Armine Harutyunyan, modella di Gucci, non è bella.

Armine può essere simpatica, intelligente, adorabile, brillante, intensa e anche “sexy” (la presentano come una delle modelle più sexy del mondo), ma di sicuro non è bella. Dire che Armine non è bella non è affatto bodyshaming, così come dire che solo le donne hanno la vagina non è affatto transfobico: è semplicemente usare il linguaggio per dire il più possibile la verità e non per inventarsi un altro mondo che magari fa fare profitti, ma non sta in piedi.

Bodyshaming casomai è usare un linguaggio aggressivo o peggio nei confronti di Armine per il fatto che non è bella. Sottilmente bodyshaming è anche dire che Armine è bella, perché suona come una presa per i fondelli evidente agli occhi di tutti, come un’ipocrisia “esteticamente corretta” che risulta offensiva. E’ offensiva perché -nonostante quello sulla bellezza sia un dibattito millenario che non è ancora approdato a conclusioni- l’esperienza della bellezza di un essere vivente o di una cosa inanimata è un fatto intuitivo, immediato, condiviso e non spiegabile. E’ la constatazione di un’armonia che rende piacevole la contemplazione, secondo canoni che mutano nel tempo. Nel caso di Armine questa esperienza non si verifica. Dire che nel suo viso si coglie quel genere di armonia che provoca piacere in chi la osserva è una bugia che comporta l’effetto paradosso di sottolineare ulteriormente la sua notevole disarmonia.

Molti uomini hanno detto cose tremende di Armine per il fatto che non è bella. Si sa che molti uomini dicono cose tremende delle donne in qualunque circostanza, quando non sono belle e anche quando sono belle: la misoginia si esercita sulle più varie e vaste praterie. Questo sì, è bodyshaming, e va condannato. La risposta in sua difesa però non può essere “Armine è bella”, perché Armine non lo è, e dire che è bella significa cascare in una trappola costruita ad arte.

Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, è un comunicatore molto intelligente. L’interesse per la moda e i suoi creatori è in picchiata, ma di Gucci si continua a parlare. Le trovate di Michele sono formidabili. Tra le ultime la modella con sindrome di Down. Ora, come sappiamo, di persone con sindrome di Down ce ne sono molte meno di un tempo. La diagnosi prenatale ha notevolmente ridotto le nascite di bambine e bambini affetti da trisomia 21. Se non si mettono al mondo bambine e bambini Down è perché si ritiene che essere Down non costituisce una condizione desiderabile. Scegliendo una modella Down, Alessandro Michele va in netta controtendenza e afferma che essere Down può essere bello. Anzi, bella. Non lo fa, intendiamoci, per contrarietà alle pratiche eugenetiche (può essere che sia contrario, non ne ho idea): il senso dell’operazione è tutt’altro.

L’operazione Armine non è diversa: Michele ci sta dicendo che una donna con il naso lungo, gli occhi cerchiati, la bocca sottile e il mento storto non soltanto non è brutta, ma è bella. Anzi: vuole che siamo noi a dirlo. In alcune immagini i difetti del viso di Armine appaiono opportunamente accentuati con il photoshop. Lui lo sa benissimo che Armine non è bella per niente, l’ha scelta proprio per quello. Gioca abilmente sul conformismo che ci impedisce di dire la verità.

Alessandro Michele intuisce lo spirito del tempo e lo restituisce in immagini: lo spirito del tempo è il queer, l’eccentrico, il transumano, tutto ciò che “liberamente” si discosta dal conformismo e dalla norma. Niente ostacola il business più della norma. Da qualche parte ho letto che Armine è una modella “approvata dalle femministe”, come se le femministe fossero nemiche della bellezza femminile. A dire il vero è l’esatto contrario: la cura di sé e del mondo, la ricerca dell’armonia e della bellezza sono femminismo a pieno titolo, e sono pratiche politiche. La bellezza “che non piace alle femministe” (per dirla malamente) semmai è quella che si conforma prontamente alle esigenze della sessualità maschile, che si mette al suo servizio accentuando in modo grottesco i caratteri sessuali secondari (seni ipertrofici, sederi svettanti, bocche da fellatio e così via).

Ma verosimilmente anche questa roba non va più, seni protesizzati e labbra al silicone sono un triste residuo del passato prossimo, ormai è diventata anche questa una “normalità” cheap che non ha più mercato se non in certi orribili reality show, e qui stiamo parlando di mercato (quasi sempre ci ritroviamo a parlare di mercato, qualunque argomento si affronti).

Alessandro Michele è uomo di business, e se sceglie Armine è perché gli funziona per il marketing e per il business, non per altro. Il queer fa business, l’ossequio al femminismo non c’entra un accidente. Ossequio al femminismo, per dirla sempre malamente, sarebbe scegliere come modella una donna di peso e statura nella media, ordinariamente charmante, insomma una normale. Ma la normalità non fa fare affari, non ti vende la vertigine dell’assoluta libertà e dei limiti da sbaragliare, a cominciare dal linguaggio. Quello del linguaggio è uno dei principali campi di battaglia. Riuscire a farti dire di un uomo che è una donna, di uno che non ha utero che può mestruare e di Armine che è bella (dagli e ridagli alla fine ce la fai, vedi finestra di Overton) costituisce un’unica e colossale partita.

Probabilmente, dopo decenni di tristissime anoressiche, uno dei prossimi casting si potrebbe fare tra le protagoniste di “Vite al limite”. Trovare una di quelle povere donne di 300 kg, farla sfilare con assistenti che la sorreggano in passerella. Con relativo obbligo di dire che “è magra”.

E invece non dobbiamo avere paura di dire la verità.

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