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impermanenza

esperienze Settembre 27, 2009

MORTE DI UN HARD DISC

Ho perso tutto: vi rendete conto? Un giorno di questi il mio computer ha emesso un gemito e si è messo lampeggiare interrogativamente. Con il dovuto riguardo i medici che l’hanno visitato mi hanno comunicato la notizia infausta: hard disc morto, sfigurato, finito. Tutto quello che hai scritto, anni e anni di chiacchiere, articoli, rubriche, libri, maldestri tentativi letterari, documenti, materiali, improvvisamente ingoiato dall’iperspazio. Da qualche parte dovrei avere un back up di anni fa, ma chissà dove.
L’eventualità che a lungo mi ha terrorizzato -oddio, avrò salvato il file? quell’email l’ho conservata?- infine ha preso corpo. Il peggio del peggio è capitato. Be’, volete la verità? Quando succede non si prova nulla, se non un rincrescimento freddo, e la leggerezza della tabula rasa. Il mondo va avanti lo stesso, con o senza le proprie stupidaggini in memoria, e constatarlo è perfino confortevole. Il pianeta può fare a meno di me. Posso distrarmi tutte le volte che voglio, dunque, c’è sempre qualcuno –Dio?- che vede e provvede.
Sapete di quei monaci che per mesi e meticolosamente lavorano ai loro mandala di sabbia multicolore, e una volta realizzato il disegno perfetto –sorridendo- lo spazzano via: quello che davvero conta –l’impermanenza– è appreso tutto in quel gesto, il lavoro di mesi e mesi che lo precede è solo preparatorio.
Non sono così eroica, il tasto “delete” non l’ho schiacciato io. Ma ho la precisa sensazione che se occasionalmente qualcosa di sensato l’ho scritto, quel senso non è andato perduto, i suoi frutti li ha dati e continuerà a darli nel tempo. Quello che deve vivere vive e ha gambe per camminare a prescindere dalle nostre fragili intenzioni. Con fiducia ci si può abbandonare al corso delle cose, un po’ come da bambini per la strada ci si lasciava trascinare dal papà, la mano al sicuro nella sua grande mano.
Forse capita anche quando ce ne andiamo di qui, tutta la fatica che facciamo nella vita solo per prepararci a essere cancellati, noi e tutti quanti i nostri preziosi file. Ma se qualcosa di buono l’abbiamo combinato, si può stare certi che non smetterà di vivere.

(pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 26 settembre 2009)

Archivio Settembre 6, 2008

CELEBRAZIONI

Nella vita, mi scrive Giovanni -buddisticamente- “tutto è impermanente”. E se provassimo viceversa a pensare che “tutto è permanente”? Ovvero che niente va perduto, nessun istante, per ciò che è, nel suo bene e nel suo male. E quindi non deve essere perduto, quindi ogni momento va vissuto e celebrato nel suo potenziale di unicità e di eternità, e mai sprecato? E per celebrarlo intendo dire, etimologicamente, proprio abitarlo, starci dentro. E quindi permanerci.

Certo, ci sono momenti in cui è più facile abitare. L’altro giorno, a Mantova, il bianco splendore di Palazzo Te, o quel magnifico affresco trecentesco che raffigura la città circondata dai suoi laghi. In qui momenti si resta volentieri, ed essi ricambiano restando a lungo con noi a irradiarci. Ci sono momenti invece da cui si vorrebbe solo fuggire, e anzi si può dire che siano molta parte dei momenti, dato come sono messe le nostre vite. E allora lì, sì, non si può che attaccarsi all’impermanenza, alla fiducia che prima o poi passino. E forse invece, con un po’ di allenamento, si può stare anche lì, celebrare anche quelli, cercare il bene che stenta se noi non gli andiamo incontro, se non gli diamo una mano a essere.

O Signore, io predico tanto bene e poi razzolo così male, con tutta l’inquietudine che ho addosso. Ma per esempio scrivere, e poi camminare, camminare, camminare, queste per me sono le palestre in cui mi esercito a celebrare, e ognuno ha certo le sue.

Voglio dire che quest’idea dell’impermanenza mi è sempre sembrata un po’ disumana, e animata da una sostanziale sfiducia. Si può stare fiduciosamente, invece, e celebrare la permanenza e l’eternità di ogni cosa che è, con un po’ di allenamento. E qualcuno a cui poter raccontare quello che viviamo e vediamo.