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bambini, Donne e Uomini Ottobre 16, 2012

La Cittadella delle madri

la fiaccolata delle madri a cittadella

Ricevo stamattina questa email

Sono dalla parte di quel padre di Cittadella. Ha messo i riflettori su qualcosa che riguarda centinaia di padri, esautorati dal loro ruolo da erinni autorizzate e appoggiate da un sistema che le vede sempre e comunque vincenti. Io lo ringrazio, anche per il coraggio e la caparbietà dimostrata. Io questo coraggio non l’ho mai avuto, mia figlia ha vent’anni, non ci parliamo, sua madre è felice, io e mia figlia no. Saluti. G.S.“.

Il problema l’ho ben presente. Ormai molti anni fa, era il 2004, ne avevo parlato in una conversazione sul periodico “Via Dogana” con Lia  Cigarini, avvocata matrimonialista, femminista e fondatrice della Libreria delle Donne di Milano, intitolato proprio “Voglia di stravincere”.

Eccone alcuni passaggi:

… quando come avvocata mi trovo a difendere le donne nelle cause di separazione, le vedo agire un forte senso di rivincita nei confronti dell’uomo con cui hanno vissuto. Come se avessero di fronte un nemico da distruggere… Le donne disconoscono le capacità paterne del compagno. Dicono che non sa accudire i figli, che li fa ammalare, non sa farli studiare, ecc. Io riconosco una competenza speciale alle madri, ma non penso a un’assoluta inettitudine paterna, perché non giova a nessuna. Più precisamente penso che nel conflitto tra madre e padre il sapere femminile debba fare qualcosa di più che rivendicare un’assoluta competenza della madre. Anche perché in questo nodo entra in gioco la libertà femminile. È libertà anche saper inventare mediazioni. Tuttavia per ora la propria libertà va seconda rispetto alla rivendicazione dell’assoluta competenza materna. Io tra responsabilità totale della madre e libertà vedo tante contraddizioni, loro no…  La lotta delle donne è soprattutto sui figli. Io sono d’accordo che vengano affidati alle donne, ma non sulla pretesa di cancellare totalmente il padre“.

Non voler prendere atto del problema ha esasperato il conflitto. Oggi molti padri separati fanno riferimento ad associazioni molto aggressive, e arrivano, come testimonia l’email che pubblico sopra, a credere in soluzioni altrettanto aggressive. I risultati di questa aggressività reciproca non sono buoni. Leonardo, il bambino di Cittadella, oggi vive in una comunità, e se non interverranno decisioni diverse ci starà per un anno intero. Credo che sia uno scacco per tutti, per la madre e anche per il padre, ma soprattutto un’esperienza davvero tragica per il bambino.

Io credo che tutti -i protagonisti della separazione, i giudici, gli avvocati, gli addetti ai lavori a vario titolo- debbano intensamente e accanitamente lavorare in direzione di una mediazione del conflitto, e che le madri affidatarie debbano essere accompagnate, quando serve, nella costruzione di un dialogo accettabile con l’ex-marito, a tutela di una buona relazione tra padre e figli. Senza dimenticare che, forse molto più frequentemente, le madri affidatarie vivono il problema opposto: un ex-marito che diventa anche ex-padre, allenta ogni relazione con i figli, non provvede al loro mantenimento, si dilegua fisicamente e moralmente.

La competenza materna deve esercitarsi anche nella ricerca di giuste mediazioni.

 

 

 

bambini, Donne e Uomini, esperienze, questione maschile Ottobre 12, 2012

Il padre di Padova e re Salomone

La storia la sapete, vero? Di quelle due donne che si presentano da re Salomone contendendosi un bambino: ognuna aveva partorito un figlio ed entrambe dormivano nella stessa casa. Uno dei due bambini muore, e sua madre prende il figlio dell’altra. Salomone ordina che il bambino venga tagliato a metà per darne una parte a ciascuna. La falsa madre accetta la soluzione -invidiosamente, mi viene da dire, pur che anche l’altra perda il figlio-. Ma la vera madre lo supplica di fermarsi e di dare il bimbo all’altra donna, pur di salvarlo. Salomone capisce che la vera madre è lei.

Salvare il bambino, metterlo davanti a tutto: è questo a fare una madre, e anche un padre. Il padre del bimbo portato via a forza dalla polizia usa proprio queste parole: “L’ho salvato”. L’ha salvato, a suo dire, da una madre che lo metteva contro di lui, e che lo stava facendo ammalare di Pas, o Sindrome di alienazione genitoriale, disturbo inventato da uno psichiatra americano, Richard Gardner, e mai riconosciuto dalla scienza.  “Ora è sereno”, aggiunge il padre. Difficile credere che possa esserlo, tolto alla madre e ospitato in comunità, e dopo quello che gli è capitato, un trauma che può fare ammalare davvero.

Può essere che quella madre abbia sbagliato, che non abbia agevolato i rapporti tra il piccolo Leonardo e suo padre, che addirittura li abbia ostacolati e impediti. Se così è stato, l’errore è grave. Severissimo, certo, è il recente disposto della Corte di Appello di Venezia, che toglie il bambino alla madre. Inaccettabile il comportamento delle Forze dell’Ordine, che ha trascinato via quel bimbo contro la sua volontà, o meglio, come se non avesse volontà, come se i suoi sentimenti, il suo divincolarsi, la sua sofferenza non avessero alcun significato e contassero molto meno di quelli della madre, del padre e della volontà dei giudici. Una sofferenza tanto grande che con la sua forza d’urto ci ha raggiunto tutti, per via mediatica.

Ma anche quel padre, di fronte alla spada che si stava abbattendo sul ragazzo, forse non avrebbe dovuto comportarsi come la finta madre, che così si rivolge al Re “Non sia né mio né tuo: dividetelo in due!”. Forse come la vera madre avrebbe dovuto sentire “le sue viscere commosse per suo figlio” e percepire l’inessenzialità del suo diritto e forse della sua volontà di vendetta di fronte alla sofferenza di colui che dovrebbe essere il suo primo oggetto d’amore. Se davvero quel padre crede che sia il bene di quel figlio essere tolto a sua madre -ed è sempre difficile crederlo- forse questo allontanamento si sarebbe dovuto realizzare con tutta la cura, la pazienza, la delicatezza necessarie, un piccolo sorso di sofferenza ogni giorno, senza ricorrere alla brutalità di una lama che recide in un solo colpo, lasciando intatta e non elaborata un’enorme mole di dolore.