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sogno

esperienze, Politica Dicembre 27, 2011

Sarebbe stato bello!

Un amico mi manda un souvenir, gli auguri di Natale del Cav, una decina d’anni fa.

Lui è un po’ meno gonfio, ha qualche capello (vero) in più, è un bell’ometto. Dei festini di Arcore ancora non si sa nulla, la luce è calda, soffusa, scintillante, il sottofondo musicale carezzevole, il messaggio avvolgente, a Natale contano le cose vere, siamo tutti più buoni, etc.

Visto da fuori -alla fine dell’incubo- il sogno del berlusconismo mi appare più chiaro. Una società del Godimento, meno stato e più mercato, quel ragazzino nato a Milano, quartiere Isola, e cresciuto nel mito americano, che da grande diventa un tycoon e promette più America per tutti (accidenti, com’è strano il tempo, sembrano mille anni fa).

Ah, come lo capisco! Forse ci ha creduto perfino lui. Sarebbe stato bello. Io non ci sono mai cascata, nemmeno per un istante, nel Cav ho sempre visto soltanto un geniale bauscia, anch’io sono nata e cresciuta a Milano, non lontano dal quartiere Isola, conosco il tipo antropologico. Ma ora che non devo più difendermi da quella seduzione la sento tutta, permetto che mi investa, capisco fino in fondo perché tanta gente ha creduto al paese dei Balocchi! (rileggersi quel genio di Collodi). Immagino il disincanto, la nostalgia…

Sarebbe stato bello, amiche e amici. Peccato che non è mai stato vero. Quasi vent’anni di balle spaziali.

Ciao Silvio.

esperienze, Politica Novembre 6, 2008

IMPOSSIBILITATI A SOGNARE

“They can, noi no”, mi scrive una lettrice. Un primo, immediato, paradossale effetto Obama è stato quello di farci sentire dannatamente in trappola. Mi dice un’amica: “Meglio un monolocale nel Bronx che qui, con tutte le mie comodità”. E la lettrice di prima: “… ieri non riuscivo a provare gioia, a condividere l’entusiasmo e la speranza. Non sono una persona cinica, ma quella fiducia piena di aspettativa era ed è lontana da me. Lontana dalla cassa integrazione dei colleghi decisa da uomini che si sentono di sinistra, ma hanno il cuore a destra, dalla scuola di mia figlia che non so come sarà, in una nazione dove il Presidente del Consiglio riesce ad essere all’altezza del più sgradevole folklore italico, piuttosto che esprimere una progettualità nell’interesse comune. L’opposizione latita e sembra non credere più al suo ruolo mentre, anche volendo, non riesco a trovare nessuno strumento non dico per combattere, ma almeno per protestare”.

Mi fa venire in mente quel fronte politico trasversale, di destra e di sinistra, che sta per glassare la Liguria con un’unica enorme colata di cemento: alberghi, porticcioli, villette a schiera, tutti d’accordo per il business colossale -ne parleremo presto- e sembra non ci sia modo di fermarli. Anche se non rappresentano più in alcun modo l’interesse pubblico, non c’è modo di levarseli di torno, qui rubasperanza. Un “tappo” che ci soffoca, e ci impedisce di sognare. “We would have a dream”, ci piacerebbe avere un sogno. Ma non ci riusciamo.

E invece sì, che ci riusciamo. C’è ancora un po’ da tribolare, ma guai ad attardarsi nella frustrazione, che è un sentimento terribile. Prendiamo quel po’ di bene che c’è nella nostra vita -c’è sempre, da qualche parte, di sicuro- e attacchiamoci saldamente, come alla zattera che ci porterà fuori di qui. Il sogno collettivo di cui disponiamo, oggi, è il desiderio che tutti abbiamo di poter sognare. E allora pratichiamolo, da subito! Facciamolo vivere in tutti i modi, da oggi. Siamo sognanti. Spalanchiamo gli orizzonti del possibile: “We can, too”.

Sentite la mia maestra, la mia piccola amica Etty Hillesum, che sulla rete del parco pubblico di Amsterdam legge per la prima volta l’avviso “proibito agli ebrei”. Ed ecco come si sposta velocemente dalla frustrazione e dalla rabbia: “Restano sempre parecchi posti in cui vivere nella gioia!”.