Browsing Tag

burocrazia

economics, Politica, Senza categoria Agosto 1, 2013

Sentenza Berlusconi: l’attesa che non c’è

Se le tv  si eccitassero un po’ di più per quello che riguarda l’insieme dei loro palinsesti -in questa estate magra, con tanta gente in città, la televisione potrebbe offrire un servizio meno scadente di quello che offre- e un po’ di meno per la sentenza della Cassazione su Berlusconi, saprebbero anche rappresentare meglio l’umore del famoso Paese reale. Che della sentenza Berlusconi sostanzialmente se ne sbatte, all’insegna della diffusa e non del tutto infondata convinzione che “tanto non cambia nulla”.

In effetti potrebbe essere così: condannato o non condannato Berlusconi resterebbe il deus ex-machina che è, unico garante dell’esistenza di questo centrodestra che senza di lui evaporerebbe. Il vero problema politico ce l’ha il Pd, che al legno di questo “patibolo” potrebbe auto-crocifiggersi e perire. Ma cosa volete che importi di questo alla stragrande maggioranza del Paese, tutto preso ad arrabattarsi e a tentare di costruire qualcosa -eventualmente in nero- per non perdere il refolo della supposta “ripresina”, e non grazie alla politica, ma nonostante la politica?

Le troupe si eccitano davanti al Palazzaccio come di fronte al St Mary Hospital, in attesa del royal baby: un evento è pur sempre un evento. Stasera ci diranno in diretta. Ma quello che conta è che il governo del fare fa poco e fa male, e ben pochi si aspettano che faccia più di tanto.

Al prossimo giro politico, nel 2014 o nel 2015, sperando di disporre di una legge elettorale non antidemocratica, si dovrà fare in modo di mandare nelle istituzioni gente davvero valida e capace, e in spirito di servizio, altro che i miracolati delle Parlamentarie di Capodanno. L’esorcismo del merito resta il principale problema della nostra classe dirigente. Vale per la politica, ma non solo. Nella burocrazia (il decreto Letta sulle semplificazioni burocratiche consta di 93 commi articolati in sottocommi, punti e sottopunti) si annidano corruzione e familismo. La burocrazia è la vera nemica dei talenti, che nel nostro Paese, se Dio vuole, fioriscono spontanei come il sambuco. Nel piccolo, nel locale, il genio e le capacità hanno più chance.

Continuiamo a lottare e ad avere fiducia, radicati alla terra dei nostri contesti.

 

AMARE GLI ALTRI, esperienze Aprile 26, 2010

FAMILISMO MORALE?

MC_Escher-Mani_che_disegnano

Sulla Rossiyskaya Gazeta una ragazza russa che studia in Italia racconta le sue disavventure con la nostra burocrazia (che vergogna), e conclude intelligentemente che “in Italia il contatto emotivo con le persone ha probabilmente un’importanza nodale nella risoluzione dei problemi, in particolare quelli burocratici. L’Italia è una nazione del Sud, e l’interazione asettica, affaristica, non è molto ben vista. Gli italiani non ci provano gusto, perché non li anima e non li commuove”. E poi lo dice poeticamente, alla russa: “Qui, diversamente dai paesi del Nord Europa, devi prima di tutto “finire nell’anima”. “toccare” in qualche modo. Gli italiani devono prima “assaggiarti” per poi decidere come trattarti: “giustiziarti” o “graziarti”“. E non si capisce se la cosa le piace o la spaventa. Se la giudica una dote o una disgrazia.

Così me lo domando anch’io: questa tendenza familistica, alla relazione personale anche quando si tratta di faccende impersonali, è una cosa a doppio taglio? C’è modo di dare un valore positivo a questa nostra specialità, che abbiamo sempre liquidato come “mafiosità” naturale?

Politica Marzo 4, 2010

IL FASCINO DISCRETO DELLE REGOLE

Codici-e-Leggi

Dal sito Donneealtri, riproduco questo bell’articolo di Letizia Paolozzi.

D’improvviso, in questo nostro strano Paese, esplode la questione delle regole. Anzi, della conformità alle regole. Una conformità assente. Poco amata, poco praticata. Pur se durissimi con il Sessantotto, molti italiani e italiane sono cresciuti da sessantottini disordinati e bakuniani che le regole se le sentono come un cappio al collo. Sempre dalla parte del padrone. E noi “sior padrone, non vogliamo più obbedir“.
C’è da dire che le regole, perlomeno in questo Paese, spesso sembrano pazzesche. Antiquate, sbagliate. Tuttavia, chi meno conta e meno può, deve comunque rivolgersi alle regole perché gli serve essere difeso dallo Stato. Che poi le regole siano bislacche dipende dalla politica occuparsene. E cambiarle. Se non le cambia, significa che gli stanno bene così come sono congegnate. E allora, la politica, i partiti, i cittadini, le cittadine devono osservarle.
Invece no. Chi può, sempre che possa (perché spesso è troppo povero e indifeso per potere), alza le spalle. Le aggira. Solo i Radicali ci si sono messi d’impegno. Tignosamente. Fino all’eccesso. Giù con gli scioperi della fame e della sete. Ci hanno scritto sopra un libro parlando di “peste dell’illegalità italiana”.
Sembravano esagerati. Anche perché ogni regola contiene, sempre, nel suo seno, delle insensatezze. Chi l’ha detto che alle dodici spaccate si chiudono le porte e chi s’è visto s’è visto? Chi l’ha voluto il timbro mancante come una sorta di reato formale, la carta da bollo come una prova a carico? Ma senza queste norme, pur di difficile lettura e comprensione, non c’è trasparenza. Non c’è giustizia.

Nel Lazio il Pdl ha presentato le proprie liste oltre i termini stabiliti dalla legge. Forse il guasto è dipeso dalla voglia di cambiare all’ultimo momento i nomi delle liste in corridoio, in piedi, su una gamba sola. D’altronde, così fan tutti. Comunque, è esploso un gran pasticcio. E pasticci da altre parti. Perché i partiti piccoli non arrivano a raccogliere le firme nel tempo giusto; perché non ci sono i pubblici ufficiali che si prestino alla bisogna dell’autenticazione; perché i partiti grossi suppongono, nella loro arroganza, di potersi permettere molto (o tutto). E sono i più tartassati dalle pretese fameliche degli aspiranti a un posto politico purchessia.
Adesso, nel guazzabuglio romano-laziale si invoca “clemenza“ (traduci illegalità) da parte dei giudici. La candidata a presidente del centrodestra brontola che la legalità è burocrazia. Vero. Ma anche senza aver letto Carl Schmitt si capisce che burocrazia fa rima con democrazia. Per essere curato, per avere la pensione, lasciare la casa al proprio compagno di una vita, avere diritto alle ferie, ci vuole un mix di burocrazia e democrazia. In caso contrario Vogliamo tutto si traduce in Non avrete niente.

Ora il filo si è rotto, il fatalismo sembra retrocedere. Non saprei dire per quali motivazioni (troppi scandali, immobilismo, tracotanza, crisi, preoccupazioni economiche, perdita di valori, di autorità?), ma l’invocazione solitaria dei Radicali è stata ascoltata. Quasi che il disprezzo delle regole non sia più sopportabile. Nessuno vuole più chiudere un occhio, riaprire una porta. Altro che “cavilli“, queste sono procedure non rispettate. I giudici corrono a verificare la congruità delle liste; le Corti d’Appello di mezza Italia intensificano il proprio dovere (di controllo) e il controllo di legalità viene rivendicato a voce alta.
Adesso, tutti dicono che il difetto è nel manico. I topi si infilano nel formaggio. E le regole sballate sono un formaggio delizioso al quale è difficile per i topi, resistere. Emma Bonino di questa battaglia fondata sul rispetto delle regole è stata paladina. Non è l’unica cosa da chiedere a Bonino, evidentemente. Bisognerà che ci spieghi se la questione (e il gusto) di vivere insieme si appoggia – anche – sulle regole. La presenza nel suo listino di Bia Sarasini, una femminista che lavora con noi a questo sito (e nel nostro gruppo “del mercoledì”), potrebbe essere l’occasione per costruire qualche risposta.

esperienze, Politica Maggio 29, 2009

RESPONSABILITA' ILLIMITATA

Scrivevo per inciso, nell’ultimo topic, riguardo all’addetta del Tribunale che non ci poteva fare nulla: “il guaio è sempre questo, che tutti ritengono di non poter fare nulla, di essere irresponsabili rispetto al contesto in cui operano, e questo è altamente impolitico. Se ci sentissimo pienamente responsabili rispetto ai contesti in cui viviamo e operiamo, sarebbe una rivoluzione istantanea”.

Ora mi rendo conto che quell’inciso è ben più importante del resto. E’ una cosa che sperimentiamo tutti i giorni, e che la diffusione dei call center ha esasperato: parliamo quasi sempre con esseri umani a responsabilità limitata, con margini di manovra ridottissimi, che ti si presentano ermeticamente isolati dal contesto in cui agiscono, e possono giusto muoversi sulla sua sedia girevole. Dai call center il modello si è ampiamente diffuso nelle relazioni, anch’esse a responsabilità limitata, in cui non si può più confidare e nelle quali non ci si può spingere oltre un certo limite. Legami a scioglimento rapido i cui prevalgono gli opportunismi e l’utile reciproco, in cui non ci si fa mai carico dell’altro nella sua interezza, in cui oggi c’è tutto e domani niente, senza necessità di alcuna spiegazione, nel massimo cinismo.

Credo che il movimento dovrebbe essere inverso. Che dovrebbe essere la pienezza di una relazione responsabile a costituire il modello anche per i rapporti formali e anonimi tra noi e “il pubblico”. Non ho mai dimenticato, in una circostanza dolorosissima per me, il conforto che mi ha dato un anonimo impiegato comunale, capace di un’empatia che travalicava il suo ruolo. Mio padre era morto all’improvviso, e un paio di giorni dopo giravo stordita per gli uffici del comune, servizi funerari, alla ricerca di un loculo dove farlo riposare. Non c’era posto nel cimitero di famiglia, stavano costruendo un nuovo “reparto”, e mio padre aveva avuto l’improvvida idea di andarsene a lavori non ancora ultimati. Ero poco più di una ragazza, il dolore era devastante, di loculi e di faccende del genere non mi ero mai occupata, non sapevo dove sbattere la testa. E questo signore di mezza età, palesemente omosessuale, aveva sentito il mio disorientamento e la mia sofferenza, aveva allungato la mano oltre le scartoffie della scrivania per stringere la mia, aveva balbettato due parole per dirmi che lui era lì, vicino a me, come poteva, e che sperava ardentemente di potermi aiutare. Nessuno lo pagava per fare anche questo, e di gente nelle mie condizioni probabilmente ne vedeva ogni giorno, eppure quell’uomo si era messo in gioco interamente, senza nemmeno immaginare quanto mi stava dando.

La mediazione personale non è solo raccomandazione, mafia o familismo. C’è una parte luminosa di questa nostra scarsa vocazione all’impersonalità, e purtroppo sta andando perduta. Dire “io sono qui, come un essere umano tutto intero, non sopraffatto dal ruolo che ricopro”, è un fatto politico perché produce dei cambiamenti straordinari nei contesti concreti, e quindi nella polis. La legge, le norme e i regolamenti, e i diritti che rappresentano, sostituti spesso imperfetti delle relazioni, possono ben poco contro la forza dell’umanità dispiegata, in grado di spostare le montagne.

Ognuno di noi dovrebbe sempre fare tutto quel che può, e anzi un poco di più, in ogni luogo in cui si trova. E’ quel di più, che trasforma. Le donne hanno saputo spostare il mondo, in questo modo.

Su questo topic mi aspetto il massimo, da voi.