giovani4

Un’università qualsiasi, in un giorno qualunque. 400 studenti si accalcano fuori da un’auletta da 100 posti per assistere a una lezione. 400 meno 100 fa 300: tre quarti degli aventi diritto restano fuori. Il che a vent’anni può anche essere fantastico: bar, parco, eccetera. Ma qualcuno che coscienziosamente si arrabbia c’è. E sapete che cosa fa? Niente.
Sapete che cosa avrei fatto io, a vent’anni, al posto loro? Bar, parco, eccetera (ci mancherebbe altro). Poi però sarei tornata e mi sarei piantata davanti all’ufficio del Magnifico Rettore. Avrei strillato che il servizio io lo pagavo, anche piuttosto salato, e mi doveva essere garantito. Avrei fatto casino anche perché a vent’anni fare casino è un fatto naturale come respirare. Avrei colto la splendida occasione per scaraventarmi contro gli adulti responsabili di ogni nefandezza di questo mondo. E invece loro niente. Non gli passa nemmeno per la testa. Come se avessero le pile scariche. Acquiescenti, rassegnati, muti. Tutti al bar, ed è finita lì.
Non vorrei attirarmi l’odio dei ragazzi. Io li amo. Li adoro. Sto dalla loro parte. Ma non riesco a farmi una ragione della loro atarassia. Gli si può fare di tutto. Trattenerli nella formazione permanente per anni e anni. Laurea, e poi master e contro-master: così finché si è studenti non si è disoccupati. Costringerli fino a trent’anni o più nella loro cameretta con i peluche. Fargli contratti di lavoro da una settimana, eventualmente rinnovabili, mentre per i più vecchi il lavoro è garantito. E loro, zitti.
Credo sia andata così: che sono venuti su in un’epoca di affluenza, senza che gli mancasse nulla, figli spesso unici, amatissimi, coccolatissimi. Non hanno conosciuto i morsi della fame -quella spirituale, quanto meno- la rabbia del bisogno, l’energia del desiderio che chiede di essere appagato, l’antagonismo con il mondo adulto: e perché mai? non siamo forse genitori adorabili, permissivi e giovanili?
In definitiva, non sono attrezzati alla lotta. Il caso però ha voluto che il mondo fuori si sia messo nel modo che sappiamo. Che di lottare non si può proprio fare a meno, anche per la mera sopravvivenza.
E allora, giovanotti? Cosa vogliamo fare?

pubblicato su Io donna-Corriere della sera il 26 giugno 2010

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •