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Giusi Garigali

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Giugno 23, 2011

Un'assemblea a Vila de Gràcia

Giusi Garigali continua a raccontarci quello che capita in Spagna. E noi la ringraziamo per i suoi reportage.

Avevo proposto a Marina di intervistare qualche portavoce degli Indignati, per poter farmi un’idea più precisa di dove vogliono andare e porgli anche qualche domanda, esternare qualche dubbio (mio) rispetto a delle posizioni “ideologiche” (loro) che non condivido,  potermi confrontare con loro su idee concrete, chiare e definite.

Questo proposito mi ha portato a un esito totalmente differente, che a posteriori mi sembra incredibile non aver intuito subito, perché in realtà è sotto gli occhi di tutti, anche se finora non ho letto una riflessione che vada nella direzione che mi ha suggerito l’esperienza che ho vissuto due giorni fa. In realtà dubito perfino che gli stessi “indignati” ne siano coscienti fino in fondo: la “praticano” spontaneamente senza rendersi conto che la vera carica di novità rivoluzionaria del loro movimento sta lì, nel loro agito quotidiano.

Si affannano a inventare sempre “nuove azioni” dimostrative o ad elaborare teorie economiche alternative mentre non si accorgono che sono molto più dirompenti (e accusatori rispetto alla politica tradizionale) i loro piccoli atti comuni di tutti i giorni. Infatti, con la loro pratica quotidiana stanno puntando il dito contro una classe politica “indifferente e cinica”. E questi stessi politici cosa fanno? Alcuni li guardano dall’alto in basso (i politici di centro-destra) altri (quelli di sinistra) si preoccupano di capirne le rivendicazioni, perché questo movimento può eroderne la base elettorale. Nessuno però che cerchi di guardare dentro la novità.

Il problema è che tanto gli uni come gli altri (destra e sinistra) partono da un punto di vista diverso, distante dalle pratiche politiche degli indignati. Per esempio Carme Chacon (la ministra della difesa socialista che  si prestò ad una pseudo-rappresentazione della libertà delle donne spagnole passando in rassegna le truppe in stato di gravidanza avanzata, teatrino della “rappresentazione delle donne in politica” di cui è stato maestro Rodríguez-Zapatero) che esterna interesse per le istanze rivendicative degli indignati, dimostra perfettamente di essere quello che è: una politica di professione che si muove solo e unicamente in quello che Marina e tante altre ci hanno insegnato a chiamare il campo della “politica seconda“, e che non coglie assolutamente i problemi che gli indignati pongono a livello di “politica prima“.

In realtà, a livello di “politica seconda”, gli indignati ne hanno di strada da fare. Sono destrutturati, non hanno una chiara ideologia di riferimento, fanno fatica ad uscire dalla protesta “spicciola” e anche dal facile “vittimismo”.  Quindi a volerci confrontare con loro a questo livello difficilmente troveremo delle idee che ci stupiranno per la loro profondità e capacità di analisi.  Ma se da questo livello “secondo” ci spostiamo al livello della “politica prima”, allora sì che troviamo nel movimento delle rivendicazioni interessanti.

Quello che gli indignati stanno chiedendo alla politica ufficiale è di tenere conto anche di loro in un modo diverso e di “includerli” nella vita politica, ascoltando. Questo è ciò che chiedono quando rinfacciano ai politici di non rappresentarli. Di qui il tentativo di dare vita a “pratiche politiche” diverse, tanto nel loro modo di stare in rete quanto di riunirsi. Di qui l'”ossessione” per l’orizzontalità del movimento, ribadita all’estremo, quasi fosse un mantra rassicurante, che ti protegge da quell’altra cosa orrenda, tipica della politica seconda, e cioè la verticalità, che allontana i rappresentanti dai cittadini. Da qui quella affermazione continua della “prematurità di prendere decisioni”, perché “bisogna ascoltare la voce di tutti” e le discussioni-fiume, di ore, per individuare solo poche “parole-chiave” che incarnino e NON interpretino in maniera definitiva, il malessere dei cittadini. Da qui il costante “divenire” del movimento.

Per alcuni, infatti, quello che è interessante è proprio “il processo”, non il suo fine ideologico, nel processo c’è già un significato rivoluzionario dirompente. Questo “processo” che ha liberato energie, che ha messo in comunicazione e in relazione alcune persone con delle altre, che ha fatto risorgere il “desiderio” e la “speranza” (qui chiamata “ilusión“, che significa desiderio che qualcosa succeda) di poterci finalmente essere, di contare e di poter contribuire a un cambiamento in prima persona. Non più anonimi individui “atomizzati”, preda di un ingranaggio individualista ma cittadini capaci di rivendicare un qualcos’altro che ti rende più umano.

Volevo fare un’intervista che mi è stata ripetutamente negata in nome dell'”orizzontalità” del movimento e dunque dell’assenza di “portavoce ufficiali”. Mi è stato quindi suggerito di partecipare all’assemblea. Finora ero stata in piazza, avevo letto gli striscioni, avevo preso con me i volantini, ma non mi ero tuffata per 3 ore in un’assemblea. Stare dentro l’assemblea mi ha fatto capire quale è la “novità” di questo movimento, quali sono i suoi tratti distintivi. Che, come vi ho già detto, non credo vadano ricercati in elaborazioni teorico-politiche mature, ma in questo modo diverso di affermare la volontà di stare dentro la storia, non più “oggetti” ma “soggetti”.

Arrivo alla piazza della Vila de Gràcia alle sette di sera. Vedo subito il Punto d’Informazione. Qui raccolgo molti volantini. Oggi ci sarà l’Assemblea Generale del movimento di Gràcia. Infatti, dopo l’abbandono (quasi completo) della piazza Cataluña, il movimento si è decentrato nelle varie zone di Barcellona e si sono create Assemblee in molti quartieri. Quella di Gràcia si riunisce il lunedì pomeriggio. L’assemblea comincia verso le 7.20. L’audio è pessimo. Si chiedono due volontari per redigere il verbale. Tutti sono seduti per terra. Chi prende la parola non lo fa da una posizione frontale rispetto ad una “platea”, ma direttamente da dentro il gruppo. Ogni tanto alzano le braccia e muovono le mani. Chiedo spiegazione. Mi dicono che questo gesto corrisponde all’applauso nel linguaggio dei sordomuti. Serve per “applaudire” durante i vari interventi senza disturbare, per non interrompere. Si passano in rassegna tutte le varie commissioni. Il portavoce di ogni commissione prende la parola e racconta cos’è stato fatto durante la settimana. Identifico il portavoce della commissione comunicazione. Si chiama Ignasi. Mi avvicino e gli chiedo se è disponibile a farsi intervistare. Ignasi è decisamente in imbarazzo. Dice che lui non è disposto a rilasciare interviste e che comunque nessuno mai mi potrà parlare a nome del movimento. Tutto quello che può fare per me è semplicemente sottoporre la mia richiesta alla commissione comunicazione i cui componenti valuteranno che risposta darmi. Mi suggerisce però (anche lui) di fermarmi all’assemblea: in questa sede potrò porre le mie domande. Io invece ho già capito che nessuno avrà voglia né tempo di rispondere a nessuna mia domanda. Le mie domande, infatti, sarebbero fuori luogo, attengono alla “politica seconda”. Qui siamo su un altro pianeta.

Si decide di riunirsi in gruppi ridotti di 20/25 persone e di dare vita a un dibattito Da ognuno di questi gruppi usciranno delle “parole chiave” che poi verranno scritte su uno striscione che si lascerà in piazza, affinché i passanti possano leggere e riflettere. In ogni caso quello che non si farà è trarre delle conclusioni. Solo proposte e parole chiave, nessuna sintesi. Un grande rispetto del pluralismo, volontà di “inclusione”: il movimento è aperto a tutti. Ci sediamo in circolo. La sensazione positiva che ho subito di questo contesto è il tentativo empirico di fomentare la partecipazione democratica. Questa volontà mi sembra autentica. Sembrano in buona fede. Gente sola, che ha vissuto gli anni di boom economico centrata su se stessa, avendo come unico valore il più totale individualismo, e che ora, con la crisi, ha scoperto di aver bisogno degli altri, di aver bisogno di relazioni, di costruire relazioni perché “da soli si perde in umanità”. Atri aspetti positivi che rilevo sono quelli di una assunzione di responsabilità che dichiarano che “la coerenza è già un atto politico”, la coerenza fra la propria vita privata e quella pubblica.

La prima a prendere la parola è Goretti. Dice di essere galega e di avere provato, fin dall’inizio, una grandissima “ilusión”. Ha fatto parte della Commissione Ambientale in piazza Cataluña, ma è lì dove ha cominciato a vedere alcuni problemi, quando si è trattato di passare dal negativo, ossia dalla denuncia e dalla protesta, al positivo cioè alla proposta… Nonostante questo è felice di continuare ad essere dentro il movimento. Un altro – che si definisce “vecchio ma resuscitato grazie al movimento” – dice che è un bene essersi incontrati in tanti, con tanta voglia di cambiare. Continua: “pensavamo di essere da soli contro la crisi e invece siamo in tanti. Sono sicuro che insieme potremo fare qualcosa”. Questo concetto ritorna in molti altri interventi: la necessità di riscontro e di rispecchiamento nell’altro, che ti dà fiducia e ti fa ben sperare… Ti fa uscire dall’isolamento e dalla debolezza. Ti fortifica. Poi è la volta di Claudia, che dice che, secondo lei, “è positivo che ci sia tanta gente nuova, che non aveva mai partecipato prima a delle assemblee”. Jose dice che “è evidente che il sistema aveva giocato a favore dell’individualismo e ci aveva rubato quella parte di umanità che ci fa diversi. Ciò che ha di positivo il movimento”, continua “è di aver risvegliato il desiderio di cambiamento, anche se a volte sembra un caos totale.” Riconosce che tanta orizzontalità a volte “confonde”, che una maggiore organizzazione aiuterebbe contro il potere che invece è ben strutturato, che va bene lavorare adesso a livello di quartiere ma si devono marcare gli obiettivi a livello generale. Dice un’altra ragazza: “la ricchezza del movimento sta nel suo processo. All’inizio ero scettica, ma mi piace la voglia di partecipazione. Tutti si devono ascoltare. Questo è l’unico modo di crescere.” Eva dice “mi piace il tema dell’assemblea. Bisogna aver pazienza, ma non è tempo perso. È arricchente”. Nuria continua: “per me questa è politica. Per questo è importante discutere, per passare da una democrazia non rappresentativa a una rappresentativa. E sono convinta che tutto non viene solo dalla crisi economica ma da un ordine mondiale che non funziona.” Laura: “io dopo un momento di scetticismo comincio a credere che questo movimento vuol dire molto. Sto veramente avvertendo il cambio nella mentalità della gente. Mi sono sentita molto oppressa da questo sistema. Voglio trovare la forza e l’energia. E la cosa interessante è che si vedono tante facce nuove”. Marc: “è positivo che stiamo cominciando a tirar fuori cose nuove, a pensare. Dobbiamo smetterla di credere che dobbiamo per forza possedere una casa, una macchina, un computer ultimo modello eccetera”. Tomás: “siamo una piattaforma cittadina di “sinistra”, e vogliamo cambiare la situazione economica. Per me la grande vittoria è la “presa di coscienza personale”. Questa è la presa di posizione più “politica” all’interno del gruppo, in cui si ammette esplicitamente di stare “a sinistra” anche se, come sappiamo, molti degli indignati amano definirsi a-politici. Per Anna: “il movimento è una cosa filosofica. Sto vedendo che non è che tutto finisce nell’io, io, io.. Dove andiamo? verso una società in cui è protagonista il gruppo non l’individuo.” “A me sembra tutto fantastico. Non tutti siamo allo stesso livello di consapevolezza, ma dobbiamo includere tutti, avere la testa aperta per accogliere le persone”, dice Cecilia Goro e commenta: “la grande forza sta nei legami che si creano“. Un’altra donna, più anziana, con la faccia torva, dice di “aver avvertito l’impotenza davanti alla crisi, la sensazione di non poter reagire”. E poi giustifica la violenza dell’altro giorno – i fatti davanti al Parlamento – con la violenza sociale pregressa subita dalle persone che hanno scatenato i disordini. Questo per me è l’intervento più triste. Quello più carico di livore e meno di desiderio. Più inquadrato in un orizzonte rivendicativo alla maniera della “politica tradizionale”. Questo suo giustificare la violenza mi fa pensare a cose tristi avvenute anche nel nostro Paese, che niente hanno a che fare con quello a cui sto assistendo. Puro odio e intolleranza. Un altro dice che, finalmente, la politica si è trasferita per la strada. E che la fase buona del Movimento comincia adesso, dopo l’esperienza della piazza Cataluña. Si cercano quindi le parole chiave, quelle parole che più spesso sono tornate nelle riflessioni di ognuno. Queste parole sono nell’ordine: – Ilusión – Indignazione – Opportunità – Desiderio di un cambio – Pazienza – Necessità di organizzazione.

Dove andiamo? Si chiedono. Concordano sul fatto che “tutti hanno voglia di cambiare, ma che è il dibattito nel movimento che dà un senso alle cose, che i gruppi di lavoro sono ancora troppo grandi e che tutti rimangono con la voglia di parlare.” La proposta che si farà all’Assemblea generale sarà quella di ridurre i gruppi a 6/7 persone. Conclude Marc: “stiamo andando verso un’educazione della coscienza in senso etico. Non si va da nessuna parte se poi, a casa propria, ognuno si comporta in maniera incoerente. Io sta imparando molto da tutto questo, soprattutto a livello personale.”

esperienze, Politica, TEMPI MODERNI Maggio 30, 2011

IN PIAZZA E IN RETE

Mentre aspettiamo di sapere di che morte dovremo morire – di che vita vivere- vi segnalo dalla Spagna questa interessante intervista realizzata dalla nostra amica Giusi Garigali, a cui in questi giorni sto “delegando” le vicende di Spagna, con Luis Ángel Fernández Hermana, uno dei maggiori esperti di reti sociali virtuali in Spagna.

Luis Ángel Fernández Hermana ha un CV sterminato, ovviamente leggibile in rete. È stato uno dei primi a studiare gli elementi concettuali per comprendere la “gestione della conoscenza in rete”. È divulgatore scientifico, giornalista (è stato corrispondente scientifico del Periodico de Catalunya ed ha lavorato anche per la BBC a Londra), consigliere editoriale per varie ha case editrici ed impartisce anche corsi e conferenze nelle maggiori università spagnole e dell’America Latina.

L’intervista offre strumenti utili anche per leggere lo scenario italiano (e le cose che stanno capitando a Milano).

G. Partendo da quanto è accaduto oggi, e cioè dalla sensazione che tutto avrebbe potuto concludersi con lo sgombero della piazza (e invece i manifestanti sono ancora lì) vorrei sapere da te: il futuro di questo movimento risiede di più nella capacità di mantenere la piazza o nella capacità reale di strutturarsi in rete, in un modo tale che si riesca a veicolare l’informazione che si crea e mantenere così in vita il movimento?

LA: Ci sono un paio di concetti che devono essere chiariti a mio giudizio.
1) L’acampada (occupazione) e il movimento non sono la stessa cosa. L’acampada risponde ad una logica propria, il movimento è invece costituito da un flusso di idee che possono sopravvivere alla stessa acampada o a qualsiasi altra cosa.
2) Il problema della strutturazione si pone solo per noi che ragioniamo ancora secondo criteri antichi, gente di una certa età che sa quanto sia importante “strutturare”. Ma l’impressione che ho, invece, è che stiamo attraversando un periodo storico caratterizzato da “movimenti destrutturati”. Otterranno qualcosa? Non si sa, perché nessuno sa esattamente cosa sia un movimento “destrutturato”, ma a ben vedere tutti quei movimenti destrutturati che hanno cominciato in rete e che sono poi arrivati a produrre puntuali azioni dimostrative, in realtà hanno già ottenuto delle cose, anche se evidentemente non hanno raggiunto il potere, non hanno governato nel senso classico in cui noi tutti pensiamo. Ma hanno modificato moltissime cose, in tutto il mondo. La teoria politica questo non lo riconosce ancora, non lo considera, semplicemente perché pensa secondo dei parametri che qui non si danno.
Per esempio, già nell’anno 1999, in un modo assolutamente inaspettato, apparvero a Seattle 60.000 persone che circondarono il luogo in cui si sarebbe svolta la prima riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ed impedirono che questa si svolgesse. Ci furono delle battaglie campali tremende. Le persone che partecipavano a questa protesta non superavano i 30 anni d’età e dicevano di stare lì per fermare l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il FMI e la Banca Mondiale. Nell’anno ’99, a parte coloro che ci lavoravano, nessuno sapeva nulla di queste organizzazioni. Queste persone avevano invece conoscenze profonde su questi temi, non trattati comunemente dai mezzi di informazione. Chi aveva dato loro questa informazione? In realtà era già dal 1992 (cioè da 7 anni) che in rete si stava discutendo proprio di questo, a partire dalla Conferenza sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992. Da qui nascerà, poi, il movimento antiglobalizzazione (che è in realtà una parola sbagliata perché si tratta di un movimento globalizzatore), che crea gli eventi del Foro Mondiale Sociale e che cambia molte cose in vari paesi, pur non prendendo il potere. Infatti, ha cambiato il modo di fare politica in molte città. Ecco, qui ci troviamo davanti a uno scenario in cui le forme passate di fare politica già non esistono più, non esistono più forme strutturate organizzate che vogliono arrivare a gestire il potere come i partiti.

G. Sì ma anche nel passato avevamo assistito alla nascita di movimenti con caratteristiche simili, con la differenza che prima non esisteva la rete. A me sembra che determinate rivendicazioni un po’ fumose, generiche, utopiche – ma assolutamente condivisibili – siano già state presenti nei movimenti del passato e quindi mi risulta difficile capire dove è la novità, se c’è novità…

LA. La novità è che questo movimento in realtà, malgrado le apparenze, è iper organizzato, si organizza costantemente, ma in maniera differente rispetto a quella che noi consideriamo l’organizzazione tradizionale. Si organizza e si “disorganizza” permanentemente. Noi non lo capiamo perché ancora ragioniamo con i vecchi parametri, e pensiamo che ogni forma di organizzazione debba puntare a un solo obiettivo preciso. Invece, questo movimento ha molteplici obbiettivi e la massa degli attivisti si sposta in pochi minuti da uno all’altro… Questa è ovviamente una caratteristica favorita da Internet, ma il movimento non è così solo per Internet, perché al giorno d’oggi la gente fa cose di questo tipo anche nella propria vita quotidiana. La trasversalità è una caratteristica altrettanto importante che andare dritti verso l’obiettivo, ed è la negazione della logica dei partiti politici. Non c’è più un abbozzo di cosa vogliamo fare per vivere meglio, ma sappiamo cosa ci fa stare male e che un sacco di cose devono cambiare perché producono solo infelicità…

G. A me comunque risulta difficile capire dove sta il passo più in là…

LA. È che al momento attuale non c’è un passo in più, in questo momento si tratta di capire cosa succederà, come ci si strutturerà… Questo movimento non ha un solo centro ha più centri e per questo è difficile da comprendere. Le idee che vengono alla luce escono direttamente dalla pancia di Internet e da fuori non si riescono a comprendere. Per esempio: non si comprendono i criteri secondo i quali certe azioni vengono poi considerate veritiere, e quindi producono consenso e partecipazione, e altre no. Quale sia la logica che governa tutto questo e come si possano mettere d’accordo migliaia di persone in Internet sulla validità di un’azione piuttosto che di un’altra rimane un mistero. Si tratta di fenomeni oscuri ancora non studiati.
Negli Stati Uniti tempo fa, proprio per provare l’esistenza di questo principio, si era messo in moto quello che si chiamava la capacità di convocare le “moltitudini intelligenti”. Ci si davano degli appuntamenti apparentemente assurdi, via Internet, cui effettivamente la gente andava. Per esempio ci si dava appuntamento, in mutande, in un certo luogo e la gente ci andava, e dopo 10 minuti tornava alle proprie occupazioni (stiamo parlando di 150.000 persone mobilitate). Come potevano sapere che si trattava di una convocazione veritiera e non falsa? Non lo sappiamo, perché ancora non sono state studiate le strutture interne alle organizzazioni in Internet. Sappiamo perfettamente come funzionano i partiti politici, le imprese, i sindacati eccetera. Tutte queste entità hanno una struttura verticale che ci è facile da comprendere. Ma il potere delle organizzazioni in Internet è ancora un mistero. Democracia real ya (la piattaforma che ha originato il movimento 15M) aveva una semplice pagina Fb, ma il giorno in cui si decise di scendere in piazza si presentarono 15.000 persone… E al giorno d’oggi non c’è modo che i sociologi, politologi, filosofi comprendano cosa è successo. Questo perché non si sono spogliati del loro abito mentale e continuano a ragionare secondo degli schemi ormai superati. Perché questi fenomeni sono altamente destrutturati, però hanno una propria dinamica interna che gli permette di coordinarsi, di puntare per esempio ad occupare nella vita presenziale delle zone di prestigio che gli consentono di avere visibilità e di dare visibilità alle proprie idee…

G. Scusa ma non è che, allora, possiamo dire che in questo caso Internet consente di amplificare un malessere, una frustrazione presenti all’interno della massa? Questi sentimenti sono sempre esistiti, ma prima era difficile esprimerli in maniera così evidente e rapida per una mancanza di mezzi che invece adesso permettono di ottenere proprio questo risultato, o no?

R. Sì, certamente, tutto quello che dici è vero, ma la Rete non amplifica soltanto il malcontento etc., lo organizza e, ripeto, questa organizzazione non è l’organizzazione tradizionale che conosciamo…  Purtroppo negli ambienti accademici non c’è sensibilità, non c’è interesse rispetto a questi temi… Adesso quello che si sta studiando è l’aspetto presenziale di questo movimento, quello che si vede in piazza, mentre il grosso che dovrebbe essere studiato è tutto quello che si muove e circola in rete. Ed è qui che ci sbagliamo, perché stiamo ignorando la parte più nuova del processo. E soprattutto perché altre cose simili di pari importanza stanno già avvenendo in Internet, succedono costantemente…

G.  In buona sostanza possiamo dire che è molto più facile parlare di quello che accade in piazza – e infatti le televisioni, le radio, i corrispondenti dei giornali si trovano lì – ma in realtà le cose più importanti e cariche di novità sono quelle che accadono in rete e sono pochi coloro che cercano di capire o almeno di sviluppare una certa sensibilità al riguardo…

LA  Non sappiamo in realtà come si usa la rete per ottenere certi risultati… E questo è l’aspetto che si dovrebbe studiare.. Non abbiamo idea di dove sta la capacità di organizzazione di tutto quello che poi accade anche nella piazza e poiché vediamo Internet come qualcosa di piatto e non abbiamo gli strumenti per “qualificare” un tweet o un mail diciamo: “Twitter” è stato importantissimo. E sbagliamo. Infatti non è stato importantissimo Twitter, ma l’uso che se ne è fatto. Ma chi sono questi che usano T? Non lo sappiamo. Potrebbero essere qualsiasi cosa… Sicuramente l’impulso che nasce in rete poi si ripercuote sul resto delle persone che partecipano…
Lo ribadisco: l’elemento più importante di Internet è l’organizzazione. La capacità di organizzare, senza dover investire quasi nulla a livello di energie tanto economiche come mentali. Oggigiorno si possono organizzare cose incredibili a costo zero.
Ed è questa capacità che si dovrebbe studiare a fondo… Parliamo senz’altro di un’organizzazione fondata sul testo, sulla parola… E quello che bisognerebbe studiare è come circola la parola, come circola il testo. In un partito politico, in un movimento rivoluzionario, in un’impresa, in un sindacato, non è necessario studiare. Fai una radiografia dell’organigramma di queste entità e saprai perfettamente come funziona questa organizzazione. Ma qui devi analizzare la parola e noi non siamo preparati ad analizzare la parola e ancor meno a capire come la parola possa avere questo peso in tutto il processo dell’organizzazione. Per questo Internet cambia completamente le regole del gioco. Internet ti dice: se tu parli bene, se sai con chi parli, organizzi. Ritorniamo dunque all’esempio dell’inizio, di quando parlavamo di Seattle. Tutto quel movimento è evoluto nel Foro Sociale Mondiale, che si è dato appuntamento in Kenya, New Delhi, Porto Alegre, eventi cui hanno partecipato 200.000 persone, inclusi intellettuali di tutto il mondo… Questo, prima di Internet, sarebbe stato impensabile… E questo lo hanno organizzato persone “qualsiasi” che non hanno un’identità precisa. Abbiamo saputo sempre chi c’era all’inizio di ogni movimento o partito politico. Bene questo è scomparso per sempre.

G. Ma non pensi che anche all’origine di altri movimenti nel passato ci siano stati elementi anonimi?

LA No, perché secondo me anche i movimenti più apparentemente spontanei del passato hanno avuto sempre degli ideologi chiari di riferimento. Qui non c’è nessuno. Nel ’99 a Seattle non c’era nessuno. Nelle elezioni che il PP perde nel 2004 non c’è nessuno. Perché mancano anche di ideologia strutturata, infatti c’è solo l’idea di andare “contro”, non c’è una proposta ideologica…

G. E dunque tornando alla piazza, quando sarà abbandonata, e in mancanza di referenti chiari e importanti, cosa resterà?

LA. Rimane il fatto che, entrando nella piazza virtuale, si potranno continuare a creare nuovi referenti, costantemente. Negli altri movimenti, invece, i referenti c’erano già dall’inizio, potevi semplicemente limitarti a seguirli entrando a far parte del movimento. Qui no: non sei solo parte del movimento sei parte del tutto, anche dei referenti…

G. Si tratta cioè di processi molto più democratici…

LA. Tu stesso puoi dare vita all’ideologia, puoi fare le tue riflessioni e la gente le appoggerà se considererà che sono valide e le rinvierà a 200.000 persone. Questo prima era impensabile…

G. Tutto questo mi sembra fantastico e mi sembra inoltre che questa circolazione di idee che si organizzano e si selezionano spontaneamente incentivi, in un certo senso, la presa di coscienza individuale e una embrionale assunzione di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, ma quando torniamo alla realtà presenziale e la gente si scontra con i gravi problemi non risolti della vita di tutti giorni, che succede?

LA. Be’, nel passato l’incomprensione di questo ha portato anche a derive totalitarie. In questo momento, e rispetto alle rivendicazioni di questo movimento in concreto, cosa possiamo dire? Conosciamo solo la loro protesta, non sappiamo (e non lo sanno neanche loro) se vogliono davvero distruggere il potere. Ma quello che sanno è che hanno 3 o 4 rivendicazioni che si scontrano frontalmente con l’attuale organizzazione del potere. Se non saranno capaci di metterla in gioco sul serio non otterranno mai nulla, ma se son capaci di farlo ci sarà un passo in avanti…

G. Dunque, in conclusione, secondo quello che dicevi, la mancanza di leadership è una novità assoluta, ma in un mondo strutturato in questo modo come si potranno canalizzare in maniera proficua le rivendicazioni di cui si parlava prima?

LA. Già sappiamo cosa significa andare contro il potere con organizzazioni strutturate in forma piramidale e sappiamo già a cosa può portare. L’altro, il nuovo che si dà è tutto da giocare. Quello che tu dicevi prima sulla responsabilità individuale… Nella logica della vecchia politica di questo si parla poco e, invece, è quello che la gente fa sempre di più. La gente pretende dall’altro una coerenza e responsabilità “sociale” che ha a che vedere con la propria. Per questo l’organizzazione piramidale non è più attuale.

G. Potremmo dire che questo movimento ci sta dicendo chiaramente che il potere, così come lo conosciamo in tutte le sue manifestazioni (politica, imprenditoriale, sindacale etc.) deve capire che la sua relazione con le persone non può più essere a senso unico (cioè dalla base della piramide verso la parte più alta che dirige), ma deve trasformarsi, cominciando a fare proprie le richieste che vengono dalla base? Che le relazioni devono diventare biunivoche, che bisogna tener conto di ciò che dice e chiede la gente, che si organizza ed esprime chiaramente, attraverso Internet, e può palesarsi, puntualmente, in azioni concrete? Potrebbe essere questa la sintesi? Una capacità di trasformazione delle strutture del potere a partire dal riconoscimento di cittadinanza dei desideri delle persone? Potrebbe essere questo un buon punto d’arrivo?

LA. Sì, sono d’accordo al 100 per cento, ma credo che coloro che stanno in cima alla piramide non sapranno fare questa operazione, malgrado in Internet questo sia già realtà. In Internet la gente si relaziona orizzontalmente, in base ai propri interessi. Lì le gerarchie sono già state annullate da tempo.