Lo stalker è un addicted. La persecuzione della vittima è la sua droga, è ciò che dà senso alle sue giornate. Non farà che pensare a quello: come, quando, dove mettere in atto violenze e molestie. In una buona percentuale di casi, lo stalking avrà un esito mortale.

Lisa Puzzoli, 22 anni, udinese, ultima vittima di femminicidio, aveva denunciato tre volte il suo ex compagno, che l’altro ieri l’ha accoltellata a morte. In 7 casi su 10, il femminicidio è stato preceduto da un periodo di stalking.

Difficilmente lo stalker smetterà da solo. Le denunce non bastano a farlo retrocedere. Spesso, anzi, funzionano come un eccitante, alzando il livello della sfida. E i tempi della giustizia sono troppo lenti per fare fronte a situazioni che richiedono procedure d’emergenza: c’è una vita -spesso più d’una- di mezzo.

Serve lo strumento della custodia cautelare. Accompagnato dall’obbligo di intraprendere un percorso terapeutico serrato. Possono passare molti mesi prima che uno stalker riesca a dare il nome di violenza ai propri atti persecutori, e a cominciare l’elaborazione.

La violenza sulle donne va combattuta con ogni mezzo, e la terapia è uno di questi. Servono fondi ad hoc, che finanzino anche punti di ascolto e di accompagnamento per quegli uomini che, incapaci di affrontare un abbandono o di gestire un conflitto emotivo, si sentano tentati dalla violenza.

In questo precisa domenica mattina, decine di migliaia di donne italiane sono impegnate a tenere a bada il mostro che le perseguita o camminano in punta di piedi nelle loro case per evitare che la bomba esploda. Tra loro ci sono le prossime vittime.

C’è una strage in atto, e non si può più aspettare.

 

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