No, io non mi arrendo. Non mollo, nemmeno a morire. Sono fatta così.

Il lavoro va finito. E il modo in cui si finisce questo lavoro –un lavoro di decenni, compresi i miei decenni- è uno solo: mandare tante, tantissime donne nei posti in cui vengono prese decisioni per le nostre città, per le nostre regioni, per il nostro Paese. Per la vita di tutti.

Occuparsi anche del resto, certo. Anche della violenza, anche dei femminicidi, anche dell’aborto: siamo tornate al Pleistocene dei diritti, a quanto pare. Ma non lasciamoci prendere dallo sconforto, sono solo brutali colpi di coda dell’Animale Morente.

Guai a dimenticare che questi diritti minimi, e anche qualcosina di più, sperabilmente, saranno consolidati e garantiti soltanto quando tante donne potranno decidere insieme agli uomini, che al momento continuano a decidere da soli per tutte e per tutti.

Siamo multitasking, congegnate per fare minimo dieci cose per volta, e tra le dieci cose ci sarà da fare anche questa: non mollare sulla rappresentanza, non mollare sulle primarie, sulle elezioni, sui rinnovi dei cda. Cominciare finalmente a fare dei nomi. Metterli in rete. E lavorarci con accanimento.

Ma il primo lavoro che c’è da fare è suscitare il desiderio di quelle che vorrebbero, che hanno le qualità necessarie, che si sentirebbero pronte ma da sole non osano autorizzarsi. Non aspettare che siano gli uomini ad autorizzare e a cooptare quelle che fanno comodo a loro. Incoraggiare chi è portata per questa o quella posizione.

Fare, insomma, precisamente il rovescio di ciò che troppo spesso le donne fanno con le altre donne: scoraggiarle, tagliare loro le gambe, interrompere il volo. Intravedere nell’altra quel desiderio che annaspa, non trovando parole per dirsi. E offrire a questo desiderio linguaggio ed energie.

Porsi in relazione e dire a lei: il tuo guadagno è anche il mio. Perciò desidera, combatti, arriva dove vuoi arrivare. Niente è più potente di quello che Alessandra Bocchetti chiama “il desiderio perfetto”. Ma il desiderio non può mai perfezionarsi se non risuona nel desiderio di un’altra.

Il resto –il come, il quando, i mezzi, gli strumenti- viene di conseguenza. La cosa principale resta questa: restituire campo e visuale a quello sguardo interrotto tra madre e figlia da cui si origina tutto. E che può tutto.

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •