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AMARE GLI ALTRI, economics, Politica Aprile 23, 2014

Emergenza migranti: Mare Nostrum potrebbe chiudere prima dell’estate

Pozzallo, Sicilia, domenica di Pasqua: un migrante eritreo bacia la terra appena, sbarcato in porto (foto di Stefano Guindani per Fondazione Francesca Rava)

A bordo di nave San Giorgio c’è il cervello di Mare Nostrum, coordinato dall’ammiraglio Mario Culcasi. La sala operativa ospita lo staff con i responsabili dei vari rami di attività, sempre strettamente interconnessi, dalla pianificazione al legal advisor. Scopo della missione è garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia chi lucra sul traffico umano.

Un po’ di numeri di Mare Nostrum, che ha appena compiuto 6 mesi e impegna 779 militari, oltre a Polizia, Guardia di Finanza, team dell’ufficio immigrazione, mediatori culturali e squadra di fotosegnalazione (l’attività di identificazione dei migranti comincia a bordo), affiancati da volontari come quelli della Fondazione Francesca Rava (contattabile qui). Insieme alla San Giorgio, che ospita anche un’infermeria attrezzata con sale chirurgiche e un servizio di telemedicina connesso all’ospedale militare romano del Celio, altre 4 navi (Espero, Aliseo, Cassiopea e Sirio) perlustrano ininterrottamente un’area di mare di 71 mila km quadrati (3 volte la Sicilia) con l’ausilio di elicotteri e  natanti per lo sbarco dei naufraghi. Sono impegnati anche velivoli della Marina e della Polizia dislocati a Catania e Sigonella, e un drone.

Dopo essere stati assistiti e rifocillati, e dopo una prima identificazione, i migranti vengono sbarcati in genere nel giro di 12-15 ore: Lampedusa si raggiungerebbe più velocemente, ma attualmente è chiusa agli sbarchi per lavori nel centro di accoglienza e sulle banchine. I migranti salvati sono stati 28 mila in 6 mesi (compresi quelli, circa il 25 per cento, recuperati dalla Gdf, da pescherecci e mercantili).Nel 10 per cento dei casi si tratta di donne. Un altro 10 per cento è costituito da minori, molti dei quali non accompagnati. 78 scafisti sono stati identificati e arrestati.

I migranti vengono imbarcati prevalentemente in Libia, ma anche in Tunisia, in Egitto e più raramente dalla Grecia e dalla Turchia. Provengono in gran parte dal Corno d’Africa, dall’Africa sub-sahariana e dalla Siria, da dove partono intere famiglie in fuga dalla guerra. I porti di sbarco sono prevalentemente Augusta (Sr), Pozzallo (Rg) e Porto Empedocle (Ag)

La missione è costata finora 54 milioni, 9 milioni al mese, interamente stanziati dalla Marina Militare Italiana. Secondo l’ammiraglio Culcasi il dispositivo è ben bilanciato, ma per garantirne la continuità servono nuovi fondi, soprattutto per il carburante e per la manutenzione delle navi.

 

L’ammiraglio Filippo Maria Foffi è il Comandante in Capo della Squadra Navale. Gli chiedo se Mare Nostrum durerà ancora a lungo.

Potremmo dover cessare le attività a fine giugno-inizio luglio, qualora l’Europa non si rendesse conto che lo sforzo che stiamo compiendo va condiviso (il che significherebbe la strage dei migranti, ndr). Quello dei migranti non può essere inteso come un problema italiano: stiamo controllando il confine sud del continente europeo, e stiamo salvando decine di migliaia di vite umane. Ma se avessimo dovuto attendere finanziamenti dedicati la missione non sarebbe mai partita, e dopo la tragedia di Lampedusa non potevamo più aspettare. Siamo orgogliosi del lavoro che stiamo facendo, e vediamo con soddisfazione crescere un’opinione pubblica favorevole. D’altro canto siamo anche perfettamente consapevoli di non costituire la soluzione ai problemi che sono all’origine di questi flussi: siamo l’aspirina, non la terapia. Alla base di queste grandi migrazioni ci sono crisi economiche devastanti e situazioni di guerra. Noi facciamo la nostra parte, ma il problema dei flussi deve essere affrontato e governato dalle Nazioni Unite, che a quanto pare tardano a mettere a fuoco soluzioni efficaci, insieme a organizzazioni regionali come l’UE e l’Unione Africana, allo scopo di mettere al sicuro centinaia di migliaia di esseri umani in mano a milizie che lucrano su questo traffico. Ci sono migranti che al momento di imbarcarsi esitano per il terrore di dover affrontare il mare aperto, ma vengono minacciati, picchiati e perfino torturati con elettrodi. Molti magistrati esperti di diritto internazionale ritengono che questa catastrofe umanitaria debba essere formalmente classificata come un capitolo della tratta degli schiavi, e affrontata con gli strumenti che si adottano in queste circostanze. Non è compito di Mare Nostrum, che è un dispositivo di sorveglianza e di salvataggio. Ho partecipato a riunioni di coordinamento con il governo e posso testimoniare una grandissima sensibilità sulla questione, con l’obiettivo di utilizzare l’imminente semestre italiano di presidenza UE per richiamare alle loro responsabilità sia l’Europa sia le Nazioni Unite. Mi conforta l’attenzione crescente dell’opinione pubblica e dei media internazionali: la Germania sta facendo documentari su Mare Nostrum, esempio della capacità italiana di essere ad un tempo “coraggiosi e buoni”. Non esiste al mondo una nazione che fa quello che stiamo facendo noi, con tanto entusiasmo e tanta dedizione, spingendosi fino a 400 miglia dalle coste della Sicilia”.

Interpellata a riguardo, Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa in prima fila da anni sul fronte migrazione, ha dichiarato al Corriere della Sera che “occorre un Mare Nostrum 2” a terra, “sulla terraferma e sulle due coste”, perché una volta che le navi sono attraccate con il carico di migranti “non c’è quasi niente oltre alle banchine”. E ha chiesto anche che le navi vadano direttamente a recuperare i migranti “nei porti di Tripoli o di altre città africane tagliando così il business dei trafficanti”.

Una medica volontaria della Fondazione Francesca Rava con un piccolo salvato

 

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Luglio 3, 2012

Farsi giustizia da sole

Di fronte, credo, alla ottantesima donna fatta fuori da un uomo in 6 mesi, 2 solo ieri, una a Napoli ammazzata a forbiciate, l’altra a San Donato Milanese, che dopo essersi presa un bel po’ di pugnalate si è buttata dalla finestra (dico, credo: scusate, faccio un po’ fatica a tenere la contabilità di guerra) e dopo che l’Onu ha accertato che in questo Paese lo Stato non fa affatto quello che serve per difendere le donne dal femminicidio (qui le cose che si dovrebbero fare,) mi autorizzo un pensiero violento, una specie acting out mentale.

Una volta a Napoli, via Chiaia, ho visto un bel ragazzo borghese assestare un calcio nel sedere alla sua ragazza. La quale, anziché restituire o andarsene, ha continuato a camminare al suo fianco, la testa bassa per l’umiliazione. Mi sono parata davanti al giovanotto in giacca e cravatta. Gli ho detto “Ora prendi a calci pure me. Fai il gradasso pure con me”, avendo almeno la soddisfazione di cogliere un lampo di vergogna rabbiosa nel suo sguardo. Sono certa di averlo colpito, a modo mio. Sono certa di averlo spiazzato, e di avere mostrato a lei che non era sola, e che non era affatto tenuta a subire, se per caso pensava questo.

Se viviamo in un Paese in cui gli stalker, assassini annunciati, non vengono messi in galera, o costretti a una terapia -io lascerei a loro la scelta-, se le forze dell’ordine non sono in grado di difendere una donna perseguitata e minacciata di morte, se la ministra delle Pari Opportunità e quella degli Interni -due donne- non picchiano il pugno sul tavolo e non esigono che la questione diventi una priorità politica, se la violenza sulle donne tutto sommato continua ad apparirci una fatalità, una specie di male necessario, o comunque un reato minore, allora forse si può fare come ho fatto io a Napoli. Fare da noi.

Organizzare delle squadre volontarie di Angel che vanno a prendere lo stalker e il violento e lo sbattono contro al muro, gli fanno paura. Avvisarlo: per uno schiaffo, per un pugno, te ne becchi dieci. Mettere in atto un vero e proprio contro-stalking. Aspettarlo sotto casa in dieci, in venti. Andare sul suo posto di lavoro e farlo sapere a tutti, compreso il datore, con dei flash mob: Mario Rossi picchia sua moglie, la minaccia, la perseguita. Svergognarlo. Fargli capire che è malato, e che deve curarsi. Offrire alla donna una difesa efficace, darle amicizia e forza, tenerla allegra.

Consentitemi questa fantasia di self-help. Tutto, pur di non continuare ad assistere impotenti alla strage.

 

p.s.   Per risottolineare quanto ho già detto nel post:
si tratta di una specie di acting-out mentale
allo scopo di rendere evidente l’assoluta inefficacia
delle iniziative fin qui intraprese (o non intraprese) contro la violenza,
inefficacia sottolineata dall’inviata delle Nazioni Unite.
Ora mi pare che questo accontentarsi della denuncia morale sia giunto al limite.
L’efficacia non mi pare un aspetto irrilevante delle cose che si fanno.
Per me non lo è affatto, su nessun fronte. E non solo per me, a quanto pare.
Marisa Guarneri della Casa delle Donne maltrattate di Milano,
una che se ne intende parecchio con la sua trentennale esperienza,
insieme alle sue compagne d’iniziativa ha intrapreso una riflessione su come
attivare nelle donne maltrattate “tutta la forza necessaria” per un’efficace autodifesa.
Non è più pensabile, mi dice a titolo di esempio, vedere una donna picchiata da un marito costretto in carrozzella. Occorre riflettere su che cosa impedisce a quella donna, fisicamente più valida
del suo aguzzino, di difendersi in ogni modo.

 

Donne e Uomini, media, Politica Marzo 18, 2012

Mattanza senza fine: aspettando la prossima vittima (che nel frattempo è arrivata)

mirko, 2 anni, figlio di daniela sulas, ucciso dal compagno della madre

L’ultima poche ore fa a Caselle Torinese, soffocata con un cuscino dal marito.

La penultima, Daniela Sulas -lei non è morta, è morto il suo bambino di 2 anni, Mirko, ucciso per punizione dal suo compagno Igor Garau, che poi si è suicidato- un paio di giorni fa in Sardegna: molti organi di stampa hanno titolato “raptus di gelosia”.

La prossima vittima la stiamo aspettando, nell’assoluta impotenza.

All’escalation insopportabile di femminicidi -questo 2012 si prospetta da record– fa da contrappunto l’insensibilità dei media degli uomini che si limitano a registrare i casi di cronaca, 1+1+1, senza dismettere quel vocabolario -delitto passionale, raptus di follia, dramma della gelosia- che ormai si presenta come un vero e proprio apparato ideologico con la funzione di contenere l’allarme, ostacolando una lettura appropriata della mattanza –colpo di coda del patriarcato– e la formazione di una coscienza individuale e sociale.

E la colpevole indifferenza della politica degli uomini, che non pone in atto alcuna strategia di prevenzione.

Se i giornali e la tv fossero anche delle donne, se la politica fosse anche delle donne, le cose andrebbero diversamente.

Vi ripropongo qui un mio editoriale pubblicato sull’ultimo numero di “Comunicare il sociale”, allegato al “Corriere del Mezzogiorno”.

 

Una + una + una… in un anno fa 127.

127 donne italiane uccise, una ogni 2 giorni, da mariti, fidanzati o ex, da fratelli o padri.

127 delitti scelleratamente definiti “passionali”-non era meglio quando si parlava senza infingimenti di delitti d’onore?- e “notiziati” in ordine sparso nelle cronache.

Bisognerebbe metterli tutti insieme, comporre idealmente un paginone di quotidiano con i volti di tutte queste donne per raccontare il femminicidio per quello che è: una gravissima questione sociale e politica che il nostro Paese non sta affrontando in modo adeguato, emergenza di un’enorme violenza diffusa, variegata e sottaciuta che colpisce una donna su 3.

Quel pochissimo che stiamo facendo, e che Rashida Manjoo, inviata dell’Onu è venuta recentemente a indagare, non sta affatto funzionando.

Siamo capaci di riconoscere l’esistenza del razzismo, perfino quella dello specismo, ma il sessismo resta un tabù.

Stefania Noce, ammazzata da un fidanzato che “l’amava più della sua stessa vita”, è diventata un simbolo.

Non solo perché era conosciuta come giovane femminista di “Se non ora quando”, ma soprattutto perché la sua storia dimostra che la consapevolezza non basta a salvarti la vita.

E’ solo la consapevolezza degli uomini che può salvarci la vita. E’ solo l’assunzione da parte loro della violenza sulle donne come questione maschile.

Dice Marisa Guarneri, presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano –uno degli storici centri antiviolenza che da anni non ricevono più finanziamenti- che “ci vogliono uomini che controllino gli uomini”, intendendo forze dell’ordine che fermino gli stalker, assassini annunciati.

Ma ci vogliono anche uomini, tanti, che sappiano dire “I care”, che non voltino più la faccia dall’altra parte, disposti ad assumere il problema e a riconoscere che la violenza non può più essere letta come la patologia di alcuni.  

E se è vero che il disagio di cui le donne subiscono le terribili conseguenze è maschile, è su questo disagio che si deve lavorare.

Anche il lavoro di prevenzione va ri-orientato sugli uomini e fra-uomini”. 

media, Politica Luglio 14, 2010

INTERCETTAZIONI: CI VA IN ANSIA PURE L’ONU

intercettazioniLa legge italiana sulle intercettazioni deve essere “o eliminata o rivista”. Lo afferma in un comunicato il relatore speciale Onu per i diritti Frank La Rue.

“Se adottata nella sua forma corrente” dice La Rue “può minare la possibilità di beneficiare del rispetto del diritto di libertà d’espressione in Italia”. La norma con relative sanzioni rischia di minaretutti i diritti individuali di cercare e diffondere un’informazione imparziale, in violazione del Convenzione internazionale sui diritti civili e politici“.

Quanto alle sanzioni per giornalisti ed editori: “Tale punizione, che include fino a 30 giorni di carcere e un’ammenda fino a 10.000 euro per i giornalisti e 450.000 per gli editori, è sproporzionata rispetto al reato“. Secondo il relatore Onu “queste norme possono ostacolare il lavoro dei giornalisti investigativi su materie di interesse pubblico, come la corruzione, data l’eccessiva lentezza dei procedimenti giudiziari in Italia“.

La Rue esorta il governo ad “astenersi dall’adottare questo disegno di legge nella forma attuale, e a impegnarsi in un dialogo con tutte le parti in gioco, in particolare con i giornalisti e i media, per assicurare che le loro preoccupazioni siano tenute da conto” e si dice “ansioso di cooperare con il governo italiano, in vista di una “possibile missione di sopralluogo nel 2011 per esaminare la situazione della libertà di stampa e il diritto di espressione in Italia“.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini si è detto “fortemente sorpreso e sconcertato per questa posizione di un rappresentante dell’Onu”,  peraltro in linea con quella del dipartimento di giustizia americano.

Intanto il Pd si prepara a dare battaglia in Aula. Sono oltre 400 gli emendamenti depositati al testo del ddl.

AMARE GLI ALTRI Dicembre 2, 2008

DISPOSTA A SCRISTIANIZZARMI

Mi sento con compassione dalla parte di quei molti preti di buona volontà, e in particolare di quei preti omosessuali, a cui oggi il voto di ubbidienza peserà come un macigno. Rispetto la Chiesa, sono cresciuta nel suo abbraccio, benché da tempo me ne sia parzialmente sciolta, e credo che la fede possa fare molto per alleviare l’infelicità e l’ingiustizia. Oggi la Chiesa avrebbe potuto serenamente sostenere, pur senza venire meno al principio in base al quale la stigmatizza come un doloroso peccato -principio che pure non sento come mio-, che l’omosessualità non è un reato. Perchè un conto è un peccato, che attiene alla libera coscienza, un altro conto è un reato, punito in un centinaio di stati di questa terra e in una ventina addirittura con la messa a morte. E invece la Chiesa si dice contraria alla proposta di depenalizzazione dell’omosessualità che la Francia ha annunciato di voler sottoporre alle Nazioni Unite.

Sono certa che la Chiesa, ovvero il corpo dei fedeli, si senta ferita a morte da questa violenta presa di posizione del suo Principe, che significa assumersi fin da oggi, inutile girarci intorno, il peso di centinaia di omosessuali crocifissi con la sua benedizione, o quanto meno con la sua complice distrazione. “Not in my name”, è questo che dovrebbero dire tanti cattolici in tutto il mondo.

Sono sicura che qualcosa è andato storto, perché Dio è perdono, e Gesù si farebbe mettere in croce al posto del più piccolo omosessuale di questo mondo, e c’è tutto il tempo per correggere la stortura. O in alternativa sono costretta a pensare a un perverso moto autopunitivo, alla torsione di una cattiva coscienza, poiché come tutti sanno -basta aver frequentato un oratorio, o essere stati in un collegio religioso- tra gli uomini di Chiesa la percentuale di omosessuali, praticanti o meno, è decisamente alta, e l’omofobia corrispettiva e denegante altrettanto cospicua.

C’è qualcosa di terribilmente e perversamente umano, dietro questa orribile decisione in nome di Dio. NOT IN MY NAME di sicuro. Anch’io sono cristiana, e sono disposta a scristianizzarmi se nell’indifferenza o peggio della mia Chiesa un solo ragazzino iraniano andrà a morte perché gay.