Alain Delon migrante lucano in “Rocco e i suoi fratelli”

L’altra notte scrivo all’assessore milanese Pierfrancesco Majorino, in prima linea sulla questione migranti: “Magari quel cubo di plexiglas in stazione dove sono temporaneamente ospitati potrebbe essere oscurato con un po’ di carta da pacchi“. Così, per troncare sul nascere le polemiche sui “migranti in vetrina”, e per garantire a quelle donne, a quegli uomini e a quei bambini un minimo di privacy. In effetti la mattina dopo il cubo è stato oscurato.

Mi vengono dei dubbi: i migranti sugli scogli di Ventimiglia non vogliono essere nascosti. Vogliono stare lì, avvolti nelle metalline, perché il mondo li possa vedere. Oggi papa Francesco chiede “perdono per chi chiude la porta ai rifugiati”. E’ giusto che restino dove intendiamo tenerli, sulla porta, a bussare, fintanto che intenderemo tenerceli.

Ogni volta che passavo dalla stazione e vedevo quelle famiglie sistemate nel mezzanino, donne uomini e bambini, e i volontari che scodellavano pasta e distribuivano biscotti, e i milanesi che arrivavano a frotte con i loro borsoni di viveri, indumenti e giocattoli, era come passare davanti alla grotta di Nazareth, con il Figlio dell’Uomo, i Magi e i pastori. Un punto di santità, un tempio che mi commuoveva nel profondo.

Giusto che profughi e migranti vengano accolti degnamente, quanto meno una brandina al coperto e un bagno dove lavarsi. E giusto che si trovi un modo umano per regolare i flussi, per ridurre al minimo i problemi e i disagi per tutti. Ma la logica non può essere quella del nascondere, del non vedere. Vedere è la prima cosa, per trovare soluzioni efficaci e degne.

Parlo da figlia di figli di migranti (e dalla mia pelle si vede!).

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •