Credo di aver deciso definitivamente per il femminismo sui 14 anni, nel corso di un raduno politico-musicale giovanile, tutti seduti sul prato. Intercetto una conversazione tra due giovani maschi.
“E quindi cosa vogliono ‘ste femministe?”.
“Pensa ai negri”.
“I negri???”.
“Lottano per i loro diritti, no? Ecco: le donne sono come i negri. Uguale”.
Qui intervengo io: “No, scusate! Non è uguale. E’ un’altra cosa”.
Si voltano a guardarmi, sbigottiti. Il magister ridacchia beffardo.
“Lasciala perdere” dice all’amico. “Non capisce un cazzo”.
Nella vita mi è successo di tutto, come a tutte. Avrei un #metoo come una guida telefonica. Molestie, soprusi, ricatti sessuali, palpeggiamenti, intimidazioni, svalorizzazione, insulti, ingiustizie e pure botte. Tutto quanto il repertorio, stupro escluso.
Ma in cima alle violenze metterei quell’episodio, quel maschio che pretendeva di sapere meglio di me cos’ero io.
Fino ai 12 anni ero stata una bossy. Avevo un sacco di amici maschi che riconoscevano la mia autorità. Poi mi spuntarono le tette, e pure tante. Da quel momento in poi è cambiato tutto. Da quel momento è cominciata la salita.
Mi rende giustizia, tantissimi anni dopo, un titolo di Rebecca Solnit, “Gli uomini mi spiegano le cose” (Ponte alle Grazie): purtroppo, a dispetto del titolo, nel libro il tema è appena sfiorato.
Gli uomini ti spiegano tutto del mondo, ma ti spiegano anche che cos’è una donna. Direi soprattutto che cos’è una donna. Quello che per lungo tempo ti veniva imposto con la forza, oggi è oggetto di mellifluo ammaestramento. Freud ebbe il pudore di fermarsi di fronte all’enigma, ma tutti gli altri no. C’è un termine per questo: mansplaning. Io li chiamo spiegoni, e ormai è un’epidemia.
All’inizio del femminismo le donne cominciarono a vedersi e fare tra loro, e gli uomini dovettero accettare di farsi da parte. Sottratta al divide et impera maschile, la forza delle donne si manifestò come quello che era, un immane terrorizzante. Quelli che decisero di sostenere questa forza si tennero a latere o in coda, senza mai permettersi di questionare nel merito. L’urto fu violento, nella politica e nelle vite.
I primi indizi di spiegonismo si sono manifestati alcuni anni fa nei maschi cosiddetti autocoscienti. Intenerite e commosse, abbiamo celebrato l’epifania dell’uomo nuovo, ci siamo confrontate con la nuova specie in pensosi seminari e convegni. Oddio, qualche indizio c’era: ricordo una due giorni di lavori all’università di Parma. Misi in questione l’impostazione di un relatore che per poco non mi si magnò. Rabbioso e violento, tale e quale il quattordicenne dei “negri”. Poi, a quanto pare, quel medesimo signore si rese protagonista di ben altre violenze, coperto e omosessualmente difeso dal suo gruppo.
Dalla cauta posizione a latere, gli spiegonisti si sono portati sempre più in prossimità del centro: la postura maschile è immancabilmente sempre quella, piantati in mezzo a gambe larghe, e sopra. Si tratta spesso di maschi che nel fra-uomini (in buona sostanza, il mondo: le professioni, la politica) hanno fallito. In stile volpe ed uva, dicono di rifiutare le regole di quel mondo maschile, violento e competitivo e cercano una seconda occasione nel “fra donne”. Partendo da un dichiarato riconoscimento dell’autorità femminile arrivano progressivamente a praticare un’autorità sul femminile. Prima subdolamente e poi, in assenza di efficaci sbarramenti, in modo sempre più franco. Siamo figlie, sorelle, compagne, amiche, madri di uomini, dovremmo sapere come vanno a finire le cose con loro, mia nonna lo sapeva benissimo. Un’alternativa alla postura del dominio non è ancora stata individuata: e chi glielo fa fare, del resto? Quale sarebbe la loro convenienza? Perché mai dovrebbero rinunciare ai propri privilegi? Al momento si tratterebbe di un’operazione in perdita netta (sui tempi lunghi è ben altra faccenda, come dice Gilligan: ma devono lasciare fare a noi e non mettersi in mezzo).
Allora meglio il franco dominator, dico io, che quello subdolo, sempre viva il non-Nobel Philip Roth: quanto meno con il primo, pratica millenaria, sappiamo come regolarci. Tra l’altro è anche più sexy, nel caso tu sia etero.
Il più recente femminismo market-friendly ha opportunisticamente moltiplicato le schiere degli spiegonisti, che ormai si dichiarano senza mezzi termini “femministi” : hanno fatto carriera. Con il femminismo oggi gli uomini fanno buoni affari: intercettano fondi per la formazione antisessista -sì, ciao- nelle scuole e nelle università, scrivono opinioni sui giornali e best seller, vengono intervistati da radio e tv, fanno carriera politica, eventualmente diventano anche presidenti del Consiglio tra i festeggiamenti delle ancelle.
Se essere una donna conviene, allora il posto delle donne-alfa se lo prendono loro: del resto è da svariati millenni che ci provano, il femministo è solo l’ultima suggestiva variante.
Il femministo, etero o gay, partecipa alle manifestazioni, anzi preferibilmente si mette in testa al corteo. Spiegonisticamente apre e chiude dibattiti, tenendo stucchevoli e universalistiche lezioni sulla storia delle donne, citando Virginia Woolf e Hannah Arendt, fulminandoti come il mio quattordicenne se per caso hai qualcosa da obiettare. Ti bacchetta sui social network. Ti banna e ti espelle leninisticamente dalle pagine Fb femministe (vita vissuta). Detta bizzarre agende politiche che, per esempio, subordinano il femminismo agli issue della politica maschile: es. non si può dire che i migranti per la strada ti molestano, se no si fa il gioco delle destre, beccati le molestie e taci. E non di rado tengono ai primi posti la libertà di affittare vagina e utero -beata la stronza cis-privilegiata che ce li ha-: una variante del vecchio caro “stai seduta sulla tua fortuna”. E bullizzano e aggrediscono furiosamente le cosiddette femministe escludenti, quelle che in sostanza dicono loro “statevene a casa vostra”, rivendicando il diritto a pratiche politiche separate.
Insomma: è il patriarcato che per sopravvivere tenta anche questa.
Ma anche questa nuova figura fenomenologica del patriarcato dà segni di cedimento. Un episodio rivelatore, qualche settimana fa, quando le studentesse di un liceo di Padova sono scese in piazza in una manifestazione separata perché i maschi le “molestavano”.
Per le giovani generazioni il separatismo è tabù assoluto. Le loro nonne erano separate per forza, le loro madri separatiste per amore, ma per le ragazze separarsi è una cosa sconvolgente. Il totem della parità ai confini del fluid viene ribadito e rafforzato ogni giorno da una propaganda mainstream e correct senza precedenti, dai festeggiamenti per l’aumento delle transizioni alle sfilate della lingerie no-gender -il famoso neutrum oeconomicum, funzionale al mercato- e non può essere messo in discussione. Il gesto di queste ragazze è un oltraggio imprevisto che la dice ben più lunga di quanto forse loro stesse ritenevano di dire.
Ma anche tra le “madri” monta finalmente l’insofferenza contro l’invadenza sospetta di questi gestori del capitale femminile -per il proprio tornaconto-, mentre tu vieni inchiodata a spendere tutte le tue meravigliose energie cosmiche per difenderti dalla violenza, dal papponismo universale vagina-utero e da altre porcate.
Se c’è una cosa buona è che le invasioni barbarico-ordaliche maschili etero e gay del territorio femminista sono la controprova di quanto vale, questa nostra terra. E allora gestiamocelo in proprio, questo patrimonio. Riaccompagniamo cortesemente gli invasori ai confini, sbarriamo loro la strada, e non pensiamo nemmeno lontanamente di aiutarli a casa loro: d’ora in poi facciano a meno del nostro aiuto e del nostro maternage, da cui hanno tratto ricco nutrimento per poi ripresentarsi pasciuti e corroborati con le stesse pretese dei patriarchi delle origini.
In una parola: separatismo. Non più per difenderci, ma per mettere al mondo il mondo.
La denuncia planetaria dei violenti e dei ricattatori sessuali sta producendo un vero e proprio salto quantico. Impariamo a riconoscere come violenti anche questi padroncini opportunisti.

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