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Leggo in un’autopresentazione di Annalisa Spinoso, giovane e ambiziosa collega di Mattino 5 autrice dello zelante “scoop” sul giudice Raimondo Mesiano -la triste storia dei calzini turchesi, per intenderci- che da ragazzina il suo sogno era fare la giornalista per Striscia la notizia o per Le iene. Leggo poi sul Corriere del Mezzogiorno che Luigi Tommasino, consigliere comunale Pd di Castellammare di Stabia assassinato da un commando nel febbraio scorso, un paio di anni fa aveva contattato Jimmy Ghione di Striscia per denunciare irregolarità nelle elezioni degli organismi cittadini del partito e dei delegati da inviare al congresso provinciale della Margherita.
Non intendo qui parlare di questa triste storia –non è escluso che l’omicidio possa essere collegato alla denuncia in tv– ma del fatto che sia diventato normale ogni volta che c’è un abuso, un’irregolarità, una truffa, o qualunque cosa da denunciare, chiedere l’intervento del Gabibbo o di uno dei suoi amici. Perfino per un onesto consigliere comunale che sente odore di camorra. Ti senti turlupinato o vittima di un’ingiustizia e la prima cosa che ti viene in mente è chiamare Striscia. Abbiamo fatto l’abitudine a questo pupazzone giustiziere che scopre canili-lager, insegue imbroglioni, sventa malefatte strillando in genovese, per quanto la scena sia alquanto surreale. Perché in effetti è surreale dover ricorrere –a volte sembra che non ci sia altra scelta- a un difensore civico conciato in quel modo.
Senza nulla togliere, e anzi, a Ezio Greggio e a Enzo Iacchetti e ai loro prodi inviati, qualcosa non torna. Ed è l’idea che la verità abbia bisogno di un contenitore un po’ particolare, di uno show in qualche modo extraterritoriale rispetto al giornalismo “normale”. Che dall’informazione tradizionale non ci sia più da aspettarsi granché, insomma, e che gli unici che raccontano come stanno le cose, che sono dalla parte dei piccoli e degli indifesi senza alcun altro interesse da difendere se non il bene pubblico, sono Staffelli, Ghione, Fabio e Mingo e gli altri supereroi.
E’ un altro indizio del paese che siamo. C’è materia di riflessione, mi pare. In particolare per noi addetti ai lavori.

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(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 31 ottobre 2009)

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