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Giovanna Martelli

diritti, Donne e Uomini, Femminismo, Politica, questione maschile Novembre 30, 2015

Giovanna Martelli, consigliera di Parità dimissionaria: “Troppa disattenzione ai temi delle donne”

Ho “litigato” spesso –rispettosamente- con Giovanna Martelli, consigliera di Parità del governo Renzi. Con rispetto anche maggiore guardo alle improvvise dimissioni dal suo incarico istituzionale nonché dal Pd (è entrata nel gruppo misto alla Camera). Da quel carro si scende malvolentieri –il flusso più cospicuo è in entrata- e dagli incarichi non si stacca mai nessuno.

Il casus belli: il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Martelli aveva chiesto di anticipare il suo voto per l’elezione di 3 giudici della Consulta, in modo da poter partecipare a un incontro sulla violenza a Milano. Dopo un iniziale ok, il permesso viene negato via sms.

E’ la goccia che fa traboccare il vaso di una generale disattenzione sui temi delegati a Martelli: “Nel partito” dice “a queste cose si guarda con troppo sussiego. Si pensa che il 25 novembre sia solo una celebrazione retorica. Le donne del Pd mi hanno cercato solo dopo le mie dimissioni. Non esistono più le condizioni per lavorare”.

Anche se i nodi da affrontare non mancherebbero: il surplace senza fine sui diritti; i molti problemi delle donne su cui, ammette Martelli, “stiamo assistendo a veri passi indietro”: lavoro, gap salariale e pensionistico, servizi, salute, legge 194. Al governo più femminile di sempre non stanno corrispondendo, paradossalmente, passi avanti per la cittadinanza femminile.

Nella legge di stabilità (articolo 1, comma 334, gli stanziamenti per le Pari Opportunità subiscono un taglio di 2,8 milioni di euro l’anno nel triennio 2016-2018. Quindi dai 28 milioni previsti inizialmente per il 2016 (e ridotti a 25) si passerà a circa 17.500.000 nel 2018.

Preso in contropiede dalle dimissioni, il governo tenta il recupero. L’ex-consigliera alza il tiro: “Intendo porre precise condizioni”. Per esempio la re-istituzione di un Ministero per le pari opportunità?Non credo che sarebbe lo strumento più efficace” dice Martelli.

Al segnale lanciato da queste dimissioni -e alla “trattativa” che ne consegue- non stiamo prestando sufficiente attenzione.

 

 

 

 

diritti, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Aprile 11, 2015

Forse ci sono questioni ben più importanti del quartieri a luci rosse: un’urgenza che appare sospetta

Cambiare la legge della senatrice Lina Merlin, che con il coraggio delle pioniere riuscì a far abolire le case chiuse: cui prodest? Istituire quartieri a luci rosse, formalizzare che la prostituzione è un mestiere come un altro, o forse anche meglio di altri, con tanto tasse e contributi e addirittura test attitudinali nelle Asl per capire se si è adatte alla professione: per quale ragione una simile stramobilitazione bipartisan di parlamentari, da Scelta Civica al Pd (prima firmataria della proposta di legge è la senatrice piddina Maria Spilabotte) in sostegno di una riforma assolutamente anacronistica e, come dimostrato dall’esperienza da altri paesi, vedi Germania, del tutto inefficace contro la tratta delle schiave sessuali (una lunga e articolata inchiesta potete leggerla qui)?

Sarebbe bello vedere i parlamentari mettere tutta questa straripante energia nella realizzazione di riforme ben più impellenti che cambierebbero la vita della stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini. Ne dico alcune? L’abolizione dell’odiosa pratica delle dimissioni in bianco; la piena applicazione della legge 194; l’apertura di un definitivo dibattito sulla legge 40 sulla fecondazione assistita, progressivamente martoriata dalle sentenze e ancora in attesa di linee guida; la discussione sul testamento biologico e sul fine vita, sollecitato da ripetuti e accorati appelli; una legge sulle coppie di fatto; la cittadinanza per i bambini nati in Italia da coppie straniere; lo smart work o lavoro agile. Devo continuare? Non per fare i benaltristi, ma se i parlamentari hanno tutta questa voglia di lavorare di cose da fare ce ne sono a bizzeffe.

E invece no. Ignorando deliberatamente quello che capita nel resto del mondo e che va in tutt’altra direzione – una recente risoluzione europea ha definito la prostituzione come “una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana”- e rinunciando del tutto al progetto di un discorso sulla sessualità maschile –data per immodificabile-, discorso finalizzato alla riduzione del ricorso allo sfruttamento sessuale, il multiforme drappello di parlamentari si dà un gran daffare con un manifesto-evento oltre la Merlin, con tanto di sex worker testimonial (la turca Efe Bal, sempre lei, forse non ne trovano altre, che coglie la ghiotta occasione per proporsi come ministra).

Se a ciò aggiungiamo che il governo Renzi non sembra affatto favorevole all’innovazione (una sortita a favore dello zoning della consigliera di parità Giovanna Martelliè stata gelidamente rigettata come “opinione personale”), la domanda viene spontanea: a chi giova? In nome di chi e che cosa una simile urgenza, visto che le libere professioniste non costituiscono più del 5 per cento delle prostitute, contro un 95 per cento di schiave? In un Paese, il nostro, in cui come abbiamo visto perfino la “carne migrante” diventa occasione di business (e che business! più redditizio perfino della droga), che cosa si deve pensare?

Si fa peccato a pensare male, e a chiedersi: che cosa c’è sotto?

 

Corpo-anima, Femminismo, Politica, questione maschile Febbraio 13, 2015

Gli intoccabili diritti del c…o: la Consigliera di Parità (!) del governo difende i quartieri a luci rosse

Giovanna Martelli, consigliera di parità del governo Renzi

 

  • Dunque Giovanna Martelli, consigliera per le Pari Opportunità del governo Renzi, decide di rompere il suo abituale silenzio per schierarsi con veemenza a favore della zona rossa per la prostituzione all’Eur. La consigliera per la Parità –non ci credo, non può essere vero- trova che sia giusto istituire un quartiere dove gli uomini possano andare in tutta tranquillità a farsi una s…a o altro a pagamento e anzi, rampogna i suoi compagni di partito, invitandoli a “riconnettersi con la realtà dei problemi. Devono fare uno sforzo, avvicinarsi alle persone”, poiché “viviamo in una società del mercato e del consumo, dove c’è una domanda sempre più forte di sesso da pagare in denaro”. Secondo la consigliera di Parità si tratterebbe di prenderne atto per rendere il tutto più agevole e decoroso. In altre parole, l’omo è omo, o anche, detto lacanianamente, il Fallo è il Grande significante, a quanto pare anche delle Pari Opportunità, e non è nemmeno immaginabile che la sessualità maschile rinunci alla possibilità di usare il corpo di una donna come se fosse una cosa morta. Insomma: la prostituzione viene incontro a un bisogno fisiologico ineliminabile, che somiglia pericolosamente a un diritto.

Strano, perché viceversa  in Svezia, in Norvegia, in Canada, in Islanda e altrove si pensa senza mezzi termini che la prostituzione rappresenti una forma di sfruttamento e che derivi sempre da uno squilibrio di poteri. E, nota interessante per una consigliera di parità, si ritiene che poter comprare donne per fare sesso alimenta una percezione della donna che pregiudica la parità dei diritti e danneggia tutte quante. Di più:  la legalizzazione non serve a nulla contro la tratta, anzi la favorisce.

Dal 1999 la Svezia punisce clienti, papponi e trafficanti, ma non le prostitute. Risultato: in Svezia la prostituzione è diminuita e non è più un grande affare per gli sfruttatori, e un numero crescente di giovani maschi  dimostra non solo di poter vivere senza andare a p…e, ma anzi considera quello dei puttanieri un comportamento indegno e riprovevole. L’Europa indica il modello svedese come l’eccellenza a cui fare riferimento: anche in Uk ci stanno pensando seriamente, e la Francia ha calendarizzato a fine marzo il dibattito parlamentare per introdurre la punibilità dei clienti.

Ma proprio mentre quegli strambi dei francesi discuteranno di questo, il nostro Senato sarà probabilmente impegnato a dibattere sul disegno di legge Spilabotte & altre, che sembrerebbe intenzionato a importare un prodotto, quello della regolarizzazione della prostituzione, già ampiamente scaduto altrove, perfino nell’Olanda dei sex club e delle ragazze in vetrina dove il numero delle “professioniste” regolarizzate è molto basso, il fenomeno della tratta è addirittura aumentato secondo il rapporto di polizia dal titolo di Schone Schijn (Salvare le apparenze), e almeno il 90 per cento delle prostitute risponde ai magnaccia. L’obiettivo di recidere i legami tra prostituzione e criminalità è fallito. Ogni anno vengono riciclati nei Paesi Bassi 18,5 miliardi, il 10 per cento dei quali derivano dal gioco d’azzardo e dallo sfruttamento della prostituzione.

Proponendo di togliere le ragazze dalla strada per metterle in luoghi chiusi e sottratti alla vista dei cittadini, il ddl Spilabotte sembra ignorare anche il fatto che lo sfruttamento sessuale avviene soprattutto al chiuso: è lì che le ragazze corrono maggiori rischi e sono più controllate. Nel ddl si parla di depenalizzazione dei locatori di immobili, si istituisce lo stato pappone, stabilendo precise tariffe per l’autorizzazione a battere -6.000 per l’attività full time, 3.000 per quella part time- con relative sanzioni per chi non si è registrata in Camera di Commercio. E si parla addirittura di certificati di idoneità psicologica alla prostituzione(!!!!!!) rilasciati dalle Asl (*).

Dice Carolyn Maloney, fondatrice del comitato anti-tratta al Congresso degli Stati Uniti: “C’era una volta la convinzione naif che legalizzare la prostituzione consentisse di migliorare la vita delle prostitute, di eliminare la prostituzione nelle zone dove rimaneva illegale e di scacciare il crimine organizzato. Come tutte le fiabe, anche questa convinzione si è rivelata essere pura fantasia”. Perché noi mostriamo, da Paese di retroguardia, di crederci ancora?

Difficile capire che cosa abbia indotto la parlamentare del Pd Maria Spilabotte (e le sue colleghe) a esercitarsi appena eletta su una questione così delicata. Ma se ancora vi fossero dei dubbi sul fatto che contro la tratta e lo sfruttamento della prostituzione la strada non è questa, mi permetterei di suggerire a lei, alla consigliera Martelli e a tutte la lettura di un’impressionante inchiesta di Der Spiegel intitolata “Bordello Germania”, dove si racconta il fallimento della decennale legalizzazione della prostituzione, della nascita di megabordelli “all you can eat”, dove puoi avere sesso a volontà con una tariffa forfettaria, un mercato fatto per l’80 per cento di schiave bulgare e rumene anche vendute dalle famiglie in tempo di crisi. Su 400 000 prostitute solo 44 sono ufficialmente registrate. Il Ministero della Famiglia tedesco sostiene che non vi è stato “ alcun apprezzabile miglioramento reale nella sicurezza sociale delle prostitute”. Per un terzo dei pubblici ministeri tedeschi la legalizzazione della prostituzione ha reso anzi più complesso il loro lavoro contro la tratta e lo sfruttamento.

Perché dovremmo oggi intraprendere una strada già verificata come fallimentare, baloccandoci con l’idea –o l’ideologia- delle prostitute autonome e per libera scelta (“professioniste” che l’associazione Papa Giovanni XXIII, impegnata su questo fronte, valuta in un esiguo 5 per cento)? La consigliera Martelli dice che “se c’è da cambiare la legge Merlin, va bene, facciamolo”. Ma prima di cambiarla e di fare stupidaggini contro le donne, proviamo quanto meno a dare un occhio alla risoluzione europea proposta dall’inglese Mary Honeyball e approvata a maggioranza, secondo la quale sfruttamento sessuale e prostituzione hanno pesanti conseguenze sulla parità tra i sessi, e che indica come prioritaria la lotta alla tratta e allo sfruttamento, utilizzando come strumento la punibilità di chi acquista servizi sessuali e non di chi li vende. Ecco alcuni passaggi della risoluzione, interessanti anche per i clienti irriducibili: chissà che non si smuova qualcosa nelle loro coscienze ottusamente testosteroniche.

 La prostituzione è una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana.

La maggioranza delle persone che praticano la prostituzione sono persone vulnerabili all’interno della nostra società.

Vi è un impatto della crisi economica sul crescente numero di donne e ragazze minorenni, comprese le donne migranti, obbligate a prostituirsi.

L’80-95 per cento delle persone che praticano la prostituzione ha subito forme di violenza prima di iniziare a prostituirsi (stupro, incesto, pedofilia), il 62 per cento riferisce di avere subito uno stupro e il 68 per cento soffre di un disturbo post-traumatico da stress, (una percentuale analoga a quella delle vittime di tortura).

La prostituzione e la prostituzione forzata sono fenomeni di genere che coinvolgono circa 40-42 milioni di persone al mondo, la grande maggioranza delle persone che si prostituiscono è costituita da donne e ragazze minorenni, quasi tutti i clienti sono uomini e la prostituzione è pertanto al contempo causa e conseguenza di una disparità di genere che aggrava ulteriormente.

Lo sfruttamento della prostituzione è strettamente legato alla criminalità organizzata.

Qualsiasi politica in materia di prostituzione influisce sul conseguimento della parità di genere, sulla comprensione delle questioni di genere e trasmette messaggi e norme alla società, compresi i giovani.

La prostituzione e la prostituzione forzata incidono sulla violenza contro le donne in generale, dal momento che le ricerche sugli acquirenti di servizi sessuali dimostrano che gli uomini che acquistano sesso hanno un’immagine degradante delle donne; si suggerisce quindi alle autorità nazionali competenti di affiancare al divieto di acquistare servizi sessuali una campagna di sensibilizzazione tra gli uomini.

La normalizzazione della prostituzione ha un impatto sulla violenza contro le donne: dati dimostrano come gli uomini che acquistano servizi sessuali siano più inclini a commettere atti sessualmente coercitivi e altri atti di violenza contro le donne e spesso mostrino tendenze misogine.

I mercati della prostituzione alimentano la tratta di donne e minori e aggravano la violenza nei loro confronti soprattutto in paesi in cui l’industria del sesso è stata legalizzata.

I dati dimostrano che la criminalità organizzata svolge un ruolo di rilievo laddove la prostituzione è legale.

Depenalizzare l’industria del sesso in generale e rendere legale lo sfruttamento della prostituzione non è una soluzione per proteggere donne e ragazze minorenni vulnerabili dalla violenza e dallo sfruttamento, ma sortisce l’effetto contrario.

Il modo più efficace per combattere la tratta di donne e ragazze minorenni a fini di sfruttamento sessuale e per rafforzare la parità di genere segue il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico), e attualmente in corso di esame in diversi paesi europei, dove il reato è costituito dall’acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi si prostituisce.

La riduzione della domanda dovrebbe essere parte di una strategia integrata per la lotta contro la tratta di esseri umani negli Stati membri; la riduzione della domanda può essere raggiunta mediante disposizioni legislative che facciano ricadere l’onere criminale su chi acquista servizi sessuali piuttosto che su chi li vende, nonché mediante l’imposizione di ammende per rendere la prostituzione finanziariamente meno remunerativa per le organizzazioni criminali/la criminalità organizzata.

 

* dal ddl Spilabotte:

“1. Per l’esercizio volontario della prostituzione
è necessario:
a) comunicare presso una qualunque
sede delle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura (CCIAA) presenti
sul territorio nazionale l’intenzione di esercitare
la professione;
b) corredare la comunicazione di un
certificato di idoneità psicologica ottenuto
presso una qualunque azienda sanitaria locale
(ASL) sul territorio nazionale, che attesti
la effettiva volontà personale ad esercitare
la professione, in assenza di condizioni
psicologiche che evidenzino stati di vulnerabilità,
costrizione, debolezza e che sia anche
strumento di informazione circa le misure
volte a favorire l’inserimento sociale di coloro
che vogliono uscire ed affrancarsi dalla
prostituzione;
c) il pagamento anticipato, su conto
corrente intestato alla CCIAA alla quale si
è scelto di effettuare la comunicazione, di
una somma stabilita in euro 6.000 per l’esercizio
full-time e in euro 3.000 per l’esercizio
part-time, specificando tre dei giorni della
settimana durante i quali si decide di esercitare.
2. È facoltativo allegare alla comunicazione
di cui al comma 1 un certificato di
sana e robusta costituzione che escluda la
positività a qualunque malattia che potrebbe
essere trasmessa per via sessuale”.

 

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Novembre 25, 2014

25 novembre, Sagra della Violenza. E Case delle Donne a rischio chiusura

Una nota azienda di cereali per la prima colazione “festeggia” il 25 novembre. In giro per l’Italia ci sono Festival della Violenza (sic!), sagre e perfino dinner party “Scarpette Rosse”. Insomma, mancano i cioccolatini e i bouquet “antiviolenti” da regalare all’amorosa e abbiamo businessizzato, marketinghizzato, mediatizzato, televisionizzato, spettacolarizzato pure la lotta contro violenza e femminicidio, che si arricchisce di giorno in giorno di pericolosissimi esperte/i improvvisati, di nuovi sportelli e centri last minute affidati alle clientele politiche e alle amiche degli amici, nati unicamente per intercettare fondi dedicati.

Intanto le persone serie che sulla faccenda lavorano in silenzio da decenni e molto spesso senza aiuti pubblici, penso per esempio alla Casa delle Donne Maltrattate di Milano e a molte altre realtà, rischiano di chiudere bottega per cedere il passo a questo mix tra istituzionalizzazione, burocratizzazione, business e showbitz. Qui diamo l’allarme da tempo, ma le cose vanno peggio di come si era temuto.

Il 27 novembre, dopodomani, la Conferenza Stato-Regioni presenterà le linee guida per i centri, elaborate dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (una ministra autonoma Matteo Renzi non l’ha voluta). Linee guida obbligatorie per accedere ai finanziamenti pubblici, che contravvengono ai metodi di intervento maturati in anni e anni di esperienza sul campo: la logica è “mettere in sicurezza le donne”, come disse qualcuna (Fabrizia Giuliani, parlamentare Pd) ai tempi del decreto omnibus contro il femminicidio. E’ trattarle come minori “malate” da tutelare e non come soggetti che, in relazione con altre donne, ricostruiscono passo dopo passo la propria vita libera e autonoma, ciascuna in modi e con tempi propri e non standardizzati.

Neutralizzando la differenza e “depurando” l’approccio da ogni sospetto di femminismo e di politica delle donne, le linee guida “sanitarizzano” l’intervento, prevedono la presenza obbligatoria di psicologi e assistenti sociali (anche uomini: errore capitale), un servizio H24, 5 giorni su 7 di apertura, centralino sempre attivo (e chi paga?), separano l’attività dei centri dalle case-rifugio: impostazione stigmatizzata dalle storiche Case, associate in D.i.RE, che parlano di “criteri che schiacciano la connotazione politico-culturale dei centri antiviolenza, volti a produrre cambiamento sociale, sulla logica del mero servizio” (il comunicato qui).

Il rischio è che le Case delle Donne, a meno di stravolgere i propri criteri di intervento, non possano accedere ai fondi governativi.

La speranza è che Giovanna Martelli, nuova consigliera alle PPOO del governo Renzi, possa porsi in ascolto per trarre importanti spunti da un’esperienza quasi trentennale, senza la quale oggi la lotta contro la violenza maschile non esisterebbe.