Penso e scrivo da molti anni sull’utero in affitto o Gpa. Da qualche tempo la questione è deflagrata e ci stanno ragionando in tante. Avevo sempre dato per scontato che una donna, a maggior ragione una femminista, non avesse dubbi nel riconoscere la Gpa come sfruttamento. Più precisamente, come mercificazione della relazione materna e annientamento di un ordine simbolico.

Mi ha perciò sorpreso che vi siano donne e femministe, soprattutto giovani, che militano per la libera Gpa. Altre invece, con cui c’è sempre stata condivisione, si ostinano nella ricerca di una terza via –né pro, né contro- che la natura della questione non consente. L’utero in affitto non è solo una pratica biomedica. L’utero in affitto è la soglia di un mondo distopico: puoi decidere di entrarci, oppure no.

Non sono riuscita a capire le ragioni di chi si trattiene sulla soglia: provo quindi a mettermi nei panni dell’altra, a esporle in via ipotetica e a confutarle.

Non dico no all’utero in affitto perché:

• non accetto le proibizioni

In verità qui oggetto di proibizione è la relazione materna: è alla madre che viene proibito -per contratto- di essere madre, cioè di avere ciò che è già suo con certezza e da sempre. Inoltre il proibizionismo e l’antiproibizionismo normalmente riguardano i comportamenti della singola persona: qui invece c’è un terzo che dovrebbe essere tenuto per primo e invece significativamente scompare sempre dalla discussione.

• non voglio che si legiferi sul corpo delle donne

Ma chi è contro l’utero in affitto chiede proprio che non si legiferi, o che si legiferi il meno possibile, mantenendo il mater semper certa che viene ben prima di ogni legislazione.

• sono per l’assoluta autodeterminazione

Autodeterminazione che però non include il poter determinare in radice il destino di un altro-a, il figlio-a, terminale sensibile di una serie di lutti non elaborati –l’infertilità dei committenti, la decisione materna di separarsi, l’eventuale “segreto”, e così via- che peseranno molto nella sua vita. Si potrebbe sostenere che ognuno che viene al mondo è terminale sensibile della propria genealogia. Ma nascere da amore, o anche dalla casualità di un incontro, soprattutto nascere dal sì di una donna (“Fiat”) -sì che è decisivo e inaggirabile-  è ben diverso dal nascere da un contratto e da un terribile no della madre. Inoltre nulla impedisce a una donna, anche in assenza di norme ad hoc, di autodeterminarsi: può donare i suoi ovociti (in Italia è consentito, a patto che sia un vero dono: e nessuna dona), può concepire e condurre una gestazione e non riconoscere la creatura, che verrà affidata al padre naturale (traditional surrogacy). Puoi perfino condurre una vera e propria Gpa -assolutamente gratuita- su autorizzazione dei Tribunali, come è già capitato. Non mi pare di vedere la coda delle aspiranti. In nome di chi si sta lottando? 

• sostengo il diritto ad avere figli delle persone infertili

Questo diritto non esiste, come molti altri diritti in vitro. Si può sostenere, entro limiti di ragionevolezza, il diritto a essere curati; esiste certamente il diritto a non essere impedite nel proprio desiderio di avere figli –e invece su questi impedimenti di carattere sociale, dal precariato alla disinformazione sulla salute riproduttiva, non si lavora affatto-; non esiste invece il diritto a essere sostenute/i nel proprio desiderio se l’infecondità deriva dal rifiuto di ogni relazione con l’altro sesso, sebbene sia necessario riconoscere l’asimmetria e la disparità tra donne e uomini in fatto di riproduzione. Molte donne e molte femministe sembrano soccombere all’estremismo dirittistico di una sinistra che sembra non avere altro da portare al mercato. L’anomalia nel nostro Paese è proprio questa sinistra che, a differenza di altre sinistre europee, su questo tema resta quanto meno nell’ambiguità. Molte tra noi sono di sinistra: per quanto mi riguarda, la questione Gpa può valere la rottura. Non voglio vivere in un mondo così.

• non posso stare dalla parte della Chiesa

Qualcuna si è spinta addirittura a definire chi è contraria alla Gpa come “cavallo di Troia del Vaticano”. Qui c’è un difetto di ambizione: semmai mi spingerei a dire che è la Chiesa a essere cavallo di Troia delle donne che stanno chiedendo un altro mondo e un altro ordine simbolico. Il discorso di Bergoglio sul neutro sembra assumere definitivamente il pensiero della differenza sessuale. Si tende inoltre a giudicare l’operato della Chiesa con occhiali occidentalistici e laicisti. Quando, per esempio, Francesco dice che l’aborto va perdonato, questo per tante di noi può non avere significato, ma significa moltissimo per milioni di donne nel mondo.

• voglio vivere in un Paese moderno

Molte sono convinte che la Gpa si consentita in tutto il mondo tranne che in pochi Paesi arretrati e bigotti. Tante non sanno del fermo no del Grande Nord e della stragrande maggioranza dei Paesi europei, e che la Gpa è ammessa appena una quindicina sulle 200 nazioni del mondo. Qui la propaganda del biomercato ha lavorato molto bene. Inoltre in una situazione economicamente e socialmente difficile, sostenere la Gpa può apparire come l’unica modernità a disposizione mentre tutto sembra arretrare, può dare la sensazione di essere ancora a bordo del treno del progresso. Non è un caso il libero pensiero contro la Gpa fiorisca più facilmente nelle situazioni socialmente ed economicamente più fortunate -come Milano- che che in realtà come quelle del CentroSud: per non dire della Puglia, dove l’”effetto Nichi” è stato devastante (idem tra le donne della sua area politica).

• non voglio offendere i gay

La questione è sia politica sia personale. Il movimento omosessuale ha mutuato molto dal femminismo, dai suoi paradigmi e dalle sue invenzioni. Michel Foucault l’ha riconosciuto. E si è giovato del sostegno attivo e partecipato del femminismo oltre che della compassione delle donne, da sempre. L’irruzione del tema Gpa, tenuto in primo piano nelle agende dei Pride, segna un cambio di fase. I militanti Lgbt – con l’eccezione di una parte importante del mondo lesbico- sono stati colti di sorpresa dal venire meno del maternage, e hanno reagito molto aggressivamente al fatto che una parte cospicua del femminismo intralci quello che ormai era inteso come un diritto acquisito. Da tempo siamo oggetto di attacchi violenti e di bullying. In realtà i dirigenti gay non rappresentano affatto il mondo gay nella sua interezza –una crisi di rappresentanza c’è anche lì- e tutte noi abbiamo esperienza di tanti gay che nel privato dicono di essere contrari alla Gpa, anche se non trovano il coraggio, salvo eccezioni, di sostenerlo pubblicamente. Quanto alle relazioni private: per molte il prezzo da pagare è stato salato. Serve la forza di accettare il conflitto.

• non credo alle logiche punitive

Qui ci dividiamo anche fra noi “contro”. Alcune sono più disposte a considerare il no assoluto (reato universale) e/o l’applicazione di sanzioni (solo economiche). Altre ritengono che battaglia debba rimanere culturale e politica. Io credo che la fatica del “no” vada sostenuta, anche se tra le donne la normatività non mai ha grande successo. E temo che senza sanzioni, che limiterebbero enormemente il numero degli “utenti”, la pratica si espanderà a dismisura, come in effetti sta accadendo.

• no all’abolizione, sì alla regolamentazione 

Chi chiede la regolamentazione ritiene spesso in ottima fede che così si possa arginare lo sfruttamento. In realtà si è visto che laddove si introduce una regolamentazione –vale per la Gpa ma anche, in modo macroscopico, per la prostituzione- si produce soprattutto “mercato nero” e sfruttamento: in Germania la regolamentazione della prostituzione ha solo ingrassato la tratta. Inoltre se si ritiene che la regolamentazione possa arginare lo sfruttamento, si sta implicitamente ammettendo che la Gpa è una pratica sfruttatoria che richiede argini e correttivi. Allo stesso modo, quando si parla di una Gpa etica si sta sostenendo di fatto che per sua natura la Gpa è non-etica, salvo dispositivi che contengano e riducano la sua non-eticità

• le surrogate non sono più sfruttate delle migranti sottopagate

Questo argomento grottesco, usato anche da Michela Murgia nella sua pessima trasmissione, è piuttosto popolare tra le giovani che vivono in prima persona precariato e sfruttamento: poiché esistono migranti sfruttate, poiché noi stesse veniamo sfruttate, perché mai opporsi all’ampliamento del parco-sfruttate includendovi anche le gestanti per altri? Non lotto, quindi, per ridurre lo sfruttamento, ma accetto iperrealisticamente di estenderlo e di estremizzarlo, poiché non è concepibile un’alternativa al mondo così com’è. Ed essendo un mondo di merda, non posso che riempirlo di ulteriore merda. La distopia è già in atto. Il massimo di libertà che mi consento, come direbbe Atwood, è ”libertà da”, non “libertà di”.

Vanno considerate infine quelle che si sono rese conto solo in extremis dell’importanza della questione, e hanno voluto dire la loro per “esserci” pur senza senza disporre del tempo necessario a informarsi adeguatamente, riflettere, studiare. Il modo più rapido per “esserci” spesso è esprimersi in opposizione a chi ha preso parola prima di te. Speriamo siano solo un’esigua minoranza.

 

 

 

 

 

 

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