manifestanti contro la risoluzione Estrela al Parlamento europeo

Una delle cose più dolorose di questo backlash sui diritti è che io, profondamente credente -e mi scoccia anche doverlo dire- oltre a beccarmi della nazifemminista (quello è il meno, in fondo è solo Sallusti) mi ritrovo nuovamente costretta a battagliare per la 194, schiacciata in difensiva. A difendere quel poco che resta del diritto non “di abortire”, ma di non morire “di appendicite”, come si diceva fino a non molto tempo fa, quando le donne crepavano di decotti velenosi, perforazioni e infezioni. Se andiamo avanti così fra un po’ ci risiamo, con lo spaccio di farmaci antiulcera al posto del prezzemolo.

Quando ci si deve difendere si è costretti a rinunciare alle sfumature, alle ombre, alla complessità, all’umanità, alla pietà. Devi metterti il giubbotto antiproiettile e via andare. Ma quando leggi email di ragazze che fanno la fila di notte per riuscire a conquistare (sai la conquista) un letto d’ospedale o di altre che vengono ammucchiate come bestiame nei sotterranei in attesa di un Karman, devi prendere e andare, riservando il lusso delle analisi al dopo. E questo è un male assoluto.

Vorrei poter essere contro l’aborto, scegliere la strada della compassione profonda, poter offrire un’alternativa a ogni donna che -spesso per l’irresponsabilità maschile, per essere stata abbandonata, per non avere un lavoro, per non poter disporre di alcun aiuto- si ritrova a fare quell’esperienza brutale che ti ghiaccia dentro. Ma quando ti puntano un fucile alla nuca puoi solo combattere, e in guerra non si va mai troppo per il sottile.

Vorrei poter essere festosamente pro-life perché lo sono, perché amo la vita in tutte le sue manifestazioni.

Mi ha profondamente commosso apprendere da Papa Francesco che Dio è così grande da accogliere anche le donne che hanno abortito, ben diverso da quel Dio che giudica senza appello, si pone alla testa crociate, ne fa una questione di diritti -quelli dell’embrione- contro diritti -quelli della donna-, quando si tratta invece di un tutt’uno indistinguibile e bisognoso.

La lotta serve anche per questo: perché a me e tante come me sia restituita la possibilità di non essere schiacciate nella definizione surreale di “abortista”, perché di donne “abortiste” non ne esistono in natura, il conto lo paghiamo tutto noi ed è sempre salato. Perché ci sia ridata la possibilità di rimettere le cose sulle loro gambe e di parlare di maternità, non di aborto. Soprattutto, perché ci sia restituita la possibilità di non abortire più, e come si fa l’ho detto chiaramente qui, e ogni pro-life degno di questo nome dovrebbe adottare questa agenda, altro che bocciare la risoluzione Estrela.

Chiedo anche agli uomini più pudore, più cautela, e soprattutto meno opportunismo quando parlano di aborto, perché nella migliore delle ipotesi non ci capiscono nulla, e nella peggiore ne fanno merce di scambio ideologico, come di tutto ciò che ha a che fare con il corpo femminile.

Detto questo, mi infilo la mimetica e vado. Se si deve fare, si fa.

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