Prestigiacomo si vide bocciare una proposta di riequilibrio della rappresentanza, ma anche più recentemente, in Regione Sicilia–  è la sparatoria a voto segreto.

Purtroppo i regolamenti prevedono questa possibilità: oltre che per le questioni di coscienza, si può richiedere voto segreto anche sulla legge elettorale. Bastano 30 firme di parlamentari.

Pia Locatelli, parlamentare socialista eletta nelle liste di coalizione del centrosinistra, dice che il clima è tutt’altro che propizio. L’entusiasmo trasversale dell’inizio, che aveva visto parlamentari di varie parti politiche muoversi all’unisono sulla questione, sembra in fase calante.

“Alcune, anche nel Pd, hanno ritirato il piede dall’acceleratore” spiega Locatelli. “Dicono che non si può rischiare di far saltare l’accordo proprio su questi temi”.

Perché? Sono forse temi di poco conto?

“Per me l’appartenenza al genere viene prima dell’appartenenza di partito. Ma mi ci sono voluti 40 anni per arrivarci. Altre privilegiano la fedeltà alla squadra e ai capicorrente”.

Ha sentito qualcuno esprimere l’intenzione di chiedere il voto segreto?

“No. Ed è proprio questo silenzio a preoccuparmi. Se la questione non viene affrontata a viso aperto, vuole dire che le cose si stanno muovendo nell’ombra”.

Chi potrebbe metterci la faccia e chiedere il voto segreto?

“Per esempio qualche parlamentare della Lega: è il gruppo più maschile. Ma forse anche qualcuno fra i 5 Stelle: ho sentito Alessandro Di Battista esprimersi contro le azioni positive che servirebbero, a suo dire, solo per fare eleggere mogli, amiche e parenti”.

E il Pd?

“Mi sentirei di escludere che parlamentari Pd possano firmare per il voto segreto. Ma non che, al riparo da occhi indiscreti, possano contribuire ad affossare gli emendamenti. La mano sul fuoco non ce la metto. Una donna in più è un uomo in meno: vale anche per il Pd“.

 

per partecipare alla campagna di Se Non Ora Quando

-qui l’appello– mandate anche voi a

iocisono.demoparitaria@gmail.com

una foto con la scritta: 50/50. Se non è paritaria, non è democrazia)

Donne e Uomini, Politica, pubblicità Ottobre 17, 2013

Donne “normali” e donne vere

 

La Giunta di Milano ha recentemente stilato una delibera sugli “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatorie e lesive della dignità della donna”. Tutto bene. Se non che il punto 2 di detta delibera risulta grottescamente discriminatorio e lesivo della dignità della donna, là dove stigmatizza “le immagini… devianti da quello che la Comunità percepisce come normale, tali da ledere la sensibilità del pubblico“.

Scrivo subito all’amica consigliera Anita Sonego, chiedendole se a suo parere la Comunità riuscirà a tollerare l’immagine di una donna che si è strappata il grembiulino (a Milano, scusàr), filo di perle e bigodini, tipo signora del dado Star sull’orlo una crisi di nervi. La povera Anita Sonego, che in verità molto si dà da fare con i suoi Tavoli delle donne ed è oltretutto lesbica dichiarata, in realtà non c’entra nulla, perché il testo è stato redatto dalla Giunta. Mi risponde che su quel passaggio aveva espresso il suo dissenso, e forse ha sbagliato, forse avrebbe dovuto aprire un franco conflitto. In questi giorni circola una lettera aperta indirizzata a Sindaco, Giunta, delegata alle Pari Opportunità e Presidente della commissione Pari Opportunità e sottoscritta da Adriana Nannicini, Antonella Coccia e altre, che chiede lo stralcio del punto 2 della delibera. Probabilmente lo otterrà -non vedo perché no- e il caso sarà chiuso.

Non si chiude invece il caso di una giunta per metà femminile -grazie alla lotta strenua di tutte, me compresa- che sembra dimostrare che il quantum non fa il qualis. A parte la bestiata della normalità, concetto complesso e ambiguo da maneggiarsi con cautela (chissà a chi è venuta in mente… ma una brutta giornata può capitare a tutte, del resto è capitata anche a Guido Barilla), restano le aspettative deluse di un cambio di civiltà politica che non stiamo vedendo. Se una politica più femminile significa cura, primum vivere, attenzione alle relazioni vive e vicinanza ai contesti, e anche capacità di sostenere un conflitto con le regole di una politica che, non va dimenticato, così com’è è stata pensata dagli uomini, ecco, di tutto questo non stiamo vedendo granché (benché a Milano, città di primissime emancipate, troppo normali non lo siamo mai state: vedere qui).

E non è questione di crisi, di leggi di stabilità e di bilanci in rosso.

 

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, economics, Politica Gennaio 26, 2013

Alessandra Bocchetti: Per vanto, per tigna, per orgoglio

 

Con grande piacere ospito questo intervento di Alessandra Bocchetti, e la ringrazio.

 

“E’ ricominciato il teatro della politica. Chi vince, chi perde, chi ha la battuta più pronta, chi ha la lingua più sciolta, chi è più furbo, più abile, più spiritoso. Uno spasso oppure la disperazione.

Pochi giorni fa in una delle mie tardive incursioni al mercato, quando già tutti stanno sul piede di partenza e le cassette ormai tutte impilate, ho visto un dignitoso signore che tra gli scarti a terra di frutta e verdura, raccoglieva quello che ancora era possibile raccogliere. Raccoglieva con eleganza come fosse in un orto o in un giardino e non sul pavimento sporco e fradicio del mercato all’ora di chiusura. Per me non è stata solo pena, ma un brusco viaggio nel tempo a  quando i miei figli erano piccoli e, alla vista di qualcuno che chiedeva l’elemosina, mi chiedevano, chi era, perché… Spiegare la miseria è stata per me, giovane madre, uno dei compiti più difficili. La miseria è difficile da spiegare perché fa tanta vergogna. Fa vergognare perché è colpa di tutti.

Viviamo in un tempo in cui è difficile raccontare la miseria. Tutte le mattine invece ci aspettano gli annunci: il paese è più povero, siamo tutti più poveri. Ci informano che i consumi calano, non si vendono più automobili, si viaggia di meno, i saldi sono un flop! Non possiamo più consumare allegramente, ce lo dicono i numeri, le statistiche, i bilanci. L’annuncio più spaventoso è quando ti comunicano che gli investitori fuggono. Così la nostra immaginazione si popola di figure misteriose: gli investitori che fuggono, lo spread che si alza e si abbassa, il debito pro capite che ogni bambino che nasce, creatura innocente, trova già pronto al suo arrivo. Poi ci sono i moniti della Bce, se non della Banca Mondiale o di Draghi in persona, il cui solo nome porta con se  visioni poco serene. In verità poche persone sanno quello che sta succedendo, questi sono gli esperti e i tecnici, lontani mille miglia da tutti noi. Tra di noi c’è chi un po’ si districa, c’è chi un po’ fa finta di capirci, la maggioranza si arrende e si affida. Questo affidamento è la cosa più pericolosa, perché così non si è più veramente cittadini anche se ti sembra.

Chi ci può salvare da un destino così misero è chi è capace ancora di raccontare la miseria fuori dai numeri. Chi è capace di ricordarci che il destinatario della miseria è sempre un corpo umano e chi considera tra i “beni comuni” anche tutti noi, giovani, vecchi, donne e bambini, tutti insieme, tutti in carne ed ossa.

Al mattino alla radio ascolto spesso “Prima pagina” un programma dove un giornalista commenta le principali notizie dei quotidiani e poi dialoga con coloro che chiamano per telefono per parlare delle loro personali esperienze. Lì si possono ascoltare i racconti, che sono spesso crudi e terribili, ma mai misteriosi. Pochi giorni fa una donna raccontava che per via dell’eliminazione del servizio di un pulmino garantito dal  comune del suo paese, non avrebbe potuto più permettersi di fare la dialisi tre volte a settimana e che quindi aspettava di morire. Un’altra donna raccontava che suo figlio non aveva più l’insegnante di appoggio, perché il budget della scuola non poteva più garantirlo. Quella donna temeva per suo figlio un destino crudele in un mondo crudele. Il suo amore, raccontava con dignità, non sarebbe bastato a proteggerlo. Un’altra donna confessava con stupore  di come il suo affetto per i due genitori ormai disabili  stesse mutando a poco a poco nel suo cuore in un inaspettato risentimento.  E’ un effetto della stanchezza, diceva quasi vergognandosi, perché non riceveva più alcun aiuto.

Con questi racconti ecco che l’economia si materializza, così i tagli alle scuole, alla sanità si fanno vedere per quello che combinano e scombinano, per quello che hanno a che fare con i destini delle persone.

Le storie sono tante, diverse, ma hanno sempre una cosa in comune: è sempre una voce di donna che racconta. Le donne sono capaci di raccontare e di svelarci cosa i numeri non fanno vedere.

Perché è soprattutto su di loro che si abbatte la crisi, questa come tutte le crisi della storia, come le guerre, le carestie, le epidemie. Sono sempre state le donne a pagare i prezzi più alti. Camus, ritirando il premio Nobel, dichiarò che gli esseri umani sono divisi  tra coloro che fanno la storia e coloro che la subiscono. E che lui si sarebbe sempre schierato con questi ultimi. Tra questi ultimi ci sono le donne. Non ce ne dobbiamo vergognare. E’ proprio per questo che sappiamo raccontare gioie e dolori meglio degli altri. Ancora a noi, per ora, appartiene la modestia del racconto, quello che non si fa con la penna, ma con la voce. Siamo capaci anche noi di farne arte, certo, ma per la politica sono più importanti i racconti  senza pretese.

Questa volta, speriamo, tante donne entreranno in Parlamento. C’è addirittura chi parla di una vera rivoluzione. Anche io ho lavorato tanto perché questo succeda, quindi ne sarò molto contenta. E’ un primo importante passo, ma non è questa la rivoluzione delle donne, sia chiaro. La vera rivoluzione sarà se le donne saranno capaci di parlare con la propria voce, quella della loro storia, quella appunto che sa raccontare. Rivoluzione sarà, se non se ne dimenticheranno, se non se ne vergogneranno, se la sapranno riconoscere tra le tante e la sapranno ascoltare dentro e fuori di sé. Insomma, voglio dire che la vera rivoluzione sarà solo se riusciranno a restare donne.

Sembra un paradosso, vero? Come si fa a non parlare con la propria voce, a parlare con la voce di un altro? Eppure capita alle donne soprattutto in politica, perché la politica è sempre stato il mondo degli uomini, il mondo del loro potere, delle loro decisioni. E non ha importanza se queste decisioni hanno portato a dei grandi disastri, se scelte sbagliate hanno prodotto milioni e milioni di morti. Comunque gli uomini si sentono autorizzati alla politica e pensano che quello sia il loro territorio, la storia di tanti errori non riesce a delegittimare questa loro certezza. Di fronte a tanta sicurezza, le poche donne che fino ad oggi sono entrate a fare parte di questo mondo, hanno finito per parlare con un‘altra voce. C’è da dire che viene quasi naturale, come entrando in un coro, spontaneamente si segue la voce dominante. Ci sono state delle eccezioni luminose verso le quali ogni donna è debitrice, ma queste eccezioni non hanno fatto ancora la rivoluzione. Così chi ci governa è ancora lontano dalla vita quotidiana, sa poco di cosa succede nelle case, ha magari il sapere dei numeri, o la sua presunzione, ha, o crede di avere, l’arte delle alleanze, ma non ha la voce del racconto, né la capacità di saperla ascoltare. Le donne al seguito.

Con questa storia dei numeri che, avrete capito, io uso come artificio retorico, non vorrei deludere la mia amica Linda Laura Sabbadini, perché lei è una di quelle persone che ai numeri mette l’anima, consegnandoci un paese più leggibile seguendo parametri di pura umanità.

Personalmente soffro quando sento rivendicare la formula del 50 e 50. Detta così, sembra un’arroganza, una spartizione ladronesca, tanto a me tanto a te, un gesto di giustizia rudimentale, la giustizia dell’invidia, bassa, la definirebbe Simone Weil. Si tratta, in realtà, di un’idea tutta nuova, inedita alla storia, del governare insieme di uomini e di donne, non perché gli uomini e le donne sono uguali, ma proprio perché sono differenti, due corpi differenti, due storie differenti, due sguardi differenti. Anche la formula di “democrazia paritaria” con cui si vuole significare questa nuova teoria di governo, non mi soddisfa, perché l’idea della parità è talmente estranea alla realtà umana che questa formula finisce per significare una sorta di idealità troppo astratta. L’”insieme” di cui si parla non sta a garantire un mondo più giusto, ma solo un mondo più equilibrato, che funzioni meglio per tutti, garantito dal doppio sguardo di due esseri che sono sempre stati vicini, ma non sono stati mai vicini per governare i beni comuni, i beni, cioè, che appartengono a tutti coloro che condividono l’esperienza umana,  finalmente senza servi, né serviti.

I segretari dei partiti che hanno accolto questa idea, sono stati più conformisti che veramente interessati, non hanno capito la portata rivoluzionaria di una teoria come questa. Passare dalla civiltà dell’uno alla civiltà del due, è un cambiamento epocale. Non ho registrato né commozione né sgomento.

E le donne ne saranno all’altezza? Il gioco è tutto in mano loro.

Personalmente credo che a salvarci dalla crudele deriva liberista potrà essere solo il sapere delle donne e il loro modo di stare al mondo, se le donne, però, riescono a coglierne il valore. Ma sapranno rendere i racconti che hanno ascoltato, che hanno fatto, strumenti di una politica più attenta alla vita? Sapranno armonizzare la politica dei racconti con la politica dei numeri? Sapranno non dimenticare di essere donne? Altrimenti non vale la pena, meglio sarebbe fare altro.

Certo per loro il compito non è facile, ma le donne hanno una chance in più, secondo me.

Gli uomini hanno dietro di loro un’età dell’oro che è sfuggita per sempre dalle loro mani, legata a un ordine che non c’è più. Questo ordine voleva le donne sottomesse, a casa con i bambini sorridenti o al giardino,  con pochissima istruzione, che tanta non serviva, donne dall’intelligenza disinnescata, che non potevano amministrare i loro beni, che non potevano deporre in tribunale, sempre a totale  disposizione per desideri, capricci e soprattutto servizi. Rarissimi uomini nella storia hanno sofferto per le condizioni misere delle donne. Questo ordine  ogni onest’uomo lo rimpiange nel segreto della sua anima ancora oggi, anche se non tutti sarebbero  disposti a confessarlo. Per questo sentimento segreto le donne ai loro occhi, nel mondo della politica, ma anche in quello degli affari, anche in quello della scienza e dell’arte resteranno delle intruse chissà per quanto tempo ancora. Per loro siamo ancora disordine. E’ bene non dimenticarlo, dovendo fare “un insieme”

Noi donne invece non abbiamo niente da rimpiangere, nessuna età dell’oro alle nostre spalle, nessun ordine ci fa nostalgia, proprio per questo possiamo guardare avanti ad occhi asciutti con animo saldo e piede leggero. Questa è la nostra forza, basta cercarla dentro di sé. Possiamo vincere un premio Nobel, ma anche  raccontare la vita vera come nessuno, perché nessuno la conosce come la conosciamo noi. E poi apparteniamo a quel popolo eletto che si lava le sue mutande da sé e continueremo a lavarcele, per vanto, per tigna e per orgoglio. E questa non è una metafora.

Un grande augurio a tutte le donne che saranno elette, che possiate fare del vostro meglio”.