Ho fatto di tutto per resistere -per amicizia, per affetto- e forse ormai sono l’unica giornalista d’Europa a non aver scritto sul tema Tsipras-culo, a questo punto indivisibile, come l’atomo. Ma il titolo di El Mundo sulla vicenda (Una “velina” de Izquierda) mi produce uno sconforto definitivo.

Che ciò che proviene dal Paese delle Veline venga regolarmente interpretato in questa chiave (ho girato per dibattiti vari posti d’Europa, nell’ultimo ventennio, e non c’era modo di parlare d’altro: “Ma è vero che le ragazze italiane vogliono fare tutte le veline?”) , be’, non è così strano. Era un rischio da mettere nel conto. A noi sembra passato un secolo ma il resto del mondo, che ci si è tanto divertito, si attacca nostalgicamente a ogni indizio e vorrebbe che tutto continuasse come prima.

L’unico modo è tagliare di netto con questa roba, e senza pietà. L’unico modo è essere inequivoci e inequivoche. La politica è una cosa, e ha molto bisogno delle donne e del loro sguardo, e anche dei loro corpi, ma giocati per sé, non per il piacere maschile. La seduzione sessuale è un’altra. Entrambe padrone nei rispettivi territori. Le svedesi possono anche permettersi gli sconfinamenti, noi no. Le afghane o anche le Pussy Riot devono permetterseli: lì la resistenza si fa anche dai parrucchieri clandestini o esibendo una spalla. Noi no, non possiamo, come convalescenti a cui anche poco più di un brodino di pollo può fare male. E infatti si è visto: ci è andato di traverso.

Viva il sesso, il corpo, il piacere e pure la lussuria. W chi se la spassa allegramente, e che Dio lo benedica. E del resto il femminismo -altro che veterofemministe- nasce proprio di lì: dal corpo e dal piacere, magari ci si informi prima di blaterare.

Ma come abbiamo detto -come la più grande manifestazione del dopoguerra, il 13 febbraio, ha gridato, come quel moto quasi risorgimentale ha testimoniato-: basta scambi tra i due territori, basta con i favori sessuali in cambio di un posto al sole, e mi pare di dire cose talmente ovvie che mi annoio da sola. Non siamo ancora guariti, tanto che un povero bikini fa saltare per aria la campagna elettorale. Tanto che basta non essere del tutto cessa perché qualcuno sospetti o, peggio, si permetta quello che abbiamo visto che tanti si sono permessi nei confronti di deputate, ministre e via dicendo (il repertorio è tutto illustrato in questo blog, buon viaggio). Qualunque cosa faccia pensare a quello, meglio di no.

Per questo, appena intravisto l’ormai celebre bikini per Tsipras mi sono permessa di sconsigliare Paola Bacchiddu, che è una giovane giornalista intelligente e in questo momento coordina la comunicazione per quella lista: tipo Cassandra, avevo immaginato quello che sarebbe capitato. Be’, ero stata ottimista (mi sono anche beccata una rispostaccia fuori tema).

Quasi nessuno, in questo Paese afflitto da analfabetismo di ritorno, sa chi sia il signor Tsipras e che cosa voglia da noi. Ma il bikini per Tsipras è stato elogiato perfino da Libero e da Bruno Vespa, che forse troppo tsiprasiani non sono, e la piccola idea è diventata immortale.

Dico piccola idea e non “geniale” idea, come definita da tanti, perché troppo idea forse non è: senza menzionare quella cosa che tira più di un carro di buoi, mi limito alle campagne di Cetto Laqualunque. Il corpo femminile è bello, accende il desiderio, fa vendere (per la pubblicità, per la tv, per i giornali la dignità femminile costituisce una catastrofe economica, tant’è che il famoso bikini, come in un loop angosciante, è stato ripreso su tutte le homepage, corredato di gallery di tutti gli altri bikini della giornalista) e, come abbiamo visto per un paio di decenni, fa anche votare.

Qui l’intento era spiritoso, certo. Ma oggi non ci sono le condizioni per certe uscite di spirito. Non ci sono ancora. Forse un giorno ci saranno. Ma al momento mi pare proprio di no. La cosa ha certamente rotto il silenzio mediatico -scandaloso- su Tsipras: personalmente mi auguro che la lista passi la soglia di sbarramento, e in particolare penso a un paio di candidate che mi piacerebbe vedere in Europa. Ma ha rotto il silenzio per dire che cosa? Giusto per segnalare il silenzio mediatico. Che continua su tutto il resto, salvo che per il bikini.

Questo servirà a portare i voti che servono? Qualche voto di donne, lo so per certo, elettorato molto importante per quella lista, è andato perduto. Speriamo compensato da qualche altro voto: ma su questo non ho prove certe. E comunque -per carità, non si butta via niente- ma che voti sarebbero? A occhio l’operazione non mi sembra riuscitissima.

Infine mi è molto spiaciuto che per difendere l’iniziativa si siano tirate in ballo le “veterofemministe che hanno fatto carriera passando dal letto dei potenti”, accusate di moralismo suoristico. Intanto perché il soggetto (la veterofemminista) andrebbe definito con maggiore precisione: chi sono? le femministe in menopausa? o le più vecchie? quelle che hanno reso possibile anche la nostra libertà? le madri di tutte noi? Quanto poi alla carriera, dovrebbe essere arcinoto che l’essere femminista non l’agevola affatto -semmai funziona bene il non esserlo- e infatti di anziane femministe quasi indigenti ne conosco alcune. E di quali diavolo di “potenti” si parla? E di quale diavolo di moralismo si va cianciando, donne che  per la loro gioia sessuale ne hanno fatte più di Bertoldo -avete presente la sex revolution– quando oggi mi pare di vedere una marea di ragazze andare in bianco?

Si è perfino sciaguratamente tirato in ballo il docufilm “Il corpo delle donne” come pietra miliare dell’irriducibile moralismo -sul quale docufilm, per carità, è legittimo esprimere qualsivoglia giudizio-. Si sarebbe tuttavia dovuto tenere conto del fatto che l’autrice di quel docufilm, Lorella Zanardo, è candidata proprio nella lista Tsipras, e forse non è stata un’ideona non pensarci prima.

E condannarla, lei e le altre candidate femministe, perché ce ne sono altre, a sprecare anche quei due minuti di visibilità che saranno loro concessi per parlare di un bikini, e non dei loro temi. Che forse, per le vite di tutte e tutti, pesano un po’ di più.

 

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