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diritti, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Maggio 6, 2015

Amore e rispetto per le sorelle prostitute. Ma quello non è un mestiere come un altro

Amore e rispetto per le sorelle prostitute. Per quelle “autodeterminate” (secondo gli addetti ai lavori, non più del 5 per cento del totale) e a maggior ragione per le schiave sessuali, le prostituIte. Quando dico amore e rispetto penso alle facce e ai corpi di mie vere amiche, nate donne o trans, con cui ho condiviso intimità e pensieri, e che per me sono state come tutte quante le altre mie amiche. Non mi sono mai sognata di discutere la loro scelta, ho raccolto senza giudizi le loro confidenze sulla brutalità (o sulla ridicolaggine) dei loro clienti, e se mi stanno leggendo potranno testimoniarlo nel proprio cuore.

Per esempio con Tizia ho riso molto mentre mi raccontava di quell’illustre professore che adorava farsi passeggiare con i tacchi a spillo sulla schiena ed eventualmente prendersi due cazzottoni. O di quel tale, ometto minuscolo e calvo che si presentava in corsetto e reggicalze sotto il paltò: nel tragitto dall’auto all’appartamento lei si vergognava da morire, temendo che qualcuno la vedesse in compagnia del mostriciattolo en travesti. Perché, cari clienti, bisogna che lo sappiate: le prostitute ridono molto di voi e delle vostre comiche perversioni (a volte sono meno comiche, e allora c’è poco da ridere).

Le schiave sessuali sono più difficili da avvicinare. Qualche giorno fa percorrevo una strada interna della Sicilia, assolata e profumata di zagara. Ogni dieci metri una ragazza nigeriana, in qualche caso proprio una bambina. Ho notato che portano quasi sempre qualcosa di rosso, sono truccatissime e di costituzione abbondante: grossi seni, grandi sederi in mostra. Ho visto un vecchietto che ne scaricava una. Ho pensato: povera te, che ti tocca farti toccare da quel papa smanioso. Meriteresti l’abbraccio vigoroso di un giovane che ti ama veramente.

Davvero pensate che una donna possa disprezzare o detestare queste creature? Le cosiddette “abolizioniste” sperano solo di poter ridurre il danno per il maggior numero e di contenere in un minimo residuale la necessità di prostituirsi per vivere. A Pia Covre -Comitato per i diritti civili delle prostitute- dico che possiamo anche ragionare sulle tutele che le lucciole autodeterminate chiedono da decenni, al netto del fatto che non siamo più negli anni Settanta né Ottanta: il quadro della prostituzione è drammaticamente mutato, ormai si tratta quasi interamente di schiavitù. Quello che non ci si può chiedere è di considerare la prostituzione un mestiere come un altro. 

La prostituzione non è un mestiere come un altro. Chi vuole liberamente prostituirsi lo faccia, proponga le misure che per la sua esperienza sono necessarie a ridurre il rischio sociale e tutti gli altri pericoli: discutiamone. Ma non chieda pacificazione e normalizzazione di quella che resta una ferita aperta: il mercato tra una sessualità maschile abusante, che paga per il “diritto” di esercitare sul corpo di una donna pratiche -spesso ripugnanti- di compensazione identitaria, e il bisogno femminile di campare. Le belle de jour sono figure letterarie, minoranza nella minoranza già esigua delle libere professioniste, la maggioranza della quali ha certamente intrapreso il mestiere per mettere insieme il pranzo con la cena. Quanto al restante 95 per cento, è stato sbattuto in strada per fare mangiare abbondantemente i businessmen criminali.

La prostituzione non può essere normalizzata perché rappresenta lo scacco delle relazioni tra donne e uomini, la perversione del dominio di un sesso sull’altro. E questo riguarda tutte le donne, non solo le prostitute.

Rispetto anche per chi, come la senatrice piddina Maria Spilabotte, è convinta che la strada giusta sia costituita da regolarizzazione, zoning, certificati di idoneità rilasciati dalle Asl e altre misure del genere. Il mio dissenso è radicale. Mi pare che Spilabotte, che è molto simpatica e disponibile, dica cose davvero allucinanti. Se non avete letto l’intervista pubblicata su “Io donna” qualche giorno fa, ve la ripropongo qui.

Fatevi un’idea.

 

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Così, così, così”: sulla condizione di prostituta “Filumena Marturano” dice ancora l’essenziale. Quella “guagliona” raccontata da Eduardo, costretta al mestiere dalla miseria e dalla fame. Poi sono venuti gli anni Settanta-Ottanta delle sex worker emancipate e autodeterminate. Ma oggi la tratta dei migranti, il più colossale business d’Occidente, ci ha riportato a Filumena. Anzi, peggio: schiave, decine di migliaia, il 95 per cento di tutta la piazza. Le prostituIte*: mercato che in Italia vale almeno 1,5 miliardi annui, con 9-10 milioni di prestazioni erogate al mese (dati Direzione Nazionale Antimafia). E’ questa la situazione con cui la politica deve fare i conti. Tra i vari disegni di legge depositati in Parlamento, quello a prima firma Maria Spilabotte, senatrice Pd: proposta di regolarizzazione che agita il movimento delle donne. E anche la Chiesa (il suo parroco, a Frosinone, l’ha semi-scomunicata). Il più dell’Europa -il Nord, la Francia, perfino l’Olanda delle ragazze in vetrina: la tratta è fiorente anche lì- va da tutt’altra parte: restrizioni, punibilità dei clienti, in coerenza con la risoluzione Ue firmata dalla laburista Mary Honeyball, che definisce la prostituzione una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana”. E indica il modello svedese –lì si sanziona il cliente- come quello da seguire. Perché mai noi dovremmo viaggiare contromano? In Germania la legalizzazione (2002) è stata un disastro: oggi è il bordello d’Europa, il business della tratta ancora più fiorente, e la politica non sa come cavarsi dall’impiccio.

“Non sarebbe come in Germania “dice Spilabotte. “Lì ci sono megabordelli gestiti da impresari del sesso. Io voglio autoimprenditorialità, iscrizioni alle Camere di Commercio…”.

In Germania si sono iscritte in 44 su 400 mila…

“Si deve comunque tentare. Ci sarà anche a un colloquio nelle Asl per ottenere l’idoneità psicologica”.

Mi immagino le file…

“… in qualunque Asl d’Italia. Si deve tenere conto delle ragioni di discrezione”.

A molte sex worker il suo ddl non piace.

“Perché non vogliono pagare il tesserino: 6000 € per il full time, 3000 per il part-time. E non gli va che i loro nomi siano comunicati in questura. Ma non è una schedatura. E’ un albo. Come per i notai”.

E comunque di libere sex-worker ce n’è pochine. 9 su 10 sono schiave di tratta.

“Regolarizzare serve proprio contro la tratta”.

Carolyn Maloney, comitato anti-tratta al Congresso Usa, dice il contrario:“C’era una volta la convinzione naif che legalizzare la prostituzione consentisse di migliorare la vita delle prostitute e di scacciare il crimine organizzato. Come tutte le fiabe, anche questa convinzione si è rivelata pura fantasia”.

“Sono le politiche proibizioniste ad aver clandestinizzato la prostituzione e foraggiato gli schiavisti”.

Insomma: il modello svedese a lei non piace.

“Da noi è inapplicabile. Lì c’è un gran lavoro sull’educazione sessuale e sulle pari opportunità. Ci sono fondi anti-tratta. Qui non abbiamo nulla. E il tasso di inoccupazione femminile è il più alto d’Europa: molte donne  come potrebbero sostenersi?”.

Ah, capisco! Prostituirsi è un’opportunità di lavoro come un’altra!

“Be’, anche quelli di muratore o badante sono mestieri che si fanno solo per il pane. Ognuna usi il proprio corpo come crede”.

La Consigliera di parità del Governo, Giovanna Martelli, si è espressa a favore dei quartieri a luci rosse. Poi Palazzo Chigi l’ha stoppata. Secondo lei il suo ddl piace a Renzi?

“Non è del tutto chiuso. Teme il giudizio della Chiesa, ma in questi tempi di vacche magre è anche allettato dal tesoretto fiscale”.

Lei sa che per Expo sono attese 15-20 mila prostitute?

“Il sindaco dovrà indicare le zone dove esercitare. Ma le sembra giusto che tutti i soldi che guadagneranno in Italia poi vengano portati all’estero?”.

Insomma, ci vorrebbe lo Stato pappone. Come ai bei vecchi tempi.

“Ma lo Stato è già pappone! Impone forfait fiscali secondo i conti correnti o la casa che hai comprato. Tanto vale pagare le tasse giuste”.

Crede che la sessualità maschile sia immodificabile, come un dato di natura? C’è la legge di gravità, e poi ci sono gli uomini che pagano per il sesso…

“Mai pensato. Bisogna educare alla sessualità e all’affettività. Prevenire, come per lo stalking e i femminicidi. Ma è un lavoro lungo, di anni e anni”.

 

 

Donne e Uomini, Politica, tv Febbraio 9, 2011

FUORI DALLA CAMERA, CHE DOBBIAMO FARE ORDINE

Mettetevi nei panni di una donna: che lavora, fa marciare casa e famiglia, va in banca, dal dottore e dal commercialista. La solita fantastica vita d’inferno. E va anche a teatro, al cinema, in libreria, alle mostre, ai dibattiti. Fa politica, la politica vera, la politica prima, quella che viene liquidata come “volontariato” o “cura”. E ama, ovviamente, l’amore è sempre in cima ai suoi pensieri: in qualche modo dovrà tenersi su. E lotta contro un’organizzazione del lavoro assurda, contro il disordine, la sporcizia e gli sprechi, le sue magnifiche ossessioni. Sempre avanti, anche se in salita: la femminilizzazione del mondo è irresistibile. Altro che silenzio: un chiasso del diavolo.

Ma di questa donna e di quelle come lei (praticamente tutte), nella rappresentazione pubblica non c’è traccia. Da anni. La tv degli uomini, i media degli uomini –sono sempre loro a decidere, anche quando il target è femminile-, sembrano il paradiso dell’Islam, pullulante di huri decerebrate. Le donne vanno avanti, ma lì si torna indietro, come in un sogno consolatorio. Ma tu hai troppo da fare, e la cosa migliore è fingere di non vedere, come quando tuo marito ti tradisce e tu tieni duro, sperando che passi.

Però intanto non puoi non notare tante brave telegiornaliste che vanno soggette a una mutazione progressiva, sempre più simili al Modello Unico Televisivo. Che la gnocca di contorno è d’obbligo anche nelle trasmissioni dei paladini della libertà –tutti bruttini- a compensare la signora ospite intelligente ma unappealing. Perfino “L’Unità” sceglie la parte per il tutto, un tonico lato B firmato Oliviero Toscani, un paradossale lancio per la direzione-Concita: la furia delle blogger si scatena. E l’11 dicembre a Roma, nella Piazza San Giovanni che fu di Berlinguer e di Nilde Jotti, il Pd affida la conduzione del suo No-B Day a Martina Panagia, già Seno Alto Cadey e numero due a miss Padania: una che a quanto pare non si fa problemi di schieramento.

Poi un bel giorno a Milano la volante Monforte-bis carica una scellerata ragazzina detta Ruby, e tutto il venefico preparato ti precipita addosso. Non puoi più fingere di non vedere, la spesa falla il venerdì perché sabato devi scendere in piazza a dare prova della tua dignità, fatta coincidere con il fatto di non prostituirti come quelle dannate “olgettine tr..e”. Tante vogliono vedere rotolare la testa corvina di Nicole Minetti. Un grandissimo disordine simbolico che non sarà facile districare.

Non sono santa né puttana, e non so cosa mettermi. Secondo Irene Tinagli, eventuale leader del Nuovo Polo, “chi si presenta in autoreggente lo fa non solo perché gli uomini la vogliono così, ma anche perché é insicura”. E girano online consigli per un look dignitoso: mai pendant alle orecchie, troppo allusivi. “Ho come l’impressione che molte che vanno in piazza in questi giorni guardino il dito, e non la luna”, nota graziosamente Pia Covre, leader del movimento per i diritti civili delle prostitute, interpellata dal settimanale “Gli Altri”.

Le promotrici della manifestazione del 13 febbraio sentono a questo punto di dover precisare che “a motivarci non è un giudizio morale su altre donne, ma il desiderio di prendere parola pubblica per dire la nostra forza”. E chiamano anche gli uomini a esprimere il loro rifiuto del modello sessista. Modello che, intendiamoci, è sempre quello degli altri. Non abbiamo ancora avuto la fortuna di sentire un uomo interrogarsi in prima persona e pubblicamente sulla propria sessualità, su quel tenace intrico sesso-potere-denaro, sul fatto di usare il corpo di altre –e altri- come merce, dando la prostituzione per scontata come un fatto di natura.

Tutti femministi. Fanno bene a cavalcare la tigre, intendiamoci, che è una tigre davvero, ed è pure un bel business. Ma avverte Pia Covre, che di maschi se ne intende: “In questo momento fa comodo usare le donne per battere Berlusconi. C’è quindi una strumentalizzazione”. Detto da una che pure Berlusconi non lo ama affatto.

Domanda delle 100 pistole: qual è l’obiettivo? La testa del premier? O, più in generale, il machismo della nostra politica? Che cosa chiede la piazza? Non c’è protagonismo politico, in mancanza di chiarezza.

La filosofa Luisa Muraro fa notare che in questo neofemminismo maschile “c’è un pericolo, quello della idealizzazione: un altro passo e si finisce nella misoginia, perché le donne reali non corrispondono agli ideali di nessuno”. Ce n’è anche un altro, di pericolo: che mentre noi stiamo lì con sciarpa bianca a difendere la nostra dignità, le decisioni politiche continuino indisturbati a prenderle loro. La manifestazione del 13 dovrebbe servire a dire che tutto questo non sarebbe capitato, se a decidere ci fossero state anche le donne. E invece non c’erano, e continuano a non esserci, e quelle poche che ci sono non vengono ascoltate. Dovrebbe chiedere che la scadente politica maschile si apra finalmente alla società e alla politica femminile, che assuma con decisione il doppio sguardo.

Fuori dalla Camera, che dobbiamo fare ordine”: lo slogan, femminilissimo, potrebbe essere questo. E fuori dai partiti, dalla tv, dai media, dai consigli di amministrazione, perché se siamo arrivate a questo punto è perché lì continuano a esserci solo maschi.

Il tempo (kairòs) è questo. Il tempo del genio femminile, per dirla con papa Wojtila, il tempo della saggezza, che per la tradizione ebraica è il volto femminile di Dio. Lo dicono i preti, lo dicono i rabbini. Lo dice anche il mio ortolano, per niente femminista, marito di una brava ragazza che manda avanti magnificamente casa e bottega. E sarebbe contento di avere tante brave ragazze anche lì, dove si decide per conto di tutti. Anche una premier, perché no? che costituirebbe l’esito naturale di questa assurda storia italiana.

Sono tutti pronti. Anche noi siamo pronte. Ma i politici, femministi compresi, loro no.

(pubblicato oggi sul Corriere della Sera).