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esperienze, Politica Giugno 2, 2012

Quando cadono

Ormai sono grandicella, e di declini politici ne ho visti parecchi.

Ci vedo qualcosa di simile all’ultimo raggio del tramonto: un bagliore più intenso, come se il sole volesse resistere e non si rassegnasse a scomparire all’orizzonte, come se rifiutasse di assecondare l’immaginario tragitto quotidiano –dal punto di vista del nostro sguardo umano- che gli è stato assegnato, e con quell’eccesso di luce tentasse di guadagnare tempo.

Quando un uomo politico si avvicina alla caduta –tanto più se si è trattato di un vero e proprio tiranno-, la fine è spesso preceduta da una fase di eccessi: di splendore, di potere, di denaro, di sfarzo. La tipica hybris, la tracotanza del semidio che si sente superiore a ogni legge umana e morale, libero da ogni obbligo di compassione, che spreca cibo e risorse mentre i suoi simili patiscono la fame, che si concede ogni arbitrio calpestando i diritti di tutti.

Orge, elicotteri, rubinetterie d’oro massiccio, banchetti luculliani, vesti sontuose e sfrenatezze di tutti i tipi.

Noi “da fuori” li vediamo, è strano che loro non si vedano. Che non colgano, nell’allentamento definitivo di ogni vincolo, nella perdita finale di ogni senso del limite, i sintomi premonitori della malattia che li porterà a morte sicura. Forse questa auto-cecità fa parte della malattia, è uno dei segni. Quando, alla fine, si tornerà a vedere, sarà ormai troppo tardi, e tutto sarà compiuto.

Nelle facce dei tiranni caduti, penso per esempio al volto insanguinato di Gheddafi, nello sguardo del potente sul punto di perdere tutto, si coglie immancabilmente lo stesso doloroso stupore: come di chi improvvisamente stia vedendo quello che da lungo tempo aveva smesso di vedere. La rivelazione della propria insensatezza, il rebound dei propri limiti, che troppo a lungo negati ora si fanno strettissimi e stringono la gola come un cappio. Il down feroce di una droga, quella del potere, che resta la più pericolosa di tutte.

Non posso impedirmi di provare compassione, ogni volta che vedo cose come queste. Ogni volta la miseria e la fragilità umana si rivelano come il nucleo profondo della volontà di dominio.

Ma provo anche una grande rabbia: quanto dolore, quanta ingiustizia, quante sofferenze si sarebbero potute evitare, se il tiranno, se il “potente” avesse saputo fermarsi per tempo.

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Agosto 31, 2010

DOLCI RISVEGLI


Non bastasse quel grande cesso di Gheddafi che pianta tende in mezzo alla città, pretende sfilate di cavalli berberi e platee di ragazze da ammaestrare, ricatta l’Europa (o mi mollate 5 miliardi o sarete invasi dagli immigrati: come se i flussi migratori dipendessero da lui) e dice che Gesù era musulmano, la prima telefonata del mattino è quella del mio gestore telefonico: ho tardato ben 12 giorni nel pagamento della bolletta. Dico alla signorina del call center:

“Certo che se foste ugualmente solleciti quando uno ha un problema…”

“Se prende la ricevuta sistemiamo subito la cosa”.

“Le ho detto: scattate per un minimo ritardo, e poi d’estate, quando si sa che una è in giro e magari le scappa qualcosa. Ma se c’è un problema passano dei mesi”.

“Se prende la ricevuta sistemiamo subito la cosa”.

“Ma cos’è, un nastro registrato? Ha sentito quello che le ho detto?”.

“Io devo verificare il pagamento”.

“D’accordo. Allora la saluto”.

Non abbiamo verificato il pagamento. Vorrei una legge per l’abolizione dei call center. Vorrei dire a Gheddafi: ora prenditi tenda, cavalli e tutto, e tornatene in Libia. Vorrei che il nostro premier gli rappresentasse la nostra indisponibilità ai ricatti, business o non business, e avesse a cuore la dignità della cittadine di questo paese.

Dolci rivegli.

(scritto in verde, in onore del nostro illustre ospite).