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ANGELI

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, Politica Settembre 29, 2012

Angeli: per un Nuovo Miracolo Italiano

Parlavo qualche giorno fa con un manager di successo. Gli dicevo che oggi non basta più cercare il successo solo per se stessi. Che almeno un pezzetto del proprio talento e della propria fortuna va reinvestito politicamente, per il bene comune, per gli altri.Vi ho raccontato  (“Io donna”, 4 agosto) la storia di Lucia Iraci, parrucchiera parigina di origine siciliana, titolare di un prestigioso e frequentatissimo salon a Saint Germain, che ne ha aperto un altro a prezzi politicissimi –tre euro per un taglio e una piega- nel 18° arrondissement, dove le donne non possono certo permettersi di spendere per l’acconciatura. Lei ha questo da offrire, la sua perizia con tinte e forbici. Ognun* di noi ha un dono, piccolo o grande, da mettere in comune. Non c’è essere umano che non disponga di qualche genere di talento. Si tratta di farlo fruttare, questo capitale, e non solo per sé.
C’è un Paese da rimettere in piedi, e noi abbiamo dimostrato di saper lavorare bene insieme quando è stato necessario. Di saper spingere tutti nella stessa direzione. Basterebbe questo a definire una visione: che ognuno porti in dono un po’ di ciò che ha. Che si senta parte di un disegno condiviso. Questa è politica. Questa è grande politica: fate il confronto con le miserie a cui ci tocca assistere sulla questione della legge elettorale, e a cui si dovrebbe dare, altro che politica, il nome di egoismo e tristitia. In questo, nel portare se stessi in dono, nella comunione, si realizza pienamente l’umanità di tutti. Si diventa come angeli, in definitiva. E poi voi sapete che non c’è niente che funzioni come darsi agli altri per curare quella solitudine penosa ed estrema che chiamiamo depressione.
Non c’è nessuno che abbia così poco da non poter dare: anche il più povero tra i poveri troverà nelle sue tasche quanto basta per dare una mano a un altro. Forse perfino per cambiargli la vita. Insegnare a chi vuole apprendere, passargli la propria esperienza, potrebbe essere grande parte di questo disegno di gratuità: chi sa scrivere insegni a scrivere, chi cucina a cucinare, chi amministra ad amministrare. Buona parte degli sforzi di tutti dovrebbero essere rivolti ai giovani, ai quali abbiamo rubato tanto –fiducia, soprattutto, e risorse ambientali- e con i quali siamo in grande debito.
E allora forza, perché c’è da lavorare. Ognuno di noi si faccia angelo per qualcun altro.
Donne e Uomini, esperienze Aprile 4, 2011

ANIMANGELI

Ancora sugli angeli: posso?

Ultimo album di Lorenzo Jovanotti Cherubini, un pezzo fantastico, “Spingo il tempo al massimo”, che riproduce la vertigine dell’essere partoriti, scaraventati nel mondo dalle spinte della madre: “Oh mammamia oh mammamia/ Madre partoriscimi/ rincomincio a vivere/ Madre partoriscimi/ e comincio a vivere… Torno alle mie origini/ Vibro di vertigini/ Torno alle mie origini/ animali e angeliche”. Bello che un uomo ripassi di lì, dove tutto è cominciato, dal corpo materno che ti custodisce e che al momento giusto è capace di separarsi e di espellerti. Bello che un uomo non voglia dimenticare il posto da cui viene, la madre, poco dopo averla perduta.

E le origini “animali e angeliche”, gli animali un po’ angeli, e gli angeli un po’ animali, e noi ibridi sofferenti, tra gli uni e gli altri. Che cosa sanno loro che noi non sappiamo? O che cosa non sanno che noi invece sappiamo?

Quello che gli animali non sanno è la morte, o quanto meno non la sanno nel modo lancinante in cui la sappiamo noi: è qui la radice della loro innocenza. E’ questo che di loro ci incanta, e ci induce una nostalgia profonda per come eravamo prima di sapere, o anche prima di staccarci dal corpo della madre.

Gli angeli invece la morte la sanno benissimo, ma non gli danno tutta questa importanza. Forse anche loro la sanno come un po’ come la sanno gli animali: è per questo che hanno ali da uccello? Hanno compassione per noi che la temiamo tanto, per questo ci custodiscono e ci guidano, ma continuano anche a dirci, se li si sa ascoltare, che la morte non è poi questa gran cosa. Che c’è ben altro. Che dobbiamo essere fiduciosi.

E noi lì in mezzo, costretti a sapere, trafitti dalla paura e dal dolore. Proprio per questo abbiamo bisogno di regole, di un contenimento che fermi la deriva, di un “no” che produca la carenza e dia avvio al desiderio. Quel desiderio che è l’unico scheletro che abbiamo, che impedisce che finiamo dritti nel gorgo irresistibile dell’autodistruzione.

Leggo nel bel libro del lacaniano Massimo RecalcatiCosa resta del padre?” (Raffaello Cortina): “La clinica psicoanalitica mostra che senza l’esperienza del limite, l’esperienza stessa del desiderio viene fatalmente aspirata verso un godimento di morte”.  Si può arrivare a questa consapevolezza anche ascoltando una canzone.

E’ per questo che con i fondamentali, con il corpo della madre, con il “no” del padre, non è proprio il caso di scherzare.