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Archivio Maggio 29, 2008

CI VUOLE UN FISICO BESTIALE

Si tratta di scegliere tra due inferni: l’inferno della coppia, o quello della solitudine. E’ quello che dico di solito alle amiche zitelle che non si decidono: buttare all’aria l’ordine perfetto delle loro cabine-armadio per fare (o rifare) spazio a giacche e cravatte? o archiviare la pratica in via definitiva?
Le single sono state celebrate e vituperate da almeno un decennio di stampa e di cinema. Propaganda fruttuosa: sono sempre di più, originarie o di ritorno. A Berlino i soli hanno superato gli imparentati. L’eventualità di una vita da soli entra ormai a far parte di ogni educazione sentimentale illuminata. I figli li si vorrebbe vedere “sistemati”, certo, e se il posto fisso è un miraggio, almeno un partner fisso, casomai due, e magari un paio di bambini. Ma poi la vita va come va, ed è meglio prepararli. Meglio che siano attrezzati per stare sulle loro gambe: saper fare conto su se stessi è sempre una cosa buona, certo, anche quando si viaggia in due.
Ma c’è un difetto, mi pare, in questa impostazione: che venuto meno l’obbligo di sposarsi, alla famiglia non si fa più pubblicità. Anzi, mettere su un nucleo e tenerlo in piedi è diventata un po’ una cosa da sfigati. Parlando di Berlino, dice lo scrittore Peter Schneider: “Si fa strada l’idea che che fare bambini e famiglie sia un affare per il Terzo mondo… E’ una perdita, per gli adulti come per i bambini. Non è uno sviluppo positivo per la società”. Come se ormai la solitudine fosse la condizione umana naturale, e la coppia un’eccezione.
Ma ai ragazzi va detto anche questo: che per stare soli ci vuole un fisico bestiale. Ci dev’essere qualcosa di molto importante da fare in cambio, una missione, un challenge, qualche genere di “figlio” che ti risarcisca. E se è vero che anche in coppia ci si può sentire soli, mai come si è soli da soli, però. Certo, ci vuole pazienza e rispetto per l’altro, che resterà sempre un altro, anche se ce lo sposiamo. Eventualmente ammirazione per la sua differenza. Si può stare benino, a saperci fare.
L’essere umano sembrerebbe congegnato per il due: ma mi pare di dire un’eresia, ci credete?
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)

Archivio Maggio 29, 2008

UNA GRANDE FAMIGLIA

Oggi è l’8 marzo. E tanto per essere chiara non ho nessuna voglia di parlare di aborto, cosa di cui peraltro fatico a parlare in qualunque altro momento dell’anno. Non ho voglia nemmeno di parlare di single, di emancipate, di quote, di glass ceiling, della forza delle donne, di pari opportunità, di conciliazione dei tempi, di allegre pizze tra colleghe d’ufficio con i mazzetti di mimosa nel portatovagliolo. Né tanto meno voglio parlare di strip maschili e di sguaiate signore che infilano banconote nei perizoma.
Oggi mi è venuta voglia di parlare di famiglia, e della grande nostalgia che ne ho. Guardo la mia famigliola striminzita, 4 cane compreso, sparpagliata nella grande casa, e mi faccio una certa pena. Penso a chi non ha nemmeno questo, e il cuore mi si stringe anche di più. Penso alla mia famiglia d’origine, allegrissima e allargatissima ad amici, vicini, cristi di passaggio. Un carrozzone festoso e incasinato, avete in mente certi flash back di Woody Allen? chiassose tavolate kosher nella vecchia Brooklyn, la zia zitella, il nonno, il cugino intellettuale, non uno uguale all’altro, il trionfo della singolarità.
Che strano, mi viene da dire: oggi che siamo finalmente individui, che la dimensione comunitaria è stata fatta fuori, ci somigliamo tutti, avete fatto caso?  perfettamente interscambiabili, uno che vale l’altro, vestiti allo stesso modo, la stessa amara piega nasogeniena, segno inconfondibile della solitudine umana.
Mi fa schifo come viviamo, non siamo nati per questo, vorrei potermi chiudere in una stanzetta con i miei libri, tappandomi le orecchie come facevo da bambina, vorrei il caos della vita intorno a me, vorrei i miei genitori che stavano al bar fino all’una di notte perché era tutto troppo divertente per andare a dormire, e io che gli crollavo in braccio. Vorrei una grande famiglia, una famiglia però senza padroni, piena di fiducia, di allegria e di libertà, piena di vecchi e di bambini, e le chiacchiere delle donne in cucina. Abbiamo cercato altro, e non ci è venuto benissimo. E’ il momento di dirselo. E’ quello che penso, e ve lo offro con tutto il cuore.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)