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AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Giugno 25, 2011

Caro assessore Stefano Boeri

Caro Assessore Stefano Boeri,

dove ti giri ti giri e la litania è sempre quella: non ci sono soldi. Neanche in Comune. Mancano per il pane, figuriamoci per le “rose” della cultura (anche se quelle rose si mangiano, eccome). Frugo nelle mie tasche, e come Tom Sawyer e Huck Finn ci trovo una fionda, qualche biglia, una rana morta, ma soldi pochi. In casi come questi si tratta di torcere il difetto -anzi il deficit- in opportunità. Se si prova a intendere la cultura come cultura della carenza, allora siamo ricchi.

Quando mancano i soldi in genere scattano altre cose: un senso più forte dello stare insieme per darsi una mano e per valorizzare quel poco che c’è. Una cultura del dono, del gratis e dell’amicizia che riesce a farsi largo quando l’onnipresenza del denaro, misura onnivora, le lascia un po’ di spazio. Dove c’è povertà e sofferenza noi milanesi diamo in genere il nostro meglio: è inutile che ti ricordi il nostro “volontariato”, un brutto nome per una cosa tanto bella.

Ecco, si tratta forse di fare di questa cultura del dono di cui siamo già naturalmente tanto ricchi l’asse portante della nostra politica culturale, in continuità con quella diffusa generosità che abbiamo visto in azione in questi mesi e che ha prodotto il miracolo della svolta civica. Questa è l’occasione che ci viene offerta dal deficit di bilancio.

Assessore, ti ricordi quando a messa il sacrestano passava con il suo saccoccio per l’offertorio? Dare qualche spicciolo funzionava  anche da collante per la comunità parrocchiale. Poter dare, ciascuno per ciò che ha e che può, alla nostra città, ristabilirebbe anche quel senso di comunità che ci è mancato dolorosamente e per troppo tempo, e sarebbe un fatto culturale, anzi Culturale in sé.

Qualcuno offrirà soldi: ci sono cospicui patrimoni privati, siamo sì un po’ più poveri, ma pur sempre al centro del triangolo più abbiente d’Europa. Qualcun altro idee: siamo pieni di creativi. Altri ancora un po’ del loro tempo, della loro buona volontà, delle loro relazioni. Una generale mobilitazione che, come ti dicevo, è già cultura e fa cultura. La cultura della comunità, dell’amicizia, del dono, del gratis: concetto inattuale ma fondamentale, perché la grazia è già abbondanza.

Per scendere a terra con qualche esempio: invitare i nostri stilisti, che tanto hanno avuto dalla nostra città, a restituire “adottando” un pezzetto di città meno fortunato del Quadrilatero per farci qualcosa di bello, visto che con il bello loro hanno una certa dimestichezza; chiedere ai nostri grandi artisti in ogni campo, dal cinema, al teatro, alla musica, alle arti figurative, di fare il loro dono alla città, con una performance “in sottoscrizione”, come si diceva una volta, finalizzata a qualche obiettivo benefico. Penso proprio a una rassegna, per Amore di Milano. Che se lo merita, perché ancora una volta Milano sta facendo qualcosa di politicamente rilevante per il resto del Paese, e qualcosa di buono, pare. Quindi anche grandi artisti “stranieri”: pensa a Toni Servillo, che a Milano si è sempre detto molto legato, o a Paolo Conte, che sta qui nella bella Asti, praticamente in periferia, per non parlare di Adriano, e pensa a tanti scrittori, che qui hanno avuto l’occasione di incontrare la grande editoria, insomma, pensa a chi vuoi tu.

L’Evento culturale sarebbe questo, caro Assessore: la nostra cultura e il nostro meglio che si mettono insieme per fare un regalo a Milano. E poi si dovrebbe dare l’occasione a tanta gente che smania per poter fare qualcosa, per partecipare direttamente e intensamente alla ricostruzione della città -uso parole un po’ drammatiche, ma non così lontane dal vero: si tratta soprattutto di una ricostruzione morale, anzi spirituale– di poter offrire il loro dono, canalizzando tutte queste buone energie, smistando il traffico della generosità

Insomma, Assessore Boeri, come vedi ci si offre, nella penuria, un’occasione straordinaria: quella di fare Milano almeno un po’ a prescindere dai dané. Parole d’ordine: dono, gratis, amicizia, amore, grazia, spirito. Il tutto simboleggiabile in quel bellissimo Mudra dello yoga, quel gesto delle mani rivolte a palmo in su, che simboleggia la richiesta di aiuto ma anche la capacità di accogliere la grazia -e poi ci vorrai dare la soddisfazione di una bella seduta collettiva di yoga ai Giardini pubblici o anche in piazza Affari, simbolica e distensiva?-

Chiudo con una dichiarazione del poeta coreano Lee Chang-dong, che è anche regista (“Poetry”) ed è stato ministro della Cultura del suo paese: “Mi sono battuto per cambiare la percezione che la cultura dovesse dipendere dall’economia“.

Ciò che impedisce davvero la cultura, più che la povertà di mezzi, è la povertà delle relazioni. Tutto ciò che rende difficile incontrarsi. Oggi c’è più cultura nella chiusura di una piazza o di una strada al traffico delle auto, nella possibilità di risentire il rumore dei propri passi mentre si cammina e di scambiare due parole con l’altro, che nell’apertura di un nuovo museo. C’è cultura ogni volta che si intuisce che il senso delle cose non è quello che appare. Che c’è dell’altro. E che nello spazio tra ciò che appare e quello che invece potrebbe essere corre la possibilità di un tratto di vita meno infelice, e di molte belle cose da fare.

Fare cultura oggi è soprattutto provocare il desiderio di qualcosa che non può essere consumato.

Un abbraccio e buon lavoro, a te e anche al sindaco e ai tuoi colleghi di giunta.

 

economics, esperienze Ottobre 30, 2010

IL BELLO DEL GRATIS

Tutta la notte in lotta con i peperoni: me li hanno mandati dalla campagna, la peperonata era obbligatoria. Un bizzarro semi-incubo. Io e mio marito che dobbiamo lasciare una stanza d’albergo, ma non ci riusciamo. Dimentichiamo sempre qualcosa, si rompe il trolley, i nuovi ospiti seccati fuori dalla porta… Un inferno.

La prima chiamata del mattino è una compagnia telefonica che mi propone non so che megaofferta. La seconda un oleificio che intende piazzarmi qualche bottiglia “solo per lei a un prezzo speciale”. Accidenti: grazie! Cortesemente declino, e passo alla posta. Tutte lettere d’amore: bollette, banca, pubblicità. E-mail intasata, al solito. Anche qui: inviti a presentazioni, promozioni di tutti i tipi, scarpe, mobilia, automi da cucina. Cestino tutto, saluto con deferenza l’esercito delle pr, chiudo il portatile, mi preparo a uscire. Un’infilata infernale di appuntamenti, stasera devo andare anche in tv. Con queste occhiaie peperonate.

Si fa viva nel mio cervello una tale conosciuta per caso che chiede di essere introdotta dappertutto: e mica per amore dell’umanità, o per sfuggire dalla solitudine. Anche lei ha da vendere qualcosa, lo so. Tu pensi che cerchino affetto, ma quello che gli serve è una mailing list. Mio marito mi risveglia dal sogno allungandomi una raccomandata dell’amministratore. La infilo nella borsa e scappo. Già che passo davanti alla banca faccio un bonifico. Che cosa farei, stamattina, se non dovessi lavorare? Forse un salto al mercatino. A comprare qualcosa di cui non ho bisogno. Meglio di no. In metrò tengo la borsa stretta sotto il braccio. L’ultimo portafoglio me l’hanno sfilato un paio di mesi fa.

Su cento cose che ti capitano in una giornata, almeno 99 hanno a che fare con la merce. O con i soldi, merce delle merci. Pagare qualcuno, o essere pagati. Credo che faccia molto male alla salute.

Perciò quando su Facebook un’amica che ha aperto un alberghetto a Berlino invita mio figlio e la sua ragazza per un week end (“… miei ospiti, ovviamente”), è come se il sole invadesse la stanza. La sontuosa bellezza del dono, delle relazioni libere dal denaro!

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 30 ottobre 2010