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Non ho mai amato l’espressione “no news-good news”. Sarà perché non sono anglosassone, o per abito mentale, ma io sono sempre in attesa di notizie. E oltretutto me le aspetto buone. Da tempo si è andata formando una piccola retorica, lettori e giornalisti che si domandano: “Com’è che solo quelle cattive sono notizie? Perché il bene che capita non va mai in prima pagina?”. Per molte ragioni, credo, prima fra tutte che il male è piuttosto seducente -quasi quanto il sesso- e vende. Cosa a cui qualche numero fa ho dato il vecchio nome di diavolo.
Ma è anche vero che non ci sono sempre buone notizie da sbattere in prima. Tipo: “Imprenditore di Adro paga di tasca sua la mensa ai bambini della scuola”. O ancora: “Dimostrata scientificamente la natura empatica degli esseri umani” (vedi il nuovo libro di Jeremy Rifkin). O anche, più semplicemente: “Cane ritrova la strada di casa dopo 5 anni”. Non ce ne sarebbero in numero sufficiente, comunque, a cambiare la faccia di giornali e tg.
E allora come si fa? Forse così: prendendo le tante notizie “normalmente” cattive, che di sicuro non possono essere taciute, e torcendole verso il buono che hanno dentro (fiduciosi nel fatto che ce n’è sempre un po’, da qualche parte); scrutando attentamente nelle brutte storie che si stanno raccontando per trovare la crepa, il foro, il passaggio che lascia trapelare un po’ di luce. Un po’ come nella vecchia morale della favola, quasi sempre edificante: storie terribili di orchi e di matrigne, una sequela di prove sfiancanti il cui esito era qualche insegnamento decisivo.
Certo, ci sono finali di storia che edificanti non lo sono affatto: grande letteratura a parte, restando al pop, pensate a Woody Allen, a capolavori come “Match Point” o “Crimini e misfatti”. Lì si resta nelle tenebre, il male sembra avere la meglio, chi ha sbagliato non paga, la prospettiva è disperante. Eppure anche lì, catarticamente, quello che ti resta alla fine del film è un intenso desiderio di giustizia. Finito il film vai avanti a raccontarti la storia, nella certezza che l’ordine violentemente turbato prima o poi verrà ristabilito.
In questo desiderio, in questa vocazione alla quiete del bene deve correre qualcosa di essenzialmente umano.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera del 22 maggio 2010

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