Che per parlare di legge elettorale Berlusconi e Renzi si vedano al bar, al ristorante o alla Camera, che lo facciano a porte chiuse, in streaming o in mondovisione, che si telefonino o si twittino, è altamente probabile che la quadra sarà trovata sul cosiddetto modello spagnolo, più o meno rivisitato.

Vediamo come funziona: sono individuate 118 piccole circoscrizioni. Ogni circoscrizione elegge 4-5 deputati e la soglia di sbarramento è al 5 per cento. Chi vince gode di un premio di maggioranza del 15 per cento. Il risultato è un bipartitismo con sfumature “federalistiche”, che tiene cioè in conto le liste minori regionali mentre disincentiva le formazioni minori nazionali.
Per applicare questo modello in Italia si dovrebbero ripartire le attuali circoscrizioni in tante circoscrizioni provinciali autonome.
Le liste però, per quanto “corte”, anche qui sono “bloccate”: cioè niente preferenze da parte degli elettori, come negli ultimi terribili anni di Porcellum. Anche se almeno in linea teorica dovrebbe esserci una relazione più stretta tra territori e candidati e non capiterebbe, come è capitato, che un toscano venga candidato in Calabria e un romano in Sicilia.

La Corte Costituzionale ha sì bocciato le liste bloccate del Porcellum, ma non ha escluso la possibilità di liste chiuse “corte”.

Oggi i commenti degli editorialisti si concentrano su svariati temi, quasi sempre dal punto di vista della politica: le spinte dei “proporzionalisti” che non intendono sparire dalla scena, il rischio di franchi tiratori che farebbero cadere la proposta in Parlamento, e così via. Non mi pare che si stia dando sufficiente rilievo al fatto che anche in questa ipotesi di legge elettorale, le liste, per quanto brevi, sarebbero comunque bloccate. E forse gli elettori non la prenderebbero benissimo.

L’impossibilità di esprimere preferenze è largamente intesa come la radice della gran parte dei mali della politica, ragione prima del mancato rinnovamento e del consolidarsi della Kasta. Non è detto che tutti i problemi nascano di qui -le preferenze comportano una dannosa e dispendiosa lotta fratricida interna, oltre al rischio concreto di clientelismi- ma un’amplissima parte dell’elettorato italiano tende a vederla in questo modo. E anche a causa dell’orripilanza del Porcellum intende la restituzione della possibilità di scegliere direttamente i candidati -e le candidate- come una restituzione di sovranità.

Vi è quindi il rischio -sottovalutato, mi pare- che un modello elettorale che riproponga candidati scelti dai partiti e liste bloccate sia pure brevi e “territorializzate” produca un plus di disaffezione, ammesso che più di così sia pensabile.

Un correttivo possibile -ammessa una praticabilità, per circoscrizioni tanto piccole- sarebbero primarie per l’individuazione dei candidati. Primarie davvero aperte, però, e non riservate agli iscritti ai partiti, governati da signori e signorini delle tessere: la toppa, in questo modo, sarebbe peggio del buco. Allora tanto vale che a scegliere siano i capicorrente, senza scomodare gli elettori.

 

 

 

 

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