Ho un ricordo vivido della notte del 20 luglio 1969. Stavamo in una casa sul lago di Como, che mio padre aveva preso in affitto per l’estate. Avevamo un cucciolo di spinone di pochi mesi, la deliziosa Diana, sbranatrice di carote dell’orto e golosissima. Una notte riuscì a farsi fuori un chilo di zucchero, e stette parecchio male. Mia madre cittadina era terrorizzata dagli scorpioni che sbucavano tra i sassi delle vecchie mura. Avevo una piccola camera tutta per me, che si affacciava sul giardino. Quell’estate mia madre si sentì poco bene, io ebbi una furiosa bronchite e mio padre un incidente piuttosto serio. Di mio fratello non ricordo. Il parroco del paese venne in visita a supplicarci di cambiare casa, o di partire: quella casa era maledetta, lo sapevano tutti, e lui era pentito di non averci avvisato per tempo. L’odore pescino del lago mi dava un vago e costante mal di testa. Non c’era davvero nulla con cui divertirsi, a parte Roberto, un ragazzino romano biondo e caratteriale che si presentava al cancello fin dal primo mattino.

Quella notte rimasi sveglia nella mia stanza, la tv portatile sul piano di marmo del comodino. I miei erano crollati, solo io seguivo l’evento. Essere sveglia da sola, e autorizzata, nel cuore della notte, era la cosa più eccitante. Le voci nasali dallo spazio, e quella rotonda di Tito Stagno: sembrava un attore. C’era un coro di grilli in giardino, e le stelle in cielo, imperturbabili. Non ricordo se la luna fosse visibile. Ogni tanto mi alzavo dal letto per scrutare la volta dalla finestra, in cerca di qualche segno visibile della grandiosa novità. Quando Armstrong poggiò il suo piedone per il primo moonwalk della storia umana, mugolai un “eeeh!” sottovoce e feci un piccolo balletto solitario, una specie danza tribale, battendo sul pavimento di cotto antico i piedi nudi che sbucavano dalla camicina da notte. Un po’ recitavo. Tutto sommato non ci vedevo nulla di così strano.

La vita, qui sulla terra, catalizzava gran parte della mia attenzione. Anche quello che stava capitando sulla luna, sì. Ma molto meno. C’era molta più magia, quaggiù.

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