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gerarchia

Donne e Uomini, economics, esperienze, Politica, TEMPI MODERNI Luglio 3, 2011

Grande Capo Inutile

Una delle chiavi della svolta civica di Milano è stata proprio la mancanza di un leader conclamato. Se ci fosse stato, forse le cose sarebbero andate diversamente. La “sottoesposizione” di Giuliano Pisapia, catalizzatore più che capo -molti a sinistra erano preoccupati per il suo understatement mediatico-, si è invece rivelata la scelta giusta in contrapposizione al leaderismo invadente e a tuttatv del centrodestra.

In quello spazio lasciato vuoto si è rafforzato il tessuto connettivo del nuovo civismo -reti, comitati, connessioni, fai-da-te politico- che poche settimane dopo si è esercitato anche nella vittoria referendaria. I più giovani, natural born networker, hanno portato in dote tutta la loro agilità in rete e la loro viva idiosincrasia per l’individuo isolato e obsoleto.

L’aveva detto Giuseppe De Rita nell’ultimo rapporto Censis: l’idea del leader salvifico è entrata in crisi soprattutto fra i giovani e le donne. I quali, non casualmente, sono stati i veri protagonisti della svolta.

Un recente saggio di Andrea Vitullo, ex manager oggi executive coach e “philoeconomista” (“Leadershit-Rottamare la mistica della leadership e farci spazio nel mondo”, Ponte alle Grazie) sintetizza in un neo-brand inequivoco il destino della vecchia idea del capo in questo nuovo mondo scaravoltato dal web e dai social network, in cui visione e condivisione soppiantano il dirigismo narcisistico.

Al posto del leader unico e maximo in cima alla vecchia piramide gerarchica, di quell’Uno –quasi sempre anziano e maschio- che trattiene e cumula per sé ostacolando il flusso di energie, risorse e informazioni, di quell’irrazionale imbuto in cui vanno a ingorgarsi intelligenze e progettualità, Vitullo indica il modello femminile della rete che pulsa, co-crea, redistribuisce e fa fluire, velocizzando i processi e moltiplicando le opportunità. Leader e gerarchie, insomma, non servono più a far funzionare le organizzazioni. Semmai sono il problema delle organizzazioni.

E il pan-economicismo è la ciliegina sulla torta. “Ho studiato economia e me ne pento”, è il titolo di un libro di Florence Noiville, giornalista di “Le Monde”, che spiega: “Possibile che una formazione di altissimo livello arrivi a impedirci di essere padroni del nostro destino?”.

Maestre delle nuove pratiche sono proprio le donne. E a cinque di loro Vitullo si affida per l’appendice “laboratori leadershit” del suo stimolante saggio.

 

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, esperienze, Politica Maggio 28, 2011

PONTI LEVATOI

milano, ponte levatoio del castello sforzesco

Se, supponiamo, a Milano dovesse vincere Pisapia, l’errore più grande sarebbe non tenere conto di come è nata questa vittoria: da un sommovimento, da una muta, dalla microfisica mobilitazione dei tanti -in verità prima pochi, più sensibili e visionari, e poi un crescendo sinfonico e all’ultimo anche classicamente opportunistico- che si sono prestati, a me viene più facile dire così, a lavorare per lo Spirito Santo, tanti invece preferiscono chiamarlo Zeitgeist.

Se il vincitore non continuasse a sporgersi all’ascolto, se si rialzassero i ponti levatoi, il lavoro dello Spirito Santo resterebbe a metà. Non si tratta certo di assemblee arancioni permanenti e di una demagogia delle masse mobilitate. Insomma non si tratta di sperare che chi sarà alla guida si degni di ascoltare: si tratta piuttosto che sia lui, con la sua squadra, a sentire il bisogno di non sconnettersi, che sia lui a chiedere, e a riconoscere che senza quella forza e quel linguaggio l’operazione sarebbe esangue e difettosa.

Insomma: ieri dicevo che se c’è stata una novità in questa esperienza milanese, è stata nel fatto di tenere l’odio al minimo; oggi aggiungo che se ce n’è un’altra è in questo rovesciamento, che non siano i cittadini a chiedere e a strappare più ampi spazi di contrattazione, ma che sia la squadra di governo a chiedere ai cittadini motivazioni, idee ed energia per cambiare la politica.

Quando dico che spero che i ponti levatoi non si alzino, non intendo banalmente la speranza che non siano solo i partiti a venire a sintesi e a serrare nuovamente le fila. Intendo molto di più, e peraltro non mi fido neanche troppo della facile contrapposizione tra partiti e società civile. Intendo che le relazioni corrano, che tutti -chi andrà dentro e la città fuori dentro i partiti e fuori di lì- si impegnino nello sforzo grandissimo di tenere aperto il passaggio che per inerzia tenderà a richiudersi; che ci togliamo definitivamente dalla testa l’immaginario feudale e verticale della piramide gerarchica, dalla testa nobile alle membra vili, per sostituirlo con quello orizzontale della rete, in cui ogni nodo pulsa per ciò che sa dare, capace di non trattenere egoicamente il flusso, ma di restituirlo e di rimetterlo rapidamente in circolazione arricchito del suo proprio plus.

Se devo pensare a un laboratorio politico lo penso così, radicalmente trasformativo delle forme della nostra convivenza, tenendo all’orizzonte la possibilità che perfino parole come potere e leadership si svuotino di significato.