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amore

Archivio Maggio 29, 2008

INNAMORARSI/2

Non si può tirare il sasso e poi nascondere la mano. E qui bisogna che io almeno provi a chiudere degnamente un dibattito che ho scatenato, molto vivace e partecipato, e che prosegue ad libitum. “C’è qualcuno o qualcosa di cui si può essere quasi costantemente innamorati” avevo chiesto “e senza danni? E di chi o di cosa, secondo voi?” (vi immaginate un sondaggio tv su una faccenda così poco seria, l’amore, con commento di Piepoli o Mannheimer?). Due i filoni di risposta: chi vede nella passione per il lavoro, nella cura di sé, nella gioia serena delle piccole cose di ogni giorno una possibilità di surrogato non nocivo dell’amore, una specie di amore decaffeinato; e chi invece pensa che no, che non ci possa essere amore senza danno e senza rischio, senza quel senso di mancanza, di sbilanciamento, di essere tagliati a metà.
Lo dice Philip Roth rovesciando il mito del Simposio platonico, secondo il quale in origine eravamo un tutt’uno con altro e poi ne siamo stati separati, due semisfere che non smettono mai di cercarsi e nell’amore si ritrovano. Altro che rifare l’intero, obietta Roth, l’amore ti taglia a metà, e quella metà di te che non è più tua è nelle mani dell’altro, che ne fa quello che vuole. Il fatto è proprio qui, in come si vede questa cosa. Se la si intende come una condizione miserabile o sublime. Se in fondo al baratro di questo bisogno radicale, penoso e incolmabile dell’altro c’è l’Inferno, o piuttosto Dio. Se di inferno si tratta, è un inferno che tante donne, hanno sempre cercato. Forse agli uomini come Roth piace di meno. Quel sentirsi protese, fuori di sé, intere solo se divise. I confini del proprio io che si disfano, e questo disfarsi percepito come salvezza. L’equilibrio ritrovato  in questo stare sull’orlo dell’abisso, su una gamba sola,  tendendo la mano verso quello che tu ami.
Io direi che sì, che si può cercare di essere costantemente innamorati, e senza danni, e anzi con un guadagno. Che la meta è il cammino, come spesso capita, e non ce ne accorgiamo. Che l’amore, e cioè il bene, e forse anche Dio, sta proprio nella costante e instancabile ricerca dell’amore.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)

Archivio Maggio 29, 2008

INNAMORARSI/1

Secondo alcune ricerche psicoimmunobiologiche quando ci si innamora sul serio non ci si ammala per un paio d’anni. I conti tornano, se ci pensate: quei due anni sono giusto il tempo che serve per una bella luna di miele seguita da concepimento, gravidanza e svezzamento. Dopo di che il cucciolo può anche essere tirato su da altri. La mamma, e a quanto pare anche il papà, chiamato in questa fase a provvedere a entrambi -la “natura” prevede che la mamma stia con il piccolo ben oltre i tre mesi di maternità retribuita-, devono essere in buona forma per portare a termine il loro compito. A quanto pare alla “natura” importa poco del nostro stato di salute individuale. La sola cosa che conta sono i geni egoisti che più o meno degnamente veicoliamo. Nulla ci impedisce tuttavia di approfittare e godere insieme ai nostri geni di questa relativa immunità psicofisica: da innamorati ci sentiamo benissimo, la pelle splende, la forma è smagliante, i chili di troppo se ne vanno, la creatività è al massimo, il senso della vita ci appare univoco e lampante. Da non innamorati, viceversa, ed è la condizione che sperimentiamo per la gran parte della durata della vita, le nostre condizioni decadono. Quando diventiamo vecchi, poi, e da noi i geni non possono aspettarsi proprio più nulla, il decadimento è ulteriore e irreversibile. Ma essendo animali furbi e simbolici, ancorché geneticamente inutili tiriamo avanti, e con regolari check up riusciamo a rallentare lo show down.
Ecco: se io fossi un dottore, e dall’astrusità dei ragionamenti avrete capito che non lo sono, mi chiederei come si può fare a essere innamorati o pseudoinnamorati per la gran parte del tempo della nostra esistenza, con tutta la conseguente cascata di effetti benefici. L’innamoramento vero capita, a essere fortunati, giusto un paio di volte nella vita, massimo tre, ed è bene che non capiti di più, dato lo sconquasso che produce. Ma c’è modo di riprodurre “in vitro” questa condizione? C’è qualcuno o qualcosa di cui si può essere quasi costantemente innamorati, e senza danni? E di chi o di cosa, secondo voi?
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)

Archivio Maggio 29, 2008

UNA PERSONA BUONA

Se proprio qualcuno mi costringesse a comporre il mio epitaffio, mi piacerebbe:“Qui riposa una persona buona”. Non lo sono abbastanza da meritarlo, di sicuro. Ho un impatto ambientale piuttosto aspro, e ci vuole uno sguardo amoroso e attento per cogliere quel poco di bontà di cui dispongo. Il fatto è che, come raccontavo a un’amica, da ragazzina mi entusiasmavo per una mente folgorante, per un’intelligenza fulminea, per il triplo salto mortale di un motto di spirito, tutte qualità sotto il segno di Mercurio che, intendiamoci, apprezzo ancora molto. Oggi però quello che mi colpisce, il modello a cui tendere è diventato un altro. Crescendo mi pare di aver capito questo: che il senso della nostra vita, per quel poco che ci è dato di intendere, ha a che vedere con il nutrirsi l’uno con l’altro, con il darsi del bene e da mangiare l’un l’altro (perché sia proprio questo, il senso della vita, io non lo so). Che il carisma misterioso di Gesù –sono un’ammiratrice di Gesù, a prescindere dal fatto di essere cristiana o meno- sta nel fatto di essersi dato lui stesso in pasto agli altri. Più di così non si può. Le persone migliori che ho conosciuto non sono le menti folgoranti, ma quelle che si danno al numero maggiore di altri, il cui generoso raggio si estende oltre i confini angusti del proprio io e annessi, familiari e amici, che sanno vedere anche l’altro più altro e lontano, o addirittura il nemico (“Ama il tuo nemico” è uno dei più scandalosi precetti evangelici) e dargli qualcosa di sé, nutrirlo con qualcosa di sé. La Chiesa li chiama santi, io da laica direi che sono gli individui superiori della nostra specie, quelli in cui l’umanità si esprime al meglio, i veri Superuomini (e Superdonne). Raramente si trovano fra i più ricchi, ma è anche possibile. Talora hanno anche cultura e una mente vivace, ma non è detto. Spesso sono anche antipatici. Con un po’ di pratica dello sguardo, questi angeli si impara a vederli.
E se mai riuscissi a conquistarmi l’epitaffio –non succederà- e qualcuno leggendolo pensasse che lì giace una cogliona, sinonimo corrente di buona, beh, pazienza. Ce ne faremo una ragione.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)