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Donne e Uomini, economics, esperienze, lavoro, Politica, Senza categoria Giugno 26, 2012

Primum Vivere. Femministe a Paestum

 

frida kahlo le due frida

Una boccata d’aria, per tante di noi. Tornare nel luogo dell’origine. Coming back home.

Il manifesto di convocazione dell’incontro di Paestum

“Primum Vivere anche nella crisi: La rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica” (5-6-7 ottobre)

parla la mia lingua, e quella di molte di noi.

La lingua che abbiamo parlato per molti anni quando, secondo alcun*, eravamo chiuse nel silenzio. Ma quel silenzio diceva solo l’ostinata sordità di chi non sapeva o non voleva sentire.

 Il testo integrale del manifesto lo allego qui sotto, comprese istruzioni per partecipare.

 

Con Giordana Masotto, Libreria delle Donne di Milano, una delle organizzatrici dell’incontro, ragiono sul significato di questo appuntamento.

 

“Esiste una rete di relazioni tra donne di molte città italiane” dice Masotto “rimasta viva in tutti questi anni, la rete del femminismo che dagli anni Settanta a oggi ha continuato a generare pensieri, gruppi, realtà, pratiche. Questa rete si è attivata nel comune desiderio, come si dice nel titolo dell’incontro, di portare la sfida del femminismo al cuore della politica, di mettere pensieri e pratiche di donne alla prova di questa crisi politica ed economica, e misurarne l’efficacia”.

Qual è il rapporto con il cosiddetto neofemminismo, quello del 13 febbraio e di Se Non Ora Quando, e con i suoi obiettivi?

“Ci interessa molto confrontarci con quelle che sono dentro la politica seconda e le istituzioni, e anche con quelle che desiderano entrarci. Vogliamo ragionare a fondo sulle pratiche. Discutere di che cosa può essere cambiato di quella politica e che cosa invece no. Intendiamo andare a verificare, e anche offrire una sponda a chi è già dentro. Leggiamo questo protagonismo come una molla, come qualcosa di interessante. Anzitutto come un desiderio che non può essere tabuizzato, né inteso come “non etico””.

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Ed ecco il manifesto di convocazione dell’incontro, con tutti i temi proposti alla discussione.

 

C’è una strada per guardare alla crisi della politica, dell’economia, del lavoro, della democrazia –tutte fondate sull’ordine maschile – con la forza e la consapevolezza del femminismo? Noi ne siamo convinte.

Davanti alla sfida della libertà femminile, la politica ufficiale e quella dei movimenti rispondono cercando di fare posto alle donne, un po’ di posto alle loro condizioni che sono sempre meno libere e meno significative. No. Tante cose sono cambiate ma le istanze radicali del femminismo sono vive e vegete. E sono da rimettere in gioco, soprattutto oggi, di fronte agli effetti di una crisi che sembra non avere una via d’uscita e a una politica sempre più subalterna all’economia.

All’incontro di Paestum aperto al confronto con gruppi, associazioni, anche istituzionali, e singole donne, vorremmo verificare, discutendo e vivendo insieme per tre giorni, se la politica femminile che fa leva sull’esperienza, la parola e le idee, può in un momento di crisi, smarrimento e confusione, restituire alla politica corrente un orientamento sensato.

 

1. Voglia di esserci e contare

La femminilizzazione dello spazio pubblico – comunque la si interpreti: opportunità, conquista delle donne o rischio di diventare solo “valore aggiunto”, “risorsa salvifica” di un sistema in crisi – ha reso per alcune (molte?) non più rinviabile il desiderio di “contare”, visto come presenza nei luoghi dove si decide, equa rappresentanza nelle istituzioni politiche, amministrative, partiti, sindacati, e nelle imprese.

Noi consideriamo il protagonismo in prima persona di ciascuna donna una molla dinamica importante. Quello che ci interessa è discutere con chi si impegna nei partiti, nelle istituzioni e nel governo delle aziende: che esperienza ne hanno, che cosa vogliono, che cosa riescono a fare e a cambiare. E valutiamo che oggi questo confronto possa avere esiti interessanti per tutte.

Il femminismo d’altra parte, criticato per non avere investito della sua spinta trasformativa le istituzioni della vita pubblica, può avvalersi oggi di una lunga elaborazione di autonomia per ripensare il senso di concetti come “genere”, “democrazia partecipata”, “soggetto politico”, “organizzazione”. Viene dalla pratica dell’autocoscienza, del “partire da sé”, la critica più radicale all’idea di un soggetto politico omogeneo (classe, genere, ecc.), di rappresentanza e di delega. Pensiamo che un collettivo si costruisca solo attraverso la relazione tra singole/i. E oggi vogliamo interrogare la connessione tra questa pratica politica e la modificazione visibile del lavoro, dell’economia, e più in generale del patto sociale.

In questo contesto, anche la scelta di Paestum come luogo dell’incontro non è casuale, ma vuole essere un richiamo alla necessità di articolare soggettività e racconti nei contesti in cui si vive e agisce. Vogliamo così far crescere una rete di rapporti tra donne e gruppi di donne già ricca e intensa. In particolare, sappiamo che alcune caratteristiche del Sud – sia i beni sia i mali – hanno un’invadenza sulla vita e sul pensiero di chi lì abita che non può essere ignorata, né da chi vive in altri luoghi, né soprattutto dalle meridionali stesse.

 

2. Economia lavoro cura

Molto è il pensiero delle donne sui temi del lavoro e dell’economia a partire dalla loro esperienza. Che ha questo di peculiare: hanno portato allo scoperto e messo in discussione la divisione sessuale del lavoro (quello per il mercato – pagato – e quello informale ed essenziale di cura e relazione – gratuito); in più, sanno che la cura non è riducibile solo al lavoro domestico e di accudimento, ma esprime una responsabilità nelle relazioni umane che riguarda tutti.

A partire da questo punto di vista, e sollecitate anche da una crisi che svela sempre di più l’insensatezza oltre che l’ingiustizia dei discorsi e delle politiche correnti, possiamo delineare una prospettiva inedita: quella di liberare tutto il lavoro di tutte e tutti, ridefinendone priorità, tempi, modi, oggetti, valore/reddito e rimettendo al centro le persone, nella loro vitale, necessaria variabile interdipendenza lungo tutto l’arco dell’esistenza, e avendo a cuore, con il pianeta, le persone che verranno.

Vorremmo articolare questo discorso valutando insieme le recenti esperienze di pratiche politiche e analizzando le contraddizioni che incontriamo (in primo luogo le conseguenze del rapido degrado del mercato del lavoro) in modo da rendere più efficace il nostro agire.

 

3. Auto–rappresentazione/rappresentanza

Nella strettoia della crisi i cittadini non hanno più libertà politica; la politica è ridotta a niente; decidono tutto l’economia e la finanza. In una situazione dove tutto sembra prescritto a livello economico finanziario, la pratica e il pensiero delle donne hanno una carta in più per trovare nuove strade.

La nostra democrazia è minacciata da pulsioni, spinte estremistiche; le sue istituzioni elettive depotenziate o addirittura esautorate. La rappresentanza è messa in crisi e oggi ne vediamo i limiti.

Perché una persona possa orientarsi, deve avere un’immagine di sé, di quello che desidera e di quello che le capita. Il femminismo che conosciamo ha sempre lavorato perché ciascuna, nello scambio con le altre, si potesse fare un’idea di sé: una autorappresentazione che è la condizione minima per la libertà. Invece la democrazia corrente ha finora sovrapposto la rappresentanza a gruppi sociali visti come un tutto omogeneo.

La strada che abbiamo aperta nella ricerca di libertà femminile, con le sue pratiche, può diventare generale: nelle scuole, nelle periferie, nel lavoro, nei luoghi dove si decide, ecc.

Che la gente si ritrovi e parli di sé nello scambio con altre/i fino a trovare la propria singolarità, è la condizione necessaria per ripensare oggi la democrazia.

Vorremmo declinare questi pensieri nei nostri contesti, confrontandoci sia sulle pratiche soggetto/collettivo, sia sui modi per dare valore al desiderio di protagonismo delle donne. E quindi ci chiediamo: come evitare che in alcune la consapevolezza basti a sé stessa e si arrenda di fronte all’esigenza di imporre segni di cambiamento e alla fatica del conflitto? E in altre la spinta a contare le allontani dalle pratiche di relazione?

 

4. Corpo sessualità violenza potere

“è già politica” (sottinteso: l’esperienza personale): il femminismo ha incominciato lì il suo percorso. Ha scoperto la politicità del corpo e della sessualità, della maternità, del potere patriarcale in casa, del lavoro domestico. Ha affermato che la violenza maschile contro le donne in tutte le sue forme, invisibili e manifeste, è un fatto politico. Radicale è stato prendere il controllo sul proprio corpo e insieme ribellarsi a un femminile identificato con il corpo: ruolo materno, obbligo procreativo e sessualità al servizio dell’uomo.

Oggi la sfida è più complessa: si esibisce lo scambio sesso/denaro/carriera/potere/successo occultando il nesso sessualità/politica; si esalta il sesso mentre muore il desiderio; si idolatra il corpo ma lo si sottrae alle persone consegnandolo nelle mani degli specialisti e dei business; si erotizza tutto, dal lavoro ai consumi, ma si cancella la necessità e il piacere dei corpi in relazione.

Sintomi estremi di questa fase sono il rancore maschile verso l’autonomia e la forza femminile e il riacutizzarsi della violenza, dell’uso della brutalità.

Ma qualcosa si muove. Non solo i gruppi (Maschile/Plurale) e i singoli uomini che ormai da anni si impegnano nella ricerca di una nuova identità maschile, spesso in relazione con le femministe. Ma anche le moltissime blogger femministe (e blogger “disertori del patriarcato”) che ragionano su desiderio e sessualità e si impegnano contro la cultura sessista e autoritaria.

Soprattutto le relazioni tra donne e uomini sono cambiate. Ma non abbastanza. Sulla scena pubblica questo cambiamento non appare perché il rapporto uomo-donna non viene assunto come questione politica di primo piano. Eppure, solo in questo modo, possono sorgere pratiche politiche radicalmente diverse, produzioni simboliche e proposte per una nuova organizzazione del vivere.

 

Di tutto questo vogliamo parlare a Paestum.

 

 

Le promotrici:

Pinuccia Barbieri, Maria Bellelli, Maria Luisa Boccia, Ornella Bolzani, Paola Bottoni, Maria Grazia Campari, Luisa Cavaliere, Patrizia Celotto, Lia Cigarini, Laura Cima, Silvia Curcio, Mariarosa Cutrufelli, Elettra Deiana, Donatella Franchi, Sabina Izzo, Raffaella Lamberti, Giordana Masotto, Lea Melandri, Jacinthe Michaud, Clelia Mori, Letizia Paolozzi, Gabriella Paolucci, Antonella Picchio, Biancamaria Pomeranzi, Carla Quaglino, Floriana Raggi, Bia Sarasini, Rosalba Sorrentino, Mariolina Tentoni

 

 Programma dell’incontro

 

L’incontro di Paestum non sarà un Convegno. Quindi niente relazioni introduttive, generali o sui singoli punti. Non ci sarà una struttura preordinata di interventi. Tutte sono libere di parlare. Abbiamo solo previsto un’alternanza di momenti in cui siamo tutte insieme a momenti di confronto più ristretti per approfondire i temi proposti (cui potranno eventualmente aggiungersi altri).

 

Venerdì 5 ottobre

Pomeriggio/sera: arrivo, sistemazione, cena

 

Sabato 6 ottobre             

Mattino: tutte insieme

Pomeriggio: divise in gruppi sui temi

Voglia di esserci e contare

•Auto–rappresentazione/rappresentanza

Economia lavoro cura

Corpo sessualità violenza potere

Sera: cena e spettacolo

 

Domenica 7 ottobre       Mattino: tutte insieme

 

 

Informazioni pratiche

Ospitalità e ristorazione

Paestum offre una scelta estremamente varia di strutture ricettive: da agriturismi e b&b a hotel a 5 stelle.

L’Associazione Artemide ha promosso, in occasione del nostro incontro, delle convenzioni con alcune strutture, alberghiere e non, per assicurare prezzi convenienti. In particolare, presso le strutture convenzionate si potrà avere pernottamento e prima colazione a 20 euro (in camera multipla), a 30 euro (in camera doppia) e a 50 euro (in camera singola).

Per queste prenotazioni è possibile rivolgersi a Maria Bellelli: mariabellelli@tiscali.it cell. 3288324032.

Per quanto riguarda i pasti, ulteriori convenzioni sono state attivate e sono ancora in corso di attivazione con ristoranti che assicureranno un menu fisso a 15 euro a persona. A ridosso della data dell’evento forniremo l’elenco dettagliato degli esercizi presso i quali si potrà godere di questo trattamento.

 

Trasporti

Paestum è raggiungibile in auto, treno, aereo.

Auto: autostrada Salerno Reggio-Calabria, uscita Battipaglia, strada statale 18 fino alla zona archeologica di Paestum.

Treno: stazioni di Paestum, Agropoli o Salerno; info www.trenitalia.com.

Aereo: aeroporto Costa d’Amalfi a Salerno per voli da Milano Malpensa, Verona, Olbia e Catania.

Per ogni ulteriore informazione relativa a trasporti e spostamenti è possibile rivolgersi a Ecady Travel, Via Magna Grecia, 85 – Capaccio. Tel. 0828 19622540, fax 0828 725485, e-mail info@ecadytravel.com.

 

economics, lavoro, Politica Giugno 4, 2012

Lo strano Pd di Finocchiaro

 

Dunque, mentre si apprendeva che suo marito Melchiorre Fidelbo è indagato in quanto titolare della Solsamb s.r.l., a cui senza regolare gara d’appalto sarebbero stati affidati lavori per l’informatizzazione del Pta di Giarre, 1.7 milioni di euro (appalto ora revocato dalla Regione Sicilia), la capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro festeggiava  con un elogio e autoelogio l’approvazione della riforma del lavoro:

‘Penso che oggi noi abbiamo raggiunto una sintesi razionale, laica, direi costituzionale e riformista del mercato del lavoro e penso che questo sarà utile per davvero all’Italia’‘, ringraziando quindi personalmente la ministra Elsa Forneroper il coraggio e la determinazione”. Nel frattempo sui social network i militanti piddini -già disturbati, come tutti noi contribuenti, dalla spesa all’Ikea con regolamentare scorta spingicarrello- la ricoprivano di improperi.

Ora, si può anche essere perfettamente convinte di aver raggiunto un buon punto di mediazione, e che di più proprio non si poteva, senza far cadere il governo. Si può perfino e sinceramente ammirare il carattere e la tigna di Fornero. Ma che la capogruppo del Pd, a nome del suo partito, esprima un simile entusiasmo di fronte a una riforma che non può essere certo intesa come un successone per i lavoratori, dà effettivamente da pensare.

“Ofelé fa’ el tò mesté”, si dice dalle mie parti. E sul fatto che il mestiere del Pd sia quello di far festa per una riforma come questa avrei qualche dubbio. Che la si votasse, se proprio la si doveva votare, con la massima sobrietà e senza simili manifestazioni di entusiasmo e autocompiacimento. Il compito che gli elettori hanno affidato al Pd sarebbe un altro, ma forse Finocchiaro se l’e dimenticato.

Vedi una scena come questa, dai un’occhiata agli ultimissimi sondaggi che indicano il partito dell’astensione in aumento vertiginoso, guardi il cielo novembrino e il lampadario che balla e  ti viene da pensare che se tutti questi -ma proprio tutti-tutti-, se l’intera classe dirigente di questi partiti alla deriva si presentasse facendo ciao-ciao, se tutte le facce che abbiamo visto ogni giorno sulle prime tre-quattro-cinque pagine dei quotidiani di punto in bianco non si vedessero più, se facessero un’uscita collettiva e alla grande, come in un musical di Broadway, permettendo il ricambio che ostinatamente impediscono, be’, forse la mattina ti alzeresti un po’ più di buonumore.

Donne e Uomini, lavoro, Politica Aprile 26, 2012

Fornero: 188 promesse tradite


Mi invia Ritanna Armeni, pubblicato su Il Foglio di oggi. Ripubblico e sottoscrivo.

Gentile ministra Fornero ,

Mi dispiace davvero dirlo ma lei non ha mantenuto le sue promesse. Non ha risolto il problema delle dimissioni in bianco che obbligavano le donne che rimanevano incinte a lasciare il posto di lavoro. Il disegno di legge sul mercato del lavoro lascia confusa anzi, nella sostanza, può peggiorare la condizione già esistente.

Non nè facile capire quell’articolo 55 tanto l’italiano è sciatto, confuso, ingarbugliato, burocratico.  Ci vogliono molte letture e la spiegazione di chi se ne intende più , ma alla fine il senso è questo.

Salvo che  il fatto “costituisca reato” , dice la legge, il datore di lavoro che “abusi del foglio firmato in bianco al fine di simulare le dimissioni o la risoluzione consensuale è punito con la sanzione amministrativa da 5000 a 30.000 euro”.

La prima domanda è ovvia: quando l’abuso costituisce reato? Siamo di fronte ad un datore di lavoro che usa uno strumento illegale, la firma su una lettera di dimissioni per potere licenziare. E’ abuso o reato? Evidentemente, per la sua proposta di legge  il ricatto è, nella maggior parte dei casi, un abuso. E come si interviene nei confronti di un abuso?  Con una multa di maggiore o minore entità. Riassumendo e andando alla sostanza la donna che viene licenziata, in seguito alla estorsione di una firma su una lettera  di dimissioni senza la quale non sarebbe stata assunta, viene lo stesso licenziata, ma il suo datore di lavoro paga un’ammenda allo Stato. Ora, ministro ci spieghi, per piacere perchè il licenziamento di quella donna non è “discriminatorio” e non rientri, di conseguenza,  sia secondo la vecchia legge che secondo la  nuova (quella ancora in discussione in Parlamento) fra i licenziamenti che prevedono il reintegro. Non le pare evidente la discriminazione sessuale? Non è chiaro che rimane intatto l’impedimento alla maternità che in molte le avevamo chiesto di rimuovere?  Secondo la sua proposta di legge se un datore di lavoro commette reato non si sa che cosa succede, se abusa paga una multa, ma per la donna il licenziamento c’è comunque. Dobbiamo dedurne che le norme contro le discriminazione sul luogo di lavoro valgono per tutti, ma non per chi aspetta un bambino e, inoltre. per tutti coloro che hanno firmato per essere assunti una lettera di dimissioni.

So bene che il primo comma del suo articolo di legge prevede che la lavoratrice madre non può essere licenziata nei primi tre anni di vita del bambino, so bene che lei ha innalzato questo periodo che prima di limitava ad un anno. Con tutto il rispetto possibile questo è fumo che solo giornali   disinteressati e superficiali hanno potuto avallare come grande cambiamento. La pratica delle dimissioni in bianco si è diffusa proprio per evitare la legge e ha davvero poca importanza che questa preveda tre anni o uno di garanzia per la lavoratrice che diventa madre. L’abuso o il reato vanno prevenuti e tagliati alla radice con dei semplici e chiari meccanismi come quelli previsti dalla legge 188  prima che venisse abrogata dal governo Berlusconi . Questo le avevamo chiesto. Non quel testo che quando non è incomprensibile prevede delle assurdità di cui non si capisce il senso.

La donna , dice la sua legge, dovrebbe offrire entro 7 giorni dalla ricevuta della raccomandata di licenziamento le proprie prestazioni al datore di lavoro come forma di contestazione. Abbiamo provato ad immaginare la scena. La donna incinta che si reca sul luogo di lavoro Che succede? Viene cacciata? Ritorna? Insiste? Prega? Invoca la legge sul mercato del lavoro? Qui siamo all’assurdo o al grottesco. Quando proviamo a tradurre il burocratese nel linguaggio della realtà lo sgomento è davvero tanto.

Davvero chi fa le leggi è così lontano dalla vita reale? Evidentemente sì. Evidentemente  le donne che si sono impegnate finora in questa battaglia dovranno trovare altre strade per arrivare  al loro obiettivo.

 

Alle considerazioni di Armeni, che condivido pienamente, aggiungo questo: la ministra Fornero una figlia l’ha avuta. Da donna dovrebbe poter immaginare la sofferenza di tante sue simili che questa possibilità rischiano di non averla mai, se non vogliono perdere il lavoro che serve loro per vivere.

Sul fatto che come donna avrebbe saputo capire più di un uomo, 188 di noi hanno scommesso, e con noi molte altre, indirizzandole una lettera che la sollecitava a rimuovere al più presto questa intollerabile discriminazione. La sua riforma del lavoro non ci sta piacendo affatto, ma almeno sul ripristino della legge contro le dimissioni in bianco, che pure tardava ad arrivare -cosa che insospettiva- avevamo avuto assicurazioni e garanzie. Scoprire che invece nemmeno questo minimo è stato garantito, e che questa donna che è ministra ha fatto così poco per le altre donne, procura una ferita che sarà difficile sanare e rende intollerabile il peso dei sacrifici che ci vengono ripetutamente e arrogantemente richiesti.

 

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Aprile 11, 2012

Riforma del lavoro: ci basta?

E al capo V del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, sotto la voce “ulteriori disposizioni”, arrivano le voci rubricate come “donne”: dimissioni in bianco, figli, baby sitter. Troppo poco? Un primo segno? Ne l’uno né l’altro. Perché per capire quello che la riforma significa per le donne, conviene guardare al tutto (http://governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=67489), non solo al ripristino del contrasto alle dimissioni in bianco, al mini-mini congedo di tre giorni continuativi di paternità obbligatoria, e ai buoni per pagare le baby sitter invece di prendersi le aspettative facoltative per maternità.

Togliamo subito di mezzo il Moloch: l’articolo 18 e l’accordo finale che lo ha avuto ad oggetto. Non perché non conti: sotto la voce “economici” potevano passare anche i licenziamenti discriminatori. Adesso i pesi sono stati un po’ riequilibrati, si sono rafforzate le tutele in uscita, buttando la palla nel campo dei giudici. Ma tutto questo dibattito ha continuato a oscurare l’altra faccia della riforma, la questione dell’entrata al lavoro. Su questo ci vogliamo concentrare. Perché a noi interessano quelle che l’art. 18 non ce l’hanno e non lo avranno mai, le non-posto-fisso, senza tutele. Era per loro la riforma, no? Allora qualche numero, e i nostri 4 punti.

Uno. Non tutti i disoccupati sono uguali. Ci sono quelli che hanno appena perso un lavoro e quelli che invece cercano il primo lavoro, o escono da un periodo in cui (vuoi per scoraggiamento, vuoi per altri accidenti della vita, tra i quali – per dire – un figlio) non l’avevano e non l’hanno cercato. Tra i primi (disoccupati ex-lavoratori) i maschi sono la maggioranza: 56%. Nel secondo gruppo (nuovi entranti sul mercato del lavoro) primeggiano le donne: 63%. (dati Istat, riportati nell’articolo di redazione di inGenere.it “Lavoro, una riforma che guarda al passato”, http://www.ingenere.it/articoli/lavoro-una-riforma-che-guarda-al-passato). Tutti gli ammortizzatori sociali oggi esistenti sono per il primo gruppo, gli ex. Motivo forte per sperare nella riforma. Che però non prevede niente per i nuovi entranti: hai un’indennità, di qualche tipo, in caso di disoccupazione, solo se hai perso un lavoro.

Due. Anche quelli che hanno perso un lavoro non sono tutti uguali. Ci sono i tempi indeterminati, quelli del posto fisso, poi i tempi determinati, posto a termine ma comunque da dipendente, e tutti gli altri, i precari (co-co-pro, partite Iva, prestatori occasionali, ecc). La riforma allarga le tutele solo ai dipendenti, rispetto a prima quel che cambia è che ci sono gli apprendisti e gli artisti. Per loro sarà l’Aspi. Mentre la mini-Aspi rafforza un po’ la vecchia “disoccupazione a requisiti ridotti”, ma ancora una volta riguarda solo quelli che escono da un lavoro dipendente (e hanno almeno 2 anni di contributi versati). Rimangono invece esclusi da qualunque tutela “tutti gli altri” e le donne – manco a dirlo – sono qui le più numerose. Una ricerca Isfol (si veda http://www.isfol.it/Notizie/Dettaglio/index.scm?codi_noti=7176&cod_archivio=1) ha, infatti, calcolato che tra i lavoratori “non-standard” ci sono più donne che uomini. Se poi si va a guardare per fasce d’età troviamo che è sotto i 40 anni che c’è la maggiore disuguaglianza tra uomini e donne con un’alta concentrazione di precarie. Lo confermano anche i dati Inps sulla gestione separata. Discriminazione per fertilità? A questo proposito, nella riforma non c’è traccia dell’assegno di maternità universale, cavallo di tante battaglie (si veda la proposta elaborata dal gruppo Maternità e paternità: http://maternitapaternita.blogspot.it/p/avere-un-figlio-oggi-e-un-privilegio.html).

Tre. Quel che c’è sono alcuni paletti e vincoli all’uso dei contratti precari. Che daranno più rogne amministrative e costeranno di più. I contributi per gli atipici infatti salgono, e parecchio: per i co-co-pro arriveranno al 28% l’anno prossimo e al 33% nel 2018. Se le imprese saranno costrette a pagare i contributi ai co-co-pro quasi quanto quelli dei dipendenti, alla fine potrebbero trovare conveniente assumerli, dice il governo. Ma il ragionamento cade se questi contributi, formalmente a carico dei datori di lavoro, alla fine saranno scaricati sui precari stessi, abbassando il loro compenso netto. Lo dicono i precari dell’associazione Tutelare i lavori (Un bidone per i precari, http://www.tutelareilavori.it/), e lo ha scritto Tito Boeri: “in assenza di un salario minimo, nel caso di lavoratori a progetto e altri lavoratori parasubordinati, il maggiore carico contributivo potrà facilmente essere fatto pagare al dipendente sotto forma di salari più bassi. I lavoratori parasubordinati stanno già ricevendo lettere dai datori di lavoro in cui si annunciano riduzioni del loro compenso nel caso di riforme che aggravino i costi delle imprese”). (http://www.lavoce.info/articoli/-lavoro/pagina1002956.html). Morale: i precari avranno contributi più cari senza nessuna tutela in più.

Quattro. Eccoci alla voce “ulteriori”, zona donne. La legge contro le dimissioni in bianco, abolita dal governo Berlusconi nel 2008, prevedeva che le dimissioni volontarie potessero essere firmate solo su particolari moduli degli uffici del lavoro, numerati e datati: in questo modo si poteva evitare la pratica, appunto, della firma preventiva su fogli bianchi senza data. Procedura troppo complicata, secondo il governo, che ne ha predisposto un’altra (v. art. 55 del ddl): salutiamo la buona notizia, sperando di essere finalmente passate dal simbolo alla realtà. (Anche se qualcuno teme che alla fine i datori di lavoro colpevoli di aver fatto firmare le dimissioni in bianco possano cavarsela solo con una multa: ma su questo, sarà opportuno aspettare i dettagli tecnici del testo e analisi più approfondite). Mentre è di certo solo un simbolo l’art. 56, quello sui congedi obbligatori di paternità: 3 giorni in tutto, “anche continuativi”, di cui due “in sostituzione della madre”. Alcuni contratti di lavoro già prevedono congedi di paternità, ma sarebbe la prima volta che ne viene introdotto, per legge e in Italia, l’obbligo. E questo è un passo avanti. Ma così piccolo e così puramente simbolico da poter sembrare quasi un inciampo. Ovunque si discuta seriamente di congedi di paternità, si va ben oltre la soglia – abbastanza risibile – dei tre giorni (si veda il dossier http://www.ingenere.it/dossier/i-congedi-di-paternit). Forse consapevole del fatto che le misure proposte sono poca roba, il ministro Riccardi si appresta a rafforzare il pacchetto “congedi” nell’iter parlamentare, mettendoci dentro anche quelli per i nonni: perché allora non preparare in parlamento un assalto trasversale al congedo di paternità, portandolo da 3 a 15 giorni?

Insomma, il primo atto del governo Monti-Fornero ha aumentato l’età della pensione, nuove regole per tutti ma con effetti prevalenti sulle donne. Dal secondo atto – la grande riforma del mercato del lavoro – era lecito aspettarsi una fase due un po’ women friendly, dato che la titolare del lavoro ha anche le pari opportunità, dato che le analisi sull’aumento del Pil che può portare il lavoro femminile si sprecano, dato che il vecchio sistema degli ammortizzatori sociali era studiato sul maschio-adulto-e-garantito. E invece, di gender mainstreaming nella riforma non c’è traccia (si veda anche l’analisi di Snoq: http://www.senonoraquando.eu/?p=9234). Finisce che portiamo a casa solo un articoletto che, ben che vada, impedisce di buttarci fuori quando abbiamo la pancia. Ci basta?

 

contemporaneamente postato da

Roberta Carlini

Giovanna Cosenza

InGenere-Webmagazine

Loredana Lipperini

Manuela Mimosa Ravasio

Lorella Zanardo

e da

Italia 2013

Supercalifragili

Giorgia Vezzoli

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Aprile 7, 2012

Questo governo non sta facendo nulla per le donne/ 3

La mia opinione sulla riforma del lavoro l’avevo espressa qui, e anche qui.

Anche l’altro giorno al Corriere, presentando il mio libro, mi ero unita a Chiara Saraceno in una valutazione molto severa sulla riforma.

Ora -gaudium magnum- Se non ora quando esprime un giudizio chiaro e netto. Che vi propongo qui e sottoscrivo integralmente (il titolo è quasi lo stesso).

 

 

Riforma del Lavoro: nulla di significativo per le donne

 Il testo licenziato dal Governo è significativo e può essere valutato in molti modi. Noi del movimento Se Non Ora Quando lo guardiamo dal punto di vista delle donne e vediamo che però ben poco di significativo è stato fatto per loro.

La ministra del Lavoro potrà forse dire che l’irrigidirsi delle norme sulla flessibilità in entrata le favorisce e che sono state reintrodotte norme che scoraggiano le dimissioni in bianco. Noi sappiamo però che l’occupazione delle donne aumenterà soltanto se ci sarà una ripresa degli investimenti, e che questa ripresa deve includere investimenti privati e pubblici nel welfare. Avevamo chiesto che per questo venisse usato il risparmio ottenuto innalzando l’età pensionistica delle donne. Non ne vediamo traccia.
Le poche disposizioni previste per il lavoro femminile sono aggiunte ad un testo cui manca, nel suo complesso, la prospettiva trasversale di gender mainstreaming dettata dall’Unione Europea.

Le stesse misure antidiscriminatorie, come la reintroduzione di norme che scoraggino le dimissioni in bianco o di sostegno – come i voucher –, si rivolgono in prevalenza a chi ha un lavoro dipendente, escludendo di fatto le giovani che lavorano a tempo determinato con contratti e collaborazioni precarie.
Per le dimissioni in bianco, in particolare non ci convince che l’eventuale reato commesso sia derubricato a illecito amministrativo e risolto con un risarcimento.

Le misure sulla maternità e i congedi parentali ci paiono invece del tutto insufficienti. Il segnalino alle donne, rappresentato dal congedo parentale sperimentale per i padri, non può essere considerato una conquista consistente e ci appare come un provvedimento innocuo e quasi offensivo.

Servono misure più forti per una vera politica di parità.

Diciamo perciò al Presidente del Consiglio Monti che quando ha esordito nel presentare il suo governo al Senato aveva usato parole e accenti che avevano fatto sperare in un vero rinnovamento del Paese attraverso l’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro e nella cittadinanza piena. Il governo avrebbe in tal caso fatto di se stesso l’artefice-protagonista di una vera, grande innovazione politica, questa sì in grado di allineare l’Italia all’Europa.
Così non è stato e l’occasione è andata perduta.

Così non va, non va, professor Monti, l’Europa è ancora ben lontana.

Comitato Promotore Nazionale Se Non Ora Quando

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Marzo 24, 2012

Questo governo non sta facendo nulla per le donne/2

Non è l’art. 18 a fermare lo sviluppo del Paese, ma la troppa burocrazia. Poi la mancanza di infrastrutture. E il costo eccessivo dell’energia.

Non lo dice un guerrigliero del Chiapas, non lo dico io, ma lo dice -con queste precise parole- Giorgio Squinzi, il nuovo presidente di Confindustria. E con ciò mi pare che l’argomento sia definitivamente chiuso.

In attesa di capire come il Parlamento interverrà sul disegno di legge, ribadisco: questo governo non sta facendo abbastanza per le donne, e quindi per il Paese e per la “crescita” (virgolette non casuali: su che cosa diavolo sia questa crescita, su che cosa debba crescere, non c’è affatto chiarezza).

Primo: le donne vengono pensate non al centro della riforma del lavoro -come dovrebbe essere, a meno che non si giudichino dei perfetti imbecilli tutti quelli che sostengono, a partire dalla Banca d’Italia, che il Pil cresce, e di una decina di punti, se ci si avvicina al 60 per cento di occupazione femminile- ma a latere, alla fine, come spinoso capitolo aggiuntivo a cui destinare qualche briciola delle risorse.

Il solito della politica, insomma. Un’impostazione fallace e discriminatoria, che continua a pensare il lavoro come maschile, e le donne che lavorano un’eccezione, quando invece le donne si fanno carico della gran parte del lavoro sul pianeta (e quasi sempre gratis).

Da questo enorme svarione, e beffardamente proprio da parte di una ministra, discende l’insufficienza dei provvedimenti: quei ridicoli 3 giorni di congedo di paternità obbligatoria (contro le due settimane in Francia e le 12 settimane della Norvegia) che non servono proprio a niente; l’abolizione delle dimissioni in bianco, e ci mancherebbe altro; l’attuazione sulle quote nei cda delle società quotate in borsa e partecipate dallo Stato: mero atto amministrativo, la legge c’era già, e non può essere venduta come una concessione di questo governo; e ok, i voucher per la baby sitter per un annetto se la mamma torna al lavoro subito dopo la maternità obbligatoria.

Tutto qua. Ah, sì, da qualche parte dovrebbero esserci misure di defiscalizzazione per l’assunzione dei giovani e delle donne (ovvero dei giovani maschi, che presentano il vantaggio di non restare incinti) ma sui giornali oggi non ne vedo traccia.

E’ stata persa una grandissima occasione: quella di portare nella discussione sul lavoro, e a beneficio di tutti, lavorator*, imprese, Paese, quel ricco pensiero femminile sul lavoro che si focalizza anzitutto sul tema dell’organizzazione.

Continueremo a vivere insensatamente detenuti nelle aziende, che pagano costi di gestione insensati in cambio di un’organizzazione militare e maschile del lavoro, mettendoci in coda alle 9 del mattino e alle 6 di sera, inquinando le città, svuotando i quartieri dormitorio, depositando i bambini all’alba e riprendendoli al tramonto, e in più con il terrore di un licenziamento “economico”, in un momento in cui con due stipendi in famiglia ce la si fa a malapena.

Grande risultato.

E se per caso questa “riforma del Lavoro” che divide lo stesso governo non fosse farina del sacco di Elsa Fornero -come io non smetto di sperare- ma emanazione della volontà del premier Monti, che Elsa Fornero si faccia sentire, con tutta la sua forza femminile.

E magari si faccia sentire anche Se non ora quando, perché la sua voce sta mancando molto.

 

 

economics, lavoro, Politica Marzo 23, 2012

Lacrime-Napolitano

Due scene che mi hanno colpito, in questo rush finale sulla riforma del lavoro:

la piccola esitazione di Elsa Fornero in conferenza stampa, quando rispondendo a un giornalista le è toccato chiarire che le nuove norme sull’articolo 18 riguardavano tutti i lavoratori, e non soltanto i nuovi assunti come qualcuno poteva avere creduto; come se temesse una reazione, che invece non è arrivata.

Soprattutto, il singhiozzo trattenuto del Presidente Napolitano nel suo discorso alla gente di Vernazza, quando ha accennato alla sua propria “responsabilità”. La responsabilità è immane, non c’è dubbio. Ma quel cedimento mi ha fatto paura. Mi ha fatto pensare che nemmeno lui fosse del tutto certo che la strada intrapresa era quella giusta. Anche se poi oggi tutti i giornali riferiscono della sua instancabile attività di “moral suasion”.

Ieri sera la ministra Fornero ha assicurato che non saranno consentiti abusi. Che il nuovo art. 18 non significa dare alle aziende licenza di uccidere con licenziamenti in massa. Che saranno adottati strumenti in questo senso.

Quali? Qualcuno di voi riesce a immaginarli?  Quanto facilmente saranno aggirabili? Avete presente l’efficacia del lavoro di lobbying?

L’altra cosa è questa faccenda dei lavoratori statali. Fornero se ne lava le mani, con un certo sollievo. Ci penserà il ministro della funzione pubblica, dice. Ma che ai lavoratori del privato e quelli del pubblico tocchi un diverso destino è francamente inaccettabile, e forse facilmente aggirabile in quanto incostituzionale. Tanto più che, a proposito di investitori esteri, il nostro gigantismo burocratico, insieme alla pervasività della grande criminalità organizzata, altro che art. 18, scoraggerebbe un elefante. I conti non tornano. E però sì, tenere fuori gli statali ha i suoi vantaggi, significa fare fuori un grosso ostacolo sulla strada della riforma e spaccare il fronte del lavoro.

Intendo dire che, alla prova dei fatti, le performance del nostro magnificato governo tecnico sono molto meno infallibili di quanto ci fosse venuto comodo credere. Sono persone, possono sbagliare. Anche noi che non siamo professori e che non ce ne intendiamo, qualcosa che non torna lo intravediamo. Perfino la Chiesa è intervenuta in modo molto più duro di quanto ci sarebbe potuti aspettare.

Ogni tanto ho la sensazione che anche i professori dicano e facciano qualche cavolata. Mi capitava anche a scuola, ricordo. Non è una sensazione piacevole.

 

Aggiungo ultim’ora, dichiarazione di stamattina: «Non credo che stiamo per aprire le porte a una valanga di licenziamenti facili” ha detto il Presidente “sulla base della modifica dell’articolo 18, anche perché bisogna sapere a cosa si riferisce l’articolo 18»

Ecco, “non credo” -se ha detto proprio così- mi pare diverso da “vi assicuro”, vi garantisco”, “mi impegno”, “vi do la mia parola”.

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Marzo 21, 2012

La solitudine di Susanna

Non vorrei essere Susanna Camusso. Sento il peso enorme della responsabilità che ha sulle spalle, dopo la giornata di ieri, che a quanto pare ha sancito la fine della concertazione, insieme a quella dell’articolo 18, e sta mettendo a dura prova l’unità sindacale,

L’altro giorno Emma Marcegaglia diceva agli industriali che le era stato affidato quel ruolo proprio nel momento più difficile. Credo che Susanna Camusso possa dire la stessa cosa. Almeno in questo saranno d’accordo.

Intervendo ieri sera a Linea notte su RaiTre, dicevo che alle imprese è stato dato molto, con questa riforma; ora tocca loro restituire in investimenti e occupazione. Vedremo. Quel che è certo, la questione dell’articolo 18 è stata il focus. Quello era il muro che si doveva abbattere. Il resto ha il sapore di un contorno.

Ho detto ieri sera che si è parlato di entrata nel lavoro (un po’) e di uscita (moltissimo). Di decollo e di atterraggio. Ma del volo, di quello che c’è in mezzo, che poi è la nostra vita non separabile dal lavoro, si è parlato pochissimo. Intendendo con questo l’organizzazione del lavoro, inchiodata a tempi, modi e orari vecchi un secolo, una struttura militare fatta di gerarchie e di detenzione dei corpi, evidentemente costosissima -per tutti, aziende comprese- e improduttiva.

Mettere le donne al centro di questa riforma del lavoro significava soprattutto questo: parlare di organizzazione del lavoro, e cambiarla. Molto più che insistere sull’abbinata lavoro-welfare e sulla solita  improbabile conciliazione, strumento ormai inservibile. E del resto non si è fatto nemmeno questo minimo. Le misure di defiscalizzazione conteranno molto poco per l’occupazione femminile, e di servizi ce n’è sempre meno.

Quando si parla di lavoro si continua a pensare ai lavoratori maschi, e la “questione” del lavoro femminile è sempre assunta dopo, e a latere, come osservava giustamente Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera, quando tutte le analisi, compresa quella della Banca d’Italia, concordano sul fatto che metterla al centro apporterebbe benefici (+8-10 per cento di Pil) a tutto il Paese.

L’occasione è stata mancata. Paradossalmente, proprio quando erano tre donne in prima linea a discutere e decidere. Ma la lingua delle donne non è entrata in questa trattativa. Continueremo a lavorare come prima, peggio di prima, sentendo la lama sul collo, regressivamente in difensiva. Siamo finalmente europei: meno tutele per tutti. Non lo siamo quanto a qualità e quantità dei servizi, e quanto a livello degli stipendi non parliamone. Problemi che noi donne -nessun aiuto, stipendi e pensioni più bassi, una società ferocemente maschilista che ci scarica tutto addosso- sentiremo in modo molto più acuto.

Del resto favorire l’occupazione femminile significa lasciare sguarnito quel welfare vivente quotidianamente e silenziosamente erogato, una risorsa che non conosce crisi, e dover investire soldi pubblici in servizi… No, meglio che stiamo a casa, come si faceva una volta. Molto più comodo per tutti.

Dipendesse da me, per come sono fatta io, scenderei in piazza ora, subito, così come mi trovo, mollando ogni altra occupazione.

Sento la solitudine di Susanna, che non può nemmeno contare sulla sponda parlamentare di un Pd  incerto, lacerato, in irreversibile crisi identitaria.

Non so come andrà a finire. So che abbiamo cominciato molto male.

 

Donne e Uomini, esperienze, lavoro, Politica Marzo 15, 2012

Tutte ai Tavoli! (ma il bilancio?)

Le proposte elaborate sono molte e interessanti, ma la novità più importante costituita dai partecipatissimi Tavoli delle cittadine milanesi, a cui il Comune di Milano si è aperto come una “casa comune”, sta nel metodo: ovvero nel fatto che sono le istituzioni, qui in particolare rappresentate dalle consigliere Anita Sonego e Marilisa D’Amico, a chiedere alle donne della città di portare all’interno della politica “seconda” le pratiche, le esperienze e i modi della politica prima, prossima alla vita, alle relazioni e ai bisogni. E nel fatto che le cittadine si siano riunite per portare in dono ai vari assessorati competenti il loro sapere e i loro desideri.

Non si tratta cioè di una contrattazione -le cittadine che chiedono alle istituzioni- ma di uno scambio all’insegna della gratuità e della permeabilità tra governo e governat*. Di una politica che si muove e si baricentra sempre più fuori dalle istituzioni, alle quali è chiesto di accoglierla, di valorizzarla, di farsene mediatrici riducendo gli ostacoli. Nel caso delle donne, questo scambio in direzione di una “democrazia partecipata” sembra funzionare particolarmente bene.

Numerose le proposte elaborate e presentate ieri sera.

Lavoro/welfare: per dirne alcune, una conferenza sul lavoro delle donne a Milano; il curriculum anonimo (che non indichi sesso, età e nazionalità); progetto coworking; album comunale baby sitter; congedo obbligatorio di tre giorni per i neopapà per i dipendenti comunali; “nidi” flessibili.

Salute: oltre a un progetto sulla violenza sessista, le “Giardiniere” (così si sono chiamate) promuovono un’idea di salute che non coincida con le prestazioni sanitarie, ma abbia al suo centro modello di sviluppo; un’indagine conoscitiva sui consultori

Spazi: istituzione di una Casa delle donne.

Proposte ottime, buone e meno buone (ognuna avrà il suo punto di vista: per esempio a me l’idea di una Casa delle donne appare un po’ regressiva) ma all’insegna del metodo innovativo che dicevamo.

Che tuttavia dovrebbe applicarsi anche ad altre questioni rilevanti per la città: è un peccato, ad esempio, che le cittadine non esprimano il loro punto di vista su questioni come la vendita di Sea e il bilancio, alle quali la politica degli uomini (ieri sera sostanzialmente assenti, salvo il presidente del Consiglio Comunale Basilio Rizzo) sta riservando la sua attenzione prioritaria.

Mi pare che di bilancio le donne si intendano parecchio. Anche questa competenza va messa alla prova. 

 

Donne e Uomini, esperienze, lavoro, Politica Marzo 10, 2012

Il tempo-miracolo delle donne (quello per Saint-Cyr)

Ottomarzo tremendo quello appena passato, amiche e sorelle.

Ottomarzo anche stupendo. Dipende da quale parte lo si è  guardato.

Se dal lato del backlash, il contrattacco partito dopo l’uscita di scena del Cav. O da quello dell’opportunità storica che ci si para davanti.

Il Cav. doveva mollare, poche storie. E la “forza delle donne” veniva molto utile. Non irritatele, blanditele, parlatene sui giornali, rimettete le mutande alle smutandate in tv.

Ora che il Cav. è tornato nelle retrovie, la forza delle donne non serve più. Anzi. Ingombra. Fa problema. Smobilitare, prego. Sciogliere l’adunata. Circolare.

E ri-ecco, as usual, perché ce ne convinciamo, perché ci togliamo qualunque grillo dalla testa, gli inguini farfallati in primetime, le mamme pazze per il bianco più bianco, le pubblicità di Miss Patata, la politica for men only, che decide tutto dalla legge elettorale al welfare. Ecco quegli osceni contratti antimaterni.

Scenari italiani, tradizionali come le colline del Chianti. Non risiamo al bunga-bunga, ma poco manca.

Solo che la forza delle donne, accidenti, non se ne va. Resta lì, tutta intatta. Anzi: cresce. La stramobilitazione continua, ed è un fatto quasi commovente: andate online, pagine e pagine, blog che si moltiplicano, reti, social network. E comitati, convegni, riunioni, iniziative, imprese.

Le donne di questo Paese non dovrebbero avere tempo per nulla, e invece più gliene porti via -per il lavoro, per la famiglia, per la supplenza ai servizi che mancano- e più loro ne trovano per mobilitarsi, discutere, progettare, andare avanti.

E’ la miracolosa relatività del tempo femminile.

Come diceva Madame de Maintenon, moglie morganatica di Luigi XIV: “Il re si prende tutto il mio tempo; do il resto a Saint-Cyr”, ovvero alla scuola per fanciulle da lei fondata. E’ in quel resto paradossale che lei trovava la sua forza.

Funziona così. Faremo tutto. Non smobiliteremo. Non perderemo l’opportunità che abbiamo, che è quella di portare la nostra idea di politica e le nostre priorità in quella politica, il nostro sguardo su tutte le cose del mondo, la nostra differenza nello spazio pubblico.

E se proprio ci costringeranno a lottare, lotteremo.

Lo spirito del tempo è dalla nostra parte. Noi troveremo anche il tempo per Saint-Cyr.

Insomma, io questo ottomarzo l’ho visto stupendo.