Browsing Tag

pro-life

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica, salute Dicembre 15, 2014

Parlare d’aborto con un antiabortista: Luigi Amicone, direttore di “Tempi”

Luigi Amicone è fondatore e direttore della rivista “Tempi”. Wikipedia lo definisce “esponente dei teocon”. Di sicuro è un cattolico fervido e intelligente. Parlo di aborto con lui, perché parlarne con le mie amiche è troppo facile.

Mettiamo i piedi nel piatto, senza preamboli. La legge 194 ormai non esiste quasi più causa obiezione di coscienza, che supera il 70 per cento, con punte del 90, e molti casi di obiezione di struttura come il Policlinico, il più grande ospedale di Roma.

La legge 194 è nata a tutela della maternità. Questo spirito è andato via via perdendosi. Della legge è rimasta la “conquista” dell’aborto. Se c’è una cosa da recuperare è quello spirito originario, frantumando le cristallizzazione ideologiche estreme: da una parte chi pensa all’aborto come a una bandiera di libertà, elaborazione cinica di un dramma umano; dall’altra le manifestazioni dei pro-life che fanno i funerali agli embrioni. Io sono per la difesa della vita, dal concepimento alla morte, ma non mi pare che la posizione dei pro-life, la preghiera brandita come memento mori, sia così utile alla causa. Paola Bonzi, fondatrice del Centro Aiuto alla Vita in Mangiagalli, è una che non ha mai fatto crociate: è costantemente presente là dove le donne soffrono, e il primario Alessandra Kustermann rispetta il suo impegno. Due donne ai poli estremi che dimostrano come si può affrontare la questione”.

Resta il fatto che tante oggi sono costrette agli aborti clandestini e fai-da-te da un’obiezione in gran parte opportunistica. Vero che non si può frugare nelle coscienze per discernere il grano dal loglio. Ma la non applicazione della legge serve solo ad aumentare il rischio per le donne, non a diminuire il numero degli aborti. Non c’è riduzione del danno, ma aumento del danno. E tu sai che il Consiglio d’Europa ci richiama ad applicare la 194.

“L’Europa pensa l’aborto come un ordinario evento della vita riproduttiva”.

Veramente l’Europa ha bocciato la risoluzione Estrela…

“Comunque in Europa circola l’idea un po’ orwelliana del diritto d’aborto come un fatto di progresso. A questo tipo di legalità preferisco l’illegalità“.

Stai dicendo una cosa enorme. Spero tu non intenda dire che preferisci la clandestinità, con i rischi che comporta. Spero che tu intenda dire che preferisci la depenalizzazione, ovvero l’abolizione del reato d’aborto: ti ricordo che oggi l’aborto non è reato soltanto se praticato nelle strutture pubbliche. La depenalizzazione fu un’opzione minoritaria nel movimento delle donne: forse ci si dovrebbe ripensare.

Depenalizzazione, forse. Ma anche libertà delle coscienze. D’accordo sul fatto che mettere a rischio la salute delle donne non aiuta. Ma faccio notare che il primo rischio è per la pelle dei bambini. La depenalizzazione, ovvero la possibilità di attuare in sicurezza gli interventi fuori dalle strutture pubbliche, potrebbe essere un’idea da pensare. Anche se poi si aprirebbe il pericolo di un mercato degli aborti”.

E invece l’ipotesi di concorsi pubblici che riservino metà dei posti ai non-obiettori?

“Non puoi chiedermi questo! Io mi augurerei il cento per cento di obiezione”.

Be’, quasi ci siamo arrivati. Quindi a te va bene andare avanti su questa strada. Cioè fare finta che non applicando la legge l’aborto sparisce. Ignorare il problema è buona politica?

“Forse non è buona politica. Forse, ripeto, la depenalizzazione potrebbe essere una soluzione. Ma so che i fatti determinano cultura. Anche con la depenalizzazione l’aborto verrebbe banalizzato. Forse la vera cosa da fare sarebbe vietare l’aborto su tutto il territorio nazionale e costringere le donne ad andare all’estero…”.

Stai provocando? La tua logica è punire le donne. Non è così che gli aborti diminuiranno.

“E’ una provocazione per dire che quello su cui si dovrebbe davvero lavorare è una cultura dell’accoglienza. Fare sapere a tutte le donne che non sono in condizioni di avere un bambino che possono metterlo al mondo lo stesso, che ci sarà qualcun altro a prendersi cura di lui. Per esempio le ruote degli innocenti, ti ricordi?”.

Ci vorrebbero piuttosto le ruote dei dirigenti: la maternità incide per lo 0.23 per cento nei bilanci aziendali, dice Federmanager. Eppure le madri sono viste come un pericolo per la produttività. E’ un fatto di cultura che stenta a cambiare.

“Il mio pensiero è questo: lotta a tutto campo perché le donne non siano impedite a fare bambini, a partire dal mondo del lavoro. E accoglienza per tutti i bambini, anche quelli non voluti. Cominciando per esempio con il facilitare le adozioni“.

Mi permetto di ricordarti che più le donne lavorano, più figli fanno: c’è una proporzionalità diretta e verificata. E invece restiamo inchiodati all’idea che le donne fanno più figli se stanno a casa.

“Lasciamelo ridire: se io fossi al governo lancerei la sfida del divieto di aborto su tutto il territorio nazionale.

Insisti? Ripeto che il divieto c’è già nei fatti, con questi livelli di obiezione.

“Ma quanti migliaia di aborti sono stati praticati dal 1978 a oggi? Troviamo il modo per fare crescere la natalità, pensiamo anzitutto a questo. Siamo il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone: denatalità è sinonimo di declino economico e sociale. Investiamo su questa grandezza femminile, il fatto di poter dare la vita. Diamo valore a questa potenzialità, costruiamo accoglienza. Poi anche la depenalizzazione ci può stare, ma non la metterei al centro delle politiche”.

Su questo si può discutere. Però discutiamone. Smettiamola di fare finta di niente.

p.s: facile confrontarsi solo con chi la pensa come te.

Donne e Uomini, economics, italia, lavoro, personaggi Novembre 1, 2013

Chi sono i veri “abortisti”

Il dibattito seguito al mio ultimo post -post che si limitava a dare una notizia sulla giunta di Firenze, verificata e verificabile, e di riportare il  commento di uno dei candidati alla segreteria del Pd, Giuseppe Civati: ho interpellato personalmente anche Gianni Cuperlo, che però evidentemente non ha nulla da dire- è diventato uno scontro feroce  tra “pro-life” e pro-choice, con punte truculente, alla Santorum.

Tra le molte contumelie, mi sono beccata anche della “abortista”. E allora consentitemi di dire quello che penso sulla questione.

Penso che:

1. quando un uomo parla di aborto, di feti e così via c’è sempre da stare all’erta. Addetti ai lavori a parte, gli uomini capiscono poco di aborto, tendono a disinteressarsene, e spesso lo ritengono, “da utilizzatori finali”, una comoda soluzione. Quando l’interesse di un uomo si accende, specie se si tratta di un politico, quasi certamente ci sono voti da raccattare.

2. “Donna abortista” è un ossimoro, perché nessuna donna vorrebbe mai abortire. A molte è capitato, e quando è capitato è sempre stata un’esperienza vissuta con sentimenti che vanno dalla tristezza, al dolore, al trauma e al dramma, secondo la sensibilità e secondo le circostanze. Non ci sono donne abortiste: ci sono donne che hanno abortito, e altre che hanno dato loro una mano perché ciò avvenisse in condizioni di sicurezza. La grande maggioranza delle donne di questo Paese, militanti pro-life comprese, condivide l’auspicio che nessuna debba mai più morire d’aborto. Sperare che le donne muoiano d’aborto -per esempio auspicando l’abrogazione della 194- non è una buona strategia pro-life.

3. La legge 194 ha ottenuto il risultato di ridurre a quasi-zero la mortalità per aborto. E’ una buona legge, apprezzata dalla maggioranza dei cittadini e delle cittadine. Anche in forza di questa legge, il numero degli aborti è diminuito. Purtroppo oggi la 194 è una legge di carta: non essendo riusciti ad abrogarla, la stanno svuotando dall’interno. La legge è sostanzialmente inapplicata* in buona parte del territorio nazionale a causa di un’adesione massiccia all‘obiezione di coscienza da parte di ginecologi e anestesisti. Fare aborti non piace e non conviene a nessuno in termini di carriera, e molte direzioni sanitarie apprezzano e premiano chi obietta. Il diritto all’obiezione non può non essere riconosciuto, ma la legge 194 va applicata come qualunque altra legge dello stato: ormai stiamo tornando al “turismo abortivo” e alla clandestinità. Se ne esce soltanto con l’obbligo da parte delle direzioni sanitarie ospedaliere di assumere una quota garantita di non obiettori che consenta di espletare il servizio imposto dalla legge. Un’altra strada, più complessa, sarebbe la depenalizzazione dell’aborto -è la strada che io  preferirei- ma non ci sono oggi le condizioni politiche per riaprire il dibattito. Non basta, perciò, che un politico dica retoricamente e a costo zero: io sono a favore della 194: questo impegno non significa nulla. Bisogna che dica: farò tutto ciò che serve perché la legge venga applicata.

4. I veri abortisti sono tutti coloro contribuiscano a qualunque titolo alla creazione di condizioni sfavorevoli alla maternità. A cominciare da quei datori di lavoro che costringono le giovani donne a firmare all’atto dell’assunzione dimissioni in bianco, da utilizzarsi in caso di gravidanza, o che le condannano al precariato permanente. Per arrivare alle banche che non concedono mutui per l’acquisto della prima casa, impedendo a molte giovani coppie di costruire un proprio nido. E alla politica che non investe nel welfare e nei servizi, abbandonando le giovani madri al loro destino, che non mette in atto vere politiche per il sostegno familiare -altro che Paese della famiglia: siamo il fanalino di coda in Europa-.  Che non ragiona su una dis-organizzazione del lavoro che consenta di avvicinare tempi di lavoro e tempi di vita. Nella gran parte dei casi, le donne abortiscono perché costrette da condizioni materiali inaggirabili. I veri abortisti sono anche quegli uomini che non condividono i pesi della vita familiare o, peggio, che non si assumono la loro responsabilità contraccettiva e lasciano la donna sola con la sua gravidanza, “tanto c’è l’aborto”. E’ su questi temi, e non manifestando davanti alle cliniche ostetriche o inneggiando ai cimiteri degli aborti, che i “pro-life” devono esercitare la loro volontà politica. Il programma è questo, condivisibile anche dai pro choice.

5. L’aborto non è un tema politicamente marginale. Non lo è mai stato. E non può essere terreno di esercizio del “ma anche”. Non puoi accarezzare il pelo dell’oltranzismo cattolico,”ma anche” sperare nel consenso dell’elettorato femminile. Questo consenso forse l’avrai se le elettrici non saranno state debitamente informate. Ma su un tema così sensibile le posizioni -tutte legittime, s’intende- devono essere chiare e nette. Il presidente Barack Obama sta affrontando il suo secondo mandato anche grazie al sostegno dell’elettorato femminile. E se le donne hanno deciso in maggioranza per Obama, è stato anche per la sua posizione sul tema del’aborto: tema dirimente, come hanno dimostrato le analisi del voto Usa. La questione numero 1 per il 39 per cento delle americane, anche per il suo forte portato simbolico.Perfino più importante del lavoro.

* In Lombardia sceglie l’obiezione di coscienza il 67,8 per cento dei ginecologi. Un dato poco al di sotto della media nazionale, pari al 69,3 per cento di obiezione nel 2010, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Salute. La Lombardia, insomma, non è la regione messa peggio, considerando le punte toccate da Basilicata (85,2 per cento), Campania (83,9), Molise (85,7) e Sicilia (80,6).