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Politica Agosto 26, 2015

Sapessi com’è strano perdere consensi a Milano: Serracchiani, il Pd e i voti di CL

Debora Serracchiani ieri a Milano tra il segretario regionale Pd Alfieri (a sinistra) e il segretario cittadino Bussolati

In apertura della Festa Nazionale dell’Unità a Milano, la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani ha così commentato l’entusiasmo del Meeting di Comunione e Liberazione per il premier Matteo Renzi: I voti di Comunione e Liberazione? E’ un’occasione per allargare il nostro consenso. Ci fa piacere quando una parte del Paese guarda al Pd non come a un problema ma come a una soluzione”.

A parte ogni possibile considerazione sulla mutazione genetica, antropologica e politica di Serracchiani, tema che forse meriterebbe un post a parte, colpisce moltissimo anzitutto un fatto: che di Milano la politica non–milanese continua a non capire un accidente di niente. Serracchiani perpetua la tradizione.

Venire a raccontare ai piddini milanesi, che della politica e dell’affarismo ciellino hanno ampia e consolidata esperienza, che in fondo i voti di Cielle al Pd non sarebbero un male, ha tutta l’aria di un atto suicida (unitamente al definitivo “vedremo” sulle primarie per il sindaco). Come parlare di corda in casa dell’impiccato. E infatti oggi circola molto malumore tra iscritti e militanti, che possono rassegnarsi a mandare giù Verdini, forse perfino Alfano, ma il Celeste Formigoni proprio no.

Forse, umilmente, la piccola Serracchiani avrebbe dovuto assumere qualche informazione in più sulla cittadina in cui stava comiziando, che non è proprio Butroto, o quanto meno consultarsi con la segreteria locale prima di slanciarsi sul Patto di Rimini, che sta vedendo il Pd lasciare non poche penne tra le aiuole dei Giardini Pubblici, sede della Festa.

Se poi il Pd pensa di accaparrarsi i voti di Cielle… be’, è molto più probabile che un’opa di Cielle si magni il Pd. Al Celeste non la si fa.

Su, usciamo da Rignano sull’Arno.

Politica Agosto 24, 2015

Milano: Fuori-Salone, Fuori-Expo e Fuori-Primarie

Tutti dicono che la parte più interessante del milanesissimo Salone del Mobile (bel nome da Fiera anni Sessanta) è il Fuori-Salone: eventi, performance, creatività in zona Savona-Tortona, Lambrate e così via.

Anche il Fuori-Expo avrebbe dovuto fare da controcanto creativo a Expo, ma non abbiamo visto quasi niente: peccato.

Più interessante potrebbe configurarsi il Fuori-Primarie (del centrosinistra per individuare il candidato sindaco).

Situazione: nessuno si assume la responsabilità di dire che le primarie non si faranno -come peraltro non si faranno nel centrodestra- ma serpeggia il terrore che possa vincerle un candidato debole, con scarse chance di fare fronte alla proposta del centrodestra, pronto al tutto per tutto pur di riprendersi Milano.

Per ora i candidati sono tre: Pierfrancesco Majorino, Emanuele Fiano, Roberto Caputo. Gli altri eventuali si muovono sottotraccia, e forse ci resteranno definitivamente. Per Matteo Renzi consegnare Milano al centrodestra (come è successo a Venezia) costituirebbe una debacle insanabile, il principio di una valanga: tutto fa pensare che dal cappello del premier, in accordo con il resto del centrosinistra, alla fine uscirà un notevole coniglio.

Ma sarà dura convincere i milanesi che è stato meglio evitare le primarie, e il coniglio potrebbe finire impallinato. Anche perché in questo caso si costituirebbe un interessante Fuori-Primarie, dove si muoverebbero candidati non di poco conto, aureolati del carisma dei “resistenti” al Candidato Unico. Fuori-Primarie che peraltro, come dice la parola stessa, potrebbe costituire uno spazio libero anche nel caso in cui le primarie si tenessero. 

L’eccitante partita nelle prossime settimane. Vedremo se mi sono sbagliata.

Politica Luglio 17, 2015

Cantiere Milano: c’è da finire il lavoro. Insieme, oltre personalismi e divisioni

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia oggi sul Corriere: «Milano in questi anni è rinata, per tutti è il place to be. Non lo dico io, lo dicono i giornali di tutto il mondo e i milanesi lo vivono sulla propria pelle. In città c’è un clima straordinario, che è il risultato del lavoro collettivo dell’amministrazione che ha lavorato per una città aperta, solidale, efficiente, innovativa, sempre più internazionale e che coniuga pubblico e privato. Non è un caso che nella nostra città oggi vi siano il maggior numero di consolati di tutte le città del mondo. E tutto questo è dovuto ad un lavoro unitario e a un progetto condiviso della coalizione di centrosinistra, non legato a una sola persona. Non ho paura che Milano si perda. Due giorni fa abbiamo presentato lo scooter sharing e siamo adesso l’unica città al mondo che abbia un’offerta completa: bici, moto, auto. Essere avanti è il modello Milano. E i fatti sono più forti delle polemiche momentanee. Certo, sento fortemente su di me la responsabilità non solo di dare il massimo nei prossimi mesi nell’azione di governo, ma anche di evitare che scelte personali indeboliscano quanto abbiamo fatto e rendano più difficile il cammino verso le elezioni».

Pisapia ha ragione: in città c’è un clima straordinario e come dicevo nell’ultimo post, caldo assurdo a parte,  passa anche la voglia di andare al mare. Non è pensabile che questo ciclo virtuoso si interrompa. Ciclo che, a mio parere, deriva dalla convergenza di vari fattori: 1. le energie e i desideri portati dai nuovi milanesi arrivati da lontano. Il titolo di un vecchio film, “Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i milanesi”, rende l’idea. Lì si trattava della prima ondata migratoria post-bellica, quella dal Sud, e dei mirabolanti anni Sessanta, il boom e tutto il resto. E’ la storia dello stesso Pisapia, suo padre era casertano. E’ la storia di un pezzo della mia famiglia, e quella di centinaia di migliaia di milanesi. Oggi si tratta di ragazzini di centinaia di etnie diverse che parlano un meraviglioso slang. Non c’è niente di più felicemente e orgogliosamente milanese di uno che arriva da lontano. E’ sempre stato così, nella storia di questa città. 2. la fine della lunga crisi identitaria seguita alla deindustrializzazione: oggi sappiamo meglio chi siamo e che cosa vogliamo, abbiamo ritrovato la strada, e tutto batte a un ritmo festoso e frenetico, per lasciare ogni crisi alle spalle 3. una giunta che ha saputo interpretare -con tutti i suoi limiti, le sue fatiche e i suoi errori- questi processi. Tra i limiti, io ho sempre indicato un ritardo nel cambiamento di sguardo sul tema delle cosiddette “periferie”, che in alcuni casi hanno sperimentato un vero e proprio abbandono. E’ stato l’errore più serio e più grave, e i prossimi 5 anni devono servire a rimediare. Non ci devono più essere “periferie” (lo dico da anni). Il programma deve essere: Milano diventerà più bella, “solidale, efficiente, innovativa” dappertutto.

Diversamente da Giuliano Pisapia, io invece ho paura che Milano si possa perdere. La partita è difficile e delicata. Le dimissioni improvvise della vicesindaca De Cesaris almeno un merito ce l’hanno: quello di aver dato la scossa e di aver indicato i pericoli che derivano dai personalismi e dalle divisioni. Tutti, ma proprio tutti, dobbiamo mettercela tutta, gettando ponti e costruendo un progetto unitario in cui possa confluire la ricchezza delle differenze. Da subito, e senza interferenze romane. Per fare capitare alla politica quello che sta capitando alla città, e remando tutti nella stessa direzione.

Sfida meravigliosa.

 

Politica Luglio 15, 2015

Milano è bella. La sua politica meno. E Del Debbio è un candidato temibile

A Milano la notizia politica del giorno sono due: le dimissioni della vicesindaca Ada Lucia De Cesaris e la possibile candidatura a sindaco per il centrodestra di Paolo Del Debbio, giornalista Mediaset già assessore della giunta Albertini. Candidato perfetto: precedente esperienza amministrativa e profilo televisivo e super-pop. Piace a tutte le componenti del centrodestra e chiede democraticamente le primarie, tanto sa che le vince.

Il fatto è che potrebbe vincere anche le elezioni: è piuttosto famoso, sa parlare alla pancia della gente, ha un’aria rassicurante, lontana dagli estremismi salviniani. Insomma, sembra fatto apposta. Ero sicura che la scelta del centrodestra sarebbe stata di questo tipo: ragionevole e televisionabile.

Ho incontrato per caso nel fine settimana il neoassessore all’ambiente della giunta Toti in Liguria, Giacomo Raul Giampedrone. Uomo giovane, fattivo, ambizioso, eccitato dal grande spirito unitario -anche solo tattico- che si respira in regione e che sta prendendo piede un po’ ovunque nel centrodestra, in preparazione delle nuove sfide elettorali.

Nel frattempo il centrosinistra è triturato, la prospettiva ventennale di Matteo Renzi -colpa solo sua- si è ridotta a un biennio, non ne imbrocca una neanche a piangere, manda i capataz al Nord a fare disastri -l’ex-sindaco di Lodi che dà ordini a Milano! Roba da Cinque Giornate-, e lo “spara a Renzi” potrebbe diventare la specialità delle prossime amministrative, stile Venezia. Le primarie si faranno, anzi no. Si faranno a dicembre o gennaio, anzi no, vanno fatte subito. I candidati saranno due, 18, 50. Il sindaco ha annunciato dimissioni un anno prima, e la giunta lavora con l’affanno da campagna. E la vicesindaca De Cesaris pensa bene di dimettersi: gesto non esattamente responsabile, se vogliamo, con un sindaco già dimissionario. Mezzo Pd le vota contro su un’area cani da 20 mila euro, lei si imbufalisce definitivamente e sbatte la porta. Un pezzo del Pd esulta, la dirigenza la supplica di restare, le reazioni in giunta sono tra l’indignato e il tiepido, dicono che lei voleva candidarsi sindaca ma non è stata sostenuta, e ora che cosa farà? Ci proverà lo stesso? oppure no? Quante liste civiche ci saranno? E quante liste civetta? Insomma, un vero rebelot, come si dice con un francesismo dialettale.

Amiche e amici romani, del Sud, di ogni dove, che mi dicono: Milano è bella. E’ la prima volta, in tanti anni, che me lo sento dire. Ieri sera sono stata a una festa dance nello spirito della storica discoteca Viridis. Un caldo atroce, tanti vecchi amici, una strepitosa vitalità. La città è in gran forma, nevrile, allegra, i motori al massimo, finalmente un ciclo positivo, clima anni Sessanta. Verrebbe voglia di passarci l’estate, come la si passa a Londra e NY, non c’è modo di annoiarsi, a parte il gran caldo spiace partire.

Basterebbe dire questo: Milano è bella, ora fateci finire il lavoro. Per farla diventare ancora più bella. Per dedicarci a quelle che cretinamente si continuano a chiamare periferie, valorizzando il bello che già c’è e portandocene di nuovo. Facendo di Milano una metropoli modello. Siamo sulla buona strada, è cominciato un nuovo ciclo virtuoso. Basterebbe questo, e una riduzione complessiva del tasso dei narcisismi, vera peste della politica.

Il tempo per cambiare musica è pochissimo.

 

16 luglio: ottimo commento dell’amico Ivan Berni, La Repubblica

DE CESARIS, L’IRRESPONSABILITA’ DELL’AMBIZIONE

Da Repubblica, Milano, 16 luglio 2015

Le dimissioni della vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris sono un guaio molto serio. Lo sono per la forma, i tempi e la sostanza, tuttora misteriosa, a meno di considerare una ragione seria il voto del Pd su un’area per i cani a Santa Giulia, alla quale De Cesaris era contraria. Sono un guaio per il centrosinistra milanese, per Il credito del sindaco uscente Giuliano Pisapia e lo sono per una città che deve fare i conti con il dopo Expo, la grande partita delle aree Fs, la destinazione dell’ex trotto a San Siro, i docks della Stazione centrale, i progetti sulle aree ex Enel al Monumentale. Una città che fra dieci mesi dovrà votare per la nuova amministrazione di Palazzo Marino. Pisapia deve metterci una pezza rapidamente, aprendo un confronto aperto con la città sui grandi nodi irrisolti dell’urbanistica e dando un segnale di saldezza. Ma sia che il sindaco riesca a convincere De Cesaris a tornare sui suoi passi sia che nomini un nuovo responsabile dell’Urbanistica, un danno enorme è già stato fatto. L’uscita di scena della vicesindaco ha infatti incrinato pesantemente la credibilità dell’amministrazione su due punti chiave: l’affidabilità e la responsabilità. La destra se n’è accorta e infatti brinda. Sul primo punto vale poco o nulla dire, come è stato fatto, che sull’urbanistica “il lavoro è stato completato”. Non è così, con tutta evidenza, considerando non solo le urgenze come il dopo Expo, (che scatta dal 31 ottobre di quest’anno, non nella prossima legislatura) ma anche la quantità di progetti che attendono scelte definite e di problemi tuttora aperti. Quanto alla responsabilità c’è da rimanere attoniti di fronte alle motivazioni fornite da De Cesaris sulle dimissioni. Sarebbe venuto a “mancare il rapporto di fiducia” con una parte della maggioranza. Per l’area cani a Santa Giulia? Ma se si tratta di questo c’è da domandarsi di cosa sia fatta la fiducia di cui lamenta il crollo l’ex vicesindaco. Chi governa con responsabilità di primissimo piano una città come Milano non può (non dovrebbe, si intende) abbandonare l’incarico per una quisquilia simile. E se lo fa vuol dire, banalmente, che si tratta della persona sbagliata al posto sbagliato. Ma se c’è dell’altro occorrono spiegazioni pubbliche. Senza reticenze o titubanze di sorta. Dica l’avvocato De Cesaris a proposito di cosa, quando e in che circostanze sarebbe crollata la fiducia. Lo dica subito, bloccando la spirale dei sospetti e anche una grottesca corsa alla solidarietà che si sta sviluppando in questi giorni sui social network, per cui c’è chi la rimpiange aggiungendo che senz’altro ci sarà una buona ragione per andarsene, che tuttavia rimane oscura.
In realtà trapela in controluce un’altra spiegazione di questo vero e proprio colpo di teatro. De Cesaris, che ha lavorato moltissimo in questi anni prendendosi sulle spalle anche responsabilità istituzionali, avrebbe voluto, in qualche modo, una sorta di benedizione da parte di Pisapia come naturale erede per la prossima legislatura. Avrebbe voluto partecipare alle primarie con questa investitura. Ma la benedizione non è arrivata e, di settimana in settimana, la convivenza in giunta con l’assessore-candidato Majorino si è fatta sempre più tesa. Di qui l’escalation dell’insofferenza. Fino alle clamorose dimissioni di martedì. Dimissioni che equivalgono a un’uscita di scena dal proscenio politico milanese, dato che a questo punto riesce difficile immaginare De Cesaris candidata a qualsiasi incarico elettivo dopo una simile sceneggiata. Ma del resto l’avvocato De Cesaris eletta non lo è stata mai: in giunta entrò da assessore “tecnico” per scelta del sindaco. Forse, se avesse dovuto rendere conto ai propri elettori, sarebbe andata diversamente.

Ivan Berni

 

Politica Giugno 27, 2015

Milano, il Bisindaco e altre chimere

Qualche svagato pensiero del week end sul prossimo sindaco di Milano.

L’idea del ticket Sala-Majorino per il centro sinistra -una specie di chimera paralitica, il Bisindaco, la cui principale attività sarebbe litigare- dà un’idea di disperazione che non aiuta: twu is megl che uàn, dato che uàn perderebbe a sinistr, l’altr perderebbe a destr. Bisogna un po’ riabituarsi all’idea strambissima che chi vince a sinistra potrebbe perdere a destra e viceversa, anzi oggi più che mai visto la fregatura che i cittadini hanno preso dalle larghe intese. Faccio peraltro notare che la novità del 50/50 donne e uomini non può essere archiviata con tanta nonchalance, anche se sarebbe comodo.

Serve semplicemente il coraggio della propria proposta, chiara e semplice, e ne serve molto in tempi di elettorato liquido e malmostoso, che non garantisce più nulla e rende i sondaggi del tutto inaffidabili: quello che il campione ti ha risposto il lunedì potrebbe non valere più già il martedì.

Ai sondaggisti è consigliabile una riflessione, e ai candidati di andare “nudi” alla meta, con semplicità e generosità, accettando il fatto di essere lì a correre un rischio.

Quanto a Roma, al premier e ai suoi incaricati, meno si faranno vedere e meglio sarà per il centrosinistra. E per almeno due ragioni: Milano non l’ha mai capita nessuno, milanesi a parte, e mai del tutto nemmeno loro; al tradizionale orgoglio meneghino si va vieppiù assommando un compiaciuto tiro al Renzi di cui forse il Renzi stesso non ha del tutto contezza. E del resto chi sbandiera un programma e ne realizza un altro, chi accende vertiginose speranze col turbo, con tanto di fogli excel (per chi ci è cascato: tantissimi) e altrettanto vertiginosamente e col turbo le tradisce, il conto non può essere questo: vertiginoso e col turbo.

 

AMARE GLI ALTRI, migranti, Politica Giugno 17, 2015

Sono figlia di figli di migranti

Alain Delon migrante lucano in “Rocco e i suoi fratelli”

L’altra notte scrivo all’assessore milanese Pierfrancesco Majorino, in prima linea sulla questione migranti: “Magari quel cubo di plexiglas in stazione dove sono temporaneamente ospitati potrebbe essere oscurato con un po’ di carta da pacchi“. Così, per troncare sul nascere le polemiche sui “migranti in vetrina”, e per garantire a quelle donne, a quegli uomini e a quei bambini un minimo di privacy. In effetti la mattina dopo il cubo è stato oscurato.

Mi vengono dei dubbi: i migranti sugli scogli di Ventimiglia non vogliono essere nascosti. Vogliono stare lì, avvolti nelle metalline, perché il mondo li possa vedere. Oggi papa Francesco chiede “perdono per chi chiude la porta ai rifugiati”. E’ giusto che restino dove intendiamo tenerli, sulla porta, a bussare, fintanto che intenderemo tenerceli.

Ogni volta che passavo dalla stazione e vedevo quelle famiglie sistemate nel mezzanino, donne uomini e bambini, e i volontari che scodellavano pasta e distribuivano biscotti, e i milanesi che arrivavano a frotte con i loro borsoni di viveri, indumenti e giocattoli, era come passare davanti alla grotta di Nazareth, con il Figlio dell’Uomo, i Magi e i pastori. Un punto di santità, un tempio che mi commuoveva nel profondo.

Giusto che profughi e migranti vengano accolti degnamente, quanto meno una brandina al coperto e un bagno dove lavarsi. E giusto che si trovi un modo umano per regolare i flussi, per ridurre al minimo i problemi e i disagi per tutti. Ma la logica non può essere quella del nascondere, del non vedere. Vedere è la prima cosa, per trovare soluzioni efficaci e degne.

Parlo da figlia di figli di migranti (e dalla mia pelle si vede!).

Politica Maggio 7, 2015

Pippo’s Project

Il travaglio di Pippo Civati è stato lungo, doloroso e sbeffeggiato. Non si molla da un giorno all’altro qualcosa che è stata la tua vita. Ora il travaglio si è concluso, e a sentirsi poco bene sono tanti altri, in un partito, il Pd, che in forza della governabilità –nessun dubbio sul fatto che il Paese debba essere governato-, ha ridefinito un passo dopo l’altro i suoi fondamentali in direzione di un blairismo all’italiana. Si tratterà di capire se e quanto si sono ridefiniti anche i suoi elettori: la grande manifestazione dei prof contro la “buona scuola” (slogan: “Renzi + Giannini peggio di Gelmini”), qualche dubbio lo autorizza. Perfino nel premier che, forse per la prima volta, si allarma di fronte al rischio di emorragia di consensi e si vede costretto a un parziale marcia indietro.

Primo banco di prova per Civati, fra 3 settimane, le regionali liguri: un successo del progetto Rete a Sinistra per Pastorino presidente potrebbe delineare il perimetro e il potenziale di una Podemos italiana. I temi ci sono già tutti: ambiente –la situazione in Liguria è drammatica, dopo anni e anni di partito trasversale del cemento, e non è ancora finita-, e poi lavoro e diritti. Temi liguri e nazionali, inestricabili l’uno dagli altri.

Il rischio zero-virgola per un nuovo progetto politico è direttamente proporzionale agli Ingroia e ad altri personaggi già prontissimi a scendere dal carro perdente per farne perdere un altro. Eterno riciclo degli uguali.

In Italia il posto di Podemos è già abbondantemente occupato dai 5 Stelle, al netto delle relazioni pericolose con Farage. Poi c’è il civismo “risorgimentale” milanese, senz’altro il più interessante tra i nuovi prodotti politici (come sempre, del tutto incompreso a Roma), con l’aspirazione del sindaco uscente (o rientrante) Pisapia a farne un prodotto politico nazionale. Se la Liguria sarà il primo banco di prova, Milano dovrebbe essere il secondo.

La scena mi pare questa.

L’ho già detto, ridico come la penso: come l’Angelus Novus di Walter Benjamin, si tratterebbe di abbandonare le rovine, anche le proprie, un’idea pavloviana di sinistra con le sue parole d’ordine inutilizzabili, i suoi rituali consumati, le sue logiche inservibili, la volgarità dei suoi laicismi, le sue barbe e le sue maschere. Di mettere al centro la “natura” sacrificata, il femminile del mondo, la mitezza, la pace e la cura di tutto ciò che è piccolo e dipende da noi, e di garantire a ciascuno ciò di cui ha bisogno per una buona vita, che è molto più dell’uguaglianza.

Politica, pubblicità Aprile 8, 2015

Expo e il Pd-discount

Il flyer che vedete qui sopra sta scatenando dibattiti in mezzo web. Anch’io, per la verità, per un attimo ho creduto a uno scherzo.

L’intento appare buono: offrire uno sconto ai giovani sul biglietto Expo. Ma si doveva trovare un altro modo per dirlo, la comunicazione è sbagliatissima. Graficamente, innanzitutto: i colori squillanti, quel 50€ sbarrato, la domandona in maiuscolo grassetto (“Hai meno di 30 anni?) danno l’idea di una pubblicità di discount, di un’offerta speciale, di un supersaldo in tempi di crisi. E qual è la merce in saldo? Il mix-and-match dei due loghi –Pd ed Expo- al piede del volantino contribuisce a confondere le idee. Insomma, non è chiaro se con quel due-al-prezzo-di-uno si intende che se fai il biglietto per Expo ti si regala una tessera Pd o, viceversa, se è la scelta di iscriverti al partito a darti agevolazioni per Expo.

Grafica a parte, il testo (“iscriviti al Pd di Milano e acquista da noi il tuo biglietto di Expo: spendi SOLO 25 € anziché 50 €!”) veicola un messaggio molto discutibile. In sintesi: che iscriversi al Pd conviene. Il fatto è che ogni giorno i giornali sono pieni di plastiche dimostrazioni della convenienza della politica: un sacco di gente che si è arricchita grazie ai partiti. Negli ultimi 20 anni la politica è diventata per troppi “un mestiere come un altro” (il riferimento non è casuale) potenzialmente molto redditizio, una ghiotta opportunità di carriera con la minima preparazione e il minimo impegno. Zero amor mundi, enorme amor sui. Gente che smania ed è disposta a tutto per un posticino di consigliere di zona.

C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui la politica era un’attività in perdita, esistenzialmente dispendiosa, decisamente sconveniente, e una tessera in tasca poteva costarti la vita: un ricordo affettuoso per un mio prozio, il biciclettaio Aliprandi, mite socialista che veniva preventivamente “menà a San Vitùr” ogni volta che il Duce passava da Milano. La tessera che conveniva avere in tasca, in quel periodo, era un’altra.

Ora, senza fare tragedie: è necessario cogliere ogni occasione per fare intravedere la possibilità che tesserarsi a un partito non convenga affatto, che comporti il rischio, anche minimo, connesso a ogni opzione ideale. Il crollo dei tesseramenti è una faccenda seria, legata a una mutazione genetica del partito, alla constatazione di non contare più nulla nella sua vita interna e nelle decisioni che ne conseguono, non servono “punti fragola” o sconti sulle batterie di pentole, come hanno ironizzato in molti.

C’è un’ultima osservazione che riguarda Expo: per come sono andate le cose, gli scandali, gli arresti in corso d’opera, i ritardi, i costi alle stelle, le prenotazioni negli alberghi che languono e molti altri segnali poco incoraggianti, il rischio che l’occasione sia stata sprecata è piuttosto alto. Poche ore fa Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha dichiarato di non poter escludere altri scandali. Alla fine si dovrà affrontare la spinosissima questione delle aree e della loro destinazione d’uso. Al momento per i cittadini Expo è stato solo un colossale esborso senza certezza di rientro. Nessuno intende gufare: un flop sarebbe una vera disgrazia per tutti. Ma anche mix-and-matchare il proprio logo a quello di Expo forse non è una grandiosa trovata di marketing.

Politica Marzo 23, 2015

Milano e il dopo-Pisapia: la giostra riparte

La notizia era attesa ma ha ugualmente prodotto una deflagrazione nella piovosa domenica milanese: il sindaco Pisapia non si ricandiderà per il secondo mandato, e  immediatamente è partito il vortice di riunioni, consultazioni, tam-tam sul possibile successore.

Per un centrodestra che sta poco bene Milano può essere l’occasione per un rilancio alla grande: le cose politiche che contano cominciano quasi sempre qui. Il nome di Maurizio Lupi, tra i più accreditati fino allo scandalo e alle  dimissioni di qualche giorno fa, al momento appare improponibile. Ma un accurato rewashing accoppiato alla velocità dei tempi e alla memoria corta (di qui a un anno può capitare di tutto) non permette di escludere del tutto la sua candidatura. Intanto Matteo Salvini scalda i motori e si dice già pronto, sia pure accettando di passare per primarie. E anzi chiede che non si aspetti un anno per votare.

Nel centrosinistra il turbillon è più intenso: accanto alle ipotesi continuiste (in primis Pierfrancesco Majorino, attuale assessore, ma anche altri esponenti della giunta, come Cristina Tajani, e Umberto Ambrosoli, figlioccio del sindaco, che non ha mai nascosto le sue ambizioni), corrono nomi di milanesi esportati a Roma (Emanuele Fiano, Lia Quartapelle, perfino Ivan Scalfarotto), ma c’è anche il papa “straniero” che probabilmente non spiacerebbe a Matteo Renzi (come Andrea Guerra, ex-ad di Luxottica, o Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, in verità entrambi milanesi; oltre a qualche illustre giornalista, e altri ancora) per il potenziale attrattivo nei confronti dell’elettorato di centrodestra: scelta che tuttavia potrebbe aprire prati o praterie a sinistra. La passione per le primarie si è molto attenuata ma è improbabile che se ne farà a meno, anche se molti chiedono regole più strette.

Ci si può divertire: girano molti altri nomi quasi tutti destinati al rogo, si fa quasi prima a fare il conto di chi non intende candidarsi, e non sono esclusi cappelli e conigli dell’ultim’ora, al momento ben acquattati. Ma la vera partita si giocherà tra il “modello Milano”, che il sindaco Pisapia rivendica orgogliosamente, e le larghe intese nazionali. Molto sta a capire quanto interesse abbia il premier Renzi per la partita milanese: per la politica romana, Milano è sempre stata un oggetto incomprensibile e potenzialmente esplosivo, vediamo come andrà stavolta. Anche la riuscita di Expo e il dopo-Expo, con particolare riferimento al destino delle aree, faranno sentire il loro peso.

Infine, l’incognita “partecipazione”: non è detto che si replichi la grandissima mobilitazione che nel 2011 portò al cambio di giunta, visto che spenti i clamori della campagna elettorale la giunta è andata per la sua strada senza troppe sfumature arancioni e con puntate francamente dirigistiche. Ancora più seria l’incognita “periferie”, sostanzialmente abbandonate da un governo provincialmente centrostorico-centrico, che non ha saputo vedere l’enorme potenziale della città oltre le mura spagnole e la seconda circonvallazione. Ogni possibile e necessarissima “visione” non può che esercitarsi lì. Fatto che i cittadini “periferici” -giustamente- si sono legati al dito.

 

italia, Politica, Senza categoria Marzo 16, 2015

Venezia, effetto Casson: vince il candidato non renziano. E ora vediamo Milano

Felice Casson, candidato sindaco per il centrosinistra a Venezia

Molto molto bella la stravittoria di Felice Casson (55.6 per cento dei consensi) alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Venezia, staccando nettamente gli altri due candidati. Persona schiva, ai limiti della timidezza, ma di straordinaria fermezza morale, Casson NON era sostenuto dalla gran parte del Partito Democratico veneziano. Il che non ha impedito questo grande risultato, in una città scioccata e umiliata dal tradimento dell’ex-sindaco Orsoni.

Perché poi c’è il voto, è la morale della favola: e quando dalla rappresentazione mediatica, dai talk show, dai trionfalismi bonapartistici si passa al libero voto, le sorprese possono essere davvero grandi. E quando, come nel caso dell’elezione dei sindaci, si può esprimere una chiara preferenza per un candidato e le stanze dei partiti devono ingoiare, capitano cose come questa: ecco perché le preferenze piacciono poco a chi governa.

Intanto tra poco sapremo se Giuliano Pisapia lascerà o si candiderà per il secondo mandato come sindaco di Milano. Molti chiaroscuri nella sua gestione, che sintetizzerei così: una retorica della partecipazione, con i consigli comunali su megascreen come le partite, che ha ceduto rapidamente il passo a una propensione dirigistica; bene il piano del traffico, benissimo la tenuta sui diritti civili, Pisapia è sempre stato stra-garantista; male le periferie, sostanzialmente abbandonate, in una visione un po’ provinciale, borghese e “centrostoricistica” della città. Difetto di visione: sguardo puntato solo su Expo, evento che non sta scaldando i milanesi, e già incagliato nel subito-dopo Expo. Ancora non è chiaro che cosa sarà di quel sito.

Se Giuliano Pisapia non dovesse ricandidarsi per le amministrative del 2016, i rischi per il centrosinistra sarebbero piuttosto elevati: il centrodestra giocherà la sua partita alla grande perché sa molto bene che da Milano -da sempre oggetto misterioso per la politica romana: ignorare o maneggiare con cautela- parte quasi tutto: senza la battaglia del 2011 per il cambio di giunta oggi probabilmente non ci sarebbe un governo Pd. Proprio per questa ragione Matteo Renzi sarebbe fortemente tentato dalla proposta di un candidato-unico destrorso-pigliatutto, scelta che però avrebbe per lui non poche controindicazioni, aprendo spazi a una sinistra che sappia intercettare le sofferenze di una città che non ama esibire i patimenti ma cionondimeno li prova. Con possibili effetti a sorpresa: vedi Casson, quando il Pd vince grazie ai non-renziani.

Partita interessante, insomma, e serio banco di prova per il renzismo, che su Venezia dovrebbe riflettere attentamente: sul tema Renzi, destra e sinistra e Terza società in sofferenza, consiglio caldamente la lucida analisi di Luca Ricolfi (significativamente, non la pubblica Il Fatto Quotidiano, ma il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore). Buona lettura.