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irene tinagli

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Febbraio 1, 2012

Le donne e il disagio della democrazia

Leggo sulla pagina Facebook di Se non ora quando Milano il seguente post a firma Cristina Pecchioli:“Sarebbe bene che gente come la Tinagli eviti di usare se non ora quando per veicolare i suoi “pareri”. Io non li condivido. Allora faccia meno la furba!”.

Tinagli (Irene) è stracurriculata, docente all’Università Carlos III di Madrid, esperta di innovazione, creatività e sviluppo economico, consulente del Dipartimento Affari Economici e Sociali dell’ONU, della Commissione Europea e di numerosi governi regionali, enti e aziende in Italia e all’estero, ma essendo che il suo parere non piace a Cristina Pecchioli, si deve ammutolire. 

Il succoso curriculum non esclude che Tinagli abbia detto una grandiosa cretinata (non si capisce a quale “parere” Pecchioli si riferisca, e quindi non si può valutare).

Ma qui il tema è un altro. Ovvero che una è titolata a esprimere solo pareri conformi al parere maggioritario di un gruppo, Se non ora quando, che per assunto condiviso dovrebbe essere aperto a tutti i contributi e politicamente trasversale. A quanto pare invece a Milano, dove il gruppo è blindatissimo e monocolore di sinistra, è all’opera una “commissione pareri” che deve decidere se il tuo parere può essere espresso oppure no, secondo i più squisiti modi dei soviet. 

Una mostruosità, insomma. Una posizione grottesca che esprime quello che chiamerei “disagio della democrazia”, questione invece serissima e di grande rilevanza fra le donne.

Per disagio della democrazia, intendo questo: la fatica che le donne fanno con un dispositivo, quello democratico, che si sono trovate bell’e fatto, che non hanno contribuito a congegnare e che per alcuni millenni non ha tenuto conto di loro. La democrazia è nata proprio così, tenendole fuori. Quando cercano la loro strada nello spazio pubblico, non è strano che facciano fatica con dispositivi come la delega e la rappresentanza, e si ritrovino a sperimentare dell’altro.

La cosa molto interessante è per esempio che in Snoq si discuta di rappresentanza “fuori” (il 50/50, la partecipazione paritaria alle istituzioni rappresentative maschili) ma si faccia una certa fatica a discuterne “dentro”. Come se quel dispositivo venisse ancora buono nelle situazioni miste, ma tra donne l’idea e l’utilità della rappresentanza si indebolissero.

La grande parte delle donne che ama la politica ha ancora molta paura di ammettere questa fatica della democrazia, anche se poi nei fatti, come si vede, le pratiche sono rivelatrici.

Simone Weil non si fece problemi a dirlo: “Tutto spinge al limite della democrazia”.

Forse questo imbarazzo con i dispositivi democratici va interrogato. Lì è in corso, forse non del tutto consapevolmente, un vero e proprio laboratorio politico. Women at work per inventare la loro polis.

(anche di questo ragiono nel mio prossimo libro, in uscita il 7 marzo per Rizzoli, titolo: “Un gioco da ragazze- Come le donne rifaranno l’Italia”: si fa tanto fatica a scriverli, un po’ di pubblicità).

 

Politica Novembre 24, 2008

FUORI UN’ALTRA

irene tinagli

irene tinagli

Nel caso vi fosse sfuggito: Irene Tinagli è una brillante e giovane (34 anni) studiosa di innovazione e sviluppo, docente all’università di Pittsburgh, già consulente Onu e autrice del saggio Talento da svendere (Einaudi). Il suo, di talento, l’aveva generosamente messo a disposizione del Pd, entrando nella direzione nazionale del “partito nuovo”. Ma di questo mirabile talento il “partito nuovo”, tutto preso nelle sue beghe all’antica, non se ne è fatto nulla, tanto che, dice la ragazza, “in un anno di vita del Pd non sono mai stata consultata mai, nemmeno per un parere“. E ora, giustamente, Irene torna alla sua vita e va a investire altrove, esasperata dall’enorme quantità di energie spese nelle “polemiche tra veltroniani e dalemiani”. “Non sarebbe male” aggiunge “se Veltroni e D’Alema si dimettessero: hanno fatto più danni della grandine”. Nel frattempo se ne va lei, che ha di sicuro molte altre cose significative e importanti da fare. Diversamente da quelli -e quelle- che non se ne andranno mai, perché fuori di lì non saprebbero davvero che fare e come guadagnarsi il pane (anche se le pensioni siano molto congrue).

Il suo esempio andrebbe seguito, a titolo di esplicita denuncia, soprattutto dalle molte donne tenute ai margini della vita del partito. A meno che in extremis non riescano a fare qualcosa di buono. A meno che non riescano a imporre le loro priorità. Ma soffriranno lì dentro fino alla fine, attaccate al loro banco da prime della classe e fedeli e al padre, Anche se di padri in verità non se ne vedono, solo fratelli rissosi. Anche se le cose che contano davvero per la vita di tutti capitano necessariamente fuori di lì.

Si può fare a meno dei partiti, eccome. Oggi se ne deve fare a meno, non c’è alternativa, se davvero si ama la politica. E un omaggio a Irene, la prode.