Gabriele Basilico, Festival del proletariato giovanile, Parco Lambro 1976

Parlare degli anni Settanta è una cosa terribilmente difficile.

I Sessanta, gli Ottanta si lasciano raffigurare meglio. L’essenza si può spremere, lo Zeitgeist si lascia individuare. I Settanta continuano a essere oppressi e oscurati da un invincibile senso di morte, al di là del principio di piacere. La narrazione plumbea ha avuto la meglio, e noi che l’eros dei Settanta l’abbiamo conosciuto facciamo una certa fatica.

Quell’eros, in senso lato, non lo riconosciamo nella filmografia sul periodo, quasi tutta molto mediocre, ultimo Giordana compreso. Non c’è nella narrativa (forse qualcosa nell’ormai introvabile “Boccalone” di Enrico Palandri, in “La Banda Bellini” di Marco Philopat e poco altro). Qualche problema c’è, devo dire, anche con la mostra “Addio anni Settanta” che si è aperta stasera a Milano, Palazzo Reale (arte milanese nel decennio 1969-1980, fino al 2 settembre)

Il senso di questo dover dire “addio” non è così chiaro. La fila di visitatori stasera parlava invece del desiderio di disseppellire, di ritrovare quell’energia –non così dissimile dall’energia un po’disperata e stranita oggi in circolazione-. Di reincontrare le premonizioni, le prefigurazioni, a quei lampi di bene e male che, io credo, danno il senso vero di quel decennio caotico e pieno di contraddizioni.

Non parlo certo da critica d’arte, non lo sono. Sono solo una che c’era e che non è mai riuscita a vedere rappresentato almeno in parte quello che ha vissuto.

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Ciò che viene spesso dipinto come disordine era caos fecondo; tutta quella cupezza era il buio necessario alla gestazione e alla cova di ciò che sarebbe venuto; il sangue pulsava vigorosamente nelle vene, non era solo sparso per le strade, e spazzava impetuosamente finzioni e conformismi; c’era tanto che nasceva, non solo morte.

La mostra, mi pare, va senz’altro visitata in questa chiave di interrogazione, di introduzione, di prolegomeni a una futura completa narrazione di quel decennio che chiede con urgenza di essere costruita. Perché, io credo, raccontandoci fino in fondo ciò che è stato potremmo trovare molte chiavi per capire quello che capita oggi.

 

 

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