Gianni Cuperlo, Matteo Renzi, Gianni Pittella e Pippo Civati,
i quattro candidati alla segreteria del Pd
Se a qualcuno ancora servisse una prova del fatto che le donne, anche elettoralmente e politicamente, fanno la differenza, basterà ricordare il caso di Barack Obama: il voto femminile è stato decisivo per la sua rielezione. E potrebbe essere dirimente anche alle prossime primarie per la scelta del nuovo segretario del Partito Democratico.
Con alcune amiche che amano la politica abbiamo esaminato le mozioni in cui i 4 candidati esprimono le loro «linee politico-programmatiche» -ovvero le idee sul partito, sul Paese e la visione del futuro- mettendo a confronto i passaggi sui temi attinenti alla cittadinanza femminile.
Ecco brani “dedicati” nelle varie mozioni, che presentiamo ordine di sorteggio:
GIANNI CUPERLO
L’«uguaglianza e la libertà delle donne» sono la «condizione di contrasto a ogni differenza e discriminazione».
«Porteremo questi documenti nei circoli, li confronteremo con movimenti e comitati, con le associazioni della legalità e del civismo, coi mondi del lavoro, le forze economiche, sociali, professionali. E innanzitutto con i giovani e le donne».
«(…) la legge di Stabilità può essere migliorata non solo nella struttura ma anche nella dimensione. (…) Concentrarsi sul rilancio della domanda interna, aiutando i redditi più bassi (anche con un’azione mirata e selettiva della riduzione del cuneo fiscale sul lavoro per i giovani e le donne».
«Occorre un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile finanziato in modo consistente, concentrando le risorse che nei prossimi anni si recupereranno dalla riduzione della spesa degli interessi sul debito pubblico, dal contrasto all’evasione fiscale e dai maggiori margini d’azione contrattati a livello europeo».
«Il sostegno alle responsabilità familiari è un’urgenza nel nostro Paese, dove ancora oggi quasi tutto il peso è caricato sulle spalle delle donne. Cruciali sono le politiche di condivisione e di sostegno al lavoro di cura attraverso i servizi sociali, nidi, i congedi parentali».
«L’obiettivo è diminuire la tassazione sul lavoro e sulle imprese (…) per favorire l’occupazione partendo dalle situazioni più deboli nel mercato del lavoro: i giovani, le donne, gli over 50 e i disoccupati di lungo periodo».
«Abbiamo giovani, studenti, ricercatori, e tra questi moltissime donne, che non temono confronti, eccellenze nei campi della creatività, della network science, in tanti settori della produzione innovativa».
«Le tragedie dell’Europa del ‘900 insegnano che non dobbiamo dimenticare che la “banalità del male” cova sotto le ceneri. Ma c’è una premessa. Perché alla fine forse tutto di lì ha inizio: il rispetto dei diritti umani delle donne, l’inviolabilità del loro corpo come antidoto alla legge dei più forti. Anche il nostro presente è segnato da quell’antico conflitto che ora mostra forme e volti inediti, il conflitto per il potere, il dominio sull’autonomia, sulla libertà delle donne. Una vera e propria strage delle innocenti che trascina i destini dei minori e dei bambini. L’uguaglianza e la libertà delle donne come condizione di contrasto a ogni differenza e discriminazione. Anche per questo è indispensabile riprendere il filo dei diritti umani per scrivere la stagione della “rivoluzione globale della dignità”.
«Sì a una legge organica contro il femminicidio, sì a una legge saggia sulla fine vita, sì ai diritti e doveri per coppie di fatto omosessuali, sì al miglioramento della legge contro l’omofobia, sì alla piena applicazione della 194, sì a un nuovo testo per la fecondazione assistita, sì alla cittadinanza, si a estensione di tutele per le donne in maternità. Sì a una battaglia contro ogni discriminazione».
«Dirigere il PD, a ogni livello, deve tornare ad appassionare. (…) È la condizione per ritrovare quella condivisione di sentimenti, valori, destino con tante e tanti che dalla politica oggi si sentono delusi. (…) Anche perché molto di buono è fuori da noi. E dobbiamo cercarlo nei comitati di quartiere, nelle associazioni e nei movimenti di base, nel lavoro volontario di milioni di persone, riannodando così i fili della sinistra diffusa, del pensiero critico e delle donne, della radicalità cattolica».
L’impostazione di Cuperlo è molto tradizionale. I diritti delle donne vengono il più delle volte nominati, come quasi sempre nei programmi politici, in abbinamento a quelli dei giovani, degli anziani, dei disoccupati, degli omosessuali ecc. Intesi cioè, ancora una volta, come diritti di una “minoranza” da tutelare, benché le donne siano la maggioranza del Paese. Immancabile il riferimento agli asili nido: un classico delle promesse preelettorali disattese. Sentito e non retorico, tuttavia, il passaggio sulla violenza e sulla “strage delle innocenti”.
MATTEO RENZI
«Abbiamo respinto ai seggi persone, uomini e donne che, armati della propria passione, erano usciti di casa per esprimere un voto, una scelta per noi».
«Negli ultimi mesi si sono fatti essenziali passi avanti: il Parlamento ha approvato un fondamentale provvedimento di legge volto a contrastare le violenza contro le donne e si è avviato alla Camera il percorso che condurrà a una legge contro l’omofobia e la transfobia. Passi importanti, ma non sufficienti. Le norme penali non possono essere l’unico strumento per limitare questi fenomeni inaccettabili: ciò che dobbiamo costruire è l’educazione di tutti a un rapporto più gentile tra le persone».
«Per cambiare verso per la guida del PD, proponiamo Matteo Renzi, 38 anni, sindaco di Firenze dal 2009. Matteo è molto conosciuto per i suoi slogan, ma il suo slogan migliore è la concretezza delle cose realizzate da amministratore. (…) ha dimezzato il numero degli assessori della giunta, dove le donne sono in maggioranza rispetto agli uomini».
Questi gli scarni passaggi della mozione Renzi sulle donne. Il sindaco di Firenze non sembra propenso a considerare la differenza femminile, dà per scontata l’emancipazione e tiene a mostrare di averla praticata, non nomina le problematiche che rendono difficoltosa la vita delle donne in questo Paese: dal lavoro, al welfare alla non applicazione della legge 194.
GIANNI PITTELLA
«Qui ed ora dobbiamo rigenerare il partito democratico, dargli un senso per dare un senso all’Italia (…) coinvolgendo le donne e gli uomini del nostro Paese per costruire un futuro che valga la pena di essere desiderato».
«Insieme dobbiamo affermare e difendere i diritti e la libertà di essere, nel rispetto di tutti; cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei, mussulmani e laici, migranti e residenti, giovani e anziani, omosessuali ed eterosessuali, donne e uomini, studenti, imprenditori, liberi professionisti e dipendenti, volontari e lavoratori».
«L’uguaglianza di opportunità tra donne e uomini, la parità tra i generi, ha confermato, guardando ai paesi del Nord Europa, che l’integrazione tra le caratteristiche femminili e maschili consente di gestire in modo migliore i processi di governance e di sviluppo».
«Considerata la grave crisi che sta imperversando, forse, vale la pena infrangere alcuni muri (…) e avere la capacità di valorizzare identità e provenienza dei territori, integrare nel sistema produttivo donne e giovani, la produzione di beni e servizi sostenibili ambientalmente e socialmente (…)».
«Bisogna realizzare un’idea libera di società, capace di superare definitivamente la violenza e la sopraffazione verso le donne e verso le minoranze. In una società costituita da donne e uomini, l’azione politica non può prescindere dall’attribuzione di potere e responsabilità alle donne nel senso di promozione delle donne nei centri decisionali della società, della politica e dell’economia attraverso misure finalizzate ad eliminare e prevenire la discriminazione o a compensarne gli svantaggi, e che garantiscano il riequilibrio della rappresentanza di genere. Ma la sfida è nel progetto culturale perchè le politiche di genere per essere realmente efficaci necessitano, per loro stessa natura, di una cultura predisposta a recepirle. Lo spazio pubblico può e deve essere contendibile da ogni desiderio legittimo, da ogni aspirazione, da ogni volontà di determinarsi e di voler partecipare ad una vicenda collettiva che è il presente ed il futuro della nostra società».
«Sono tante le donne e tanti gli uomini capaci di fare la differenza nel nostro partito, vanno cercati e valorizzati».
La chiave è sostanzialmente la stessa utilizzata dell’altro Gianni (Cuperlo) ma qui slancio si fa più ardito: le donne sono messe nel mucchio di categorie le più eterogenee, “cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei, mussulmani e laici, migranti e residenti, giovani e anziani, omosessuali ed eterosessuali, donne e uomini, studenti, imprenditori, liberi professionisti e dipendenti, volontari e lavoratori». D’altro canto, rispetto alla mozione Cuperlo, si nomina con maggiore chiarezza la necessità di attribuire alle donne ruoli di comando e responsabilità.
GIUSEPPE CIVATI detto PIPPO
“Nelle pagine che seguiranno, la novità è a sinistra, nel pluralismo, nel riconoscimento dei diritti, nell’apertura alla cittadinanza, nella voglia di cambiare insieme perché solo insieme, con un grande progetto, possiamo farlo, nella cultura della possibilità e dell’alternativa di governo, nel superamento di quella «questione maschile» che ancora dobbiamo affrontare per cambiare punto di vista, modi e parole, nella creatività e nella curiosità, nella conoscenza e nell’apertura di senso che sole ci possono davvero salvare».
«Non abbiamo saputo arginare la crescita della disuguaglianza e dare uno sbocco politico alla crescita del sapere diffuso, nei luoghi del lavoro e della vita. (…) Eppure bastava volgere lo sguardo un po’ più in là per vedere che appena fuori dai nostri logori schemi, mentre il corpo sociale si spezzettava, nuove modalità di azione politica testardamente rinascevano (…) Nel nostro Paese questi eventi hanno assunto proporzioni tali da non poter essere ignorati: dalle opposizioni a nuove centrali nucleari e piattaforme di estrazione petrolifera nel mare Adriatico, alle rivolte degli immigrati impiegati come schiavi nei campi di pomodori pugliesi o calabresi, dalle manifestazioni per «una repubblica delle donne» ai referendum sull’acqua pubblica».
«Noi crediamo che questa sia l’ora del riscatto. Un partito serve se si fa specchio della sua migliore società, se generosamente mette insieme le storie delle donne e degli uomini migliori, senza chiedersi a quale delle mille maledette correnti appartenga».
«La questione maschile
La formula ottocentesca “questione femminile” va radicalmente rovesciata. Esiste nel nostro Paese una tenace “questione maschile” che produce iniquità, ingiustizie e violenze e che rallenta lo sviluppo del Paese, che ne dimezza le potenzialità impedendo allo sguardo femminile di applicarsi alla globalità dei problemi e di prendere parte alla formazione delle decisioni pubbliche. Alle cittadine di questo Paese è consentito unicamente esercitarsi politicamente e in modo autodifensivo su tematiche ritenute “femminili” – dalla fecondazione assistita, all’aborto, alla violenza e al femminicidio –, questioni che invece hanno direttamente a che vedere con la sessualità e i modelli maschili.
La legge 40 sulla fecondazione assistita è certamente ingiusta e va cambiata, consentendo indagini pre-impianto sugli embrioni di coppie portatrici di malattie genetiche in conformità a quanto sancito dalla Carta Europea dei diritti dell’uomo. Ma l’ingiustizia va in gran parte ricondotta a una concezione maschile della donna come mero contenitore di embrioni, nonché merce di scambio ideologico. Vanno inoltre adottate tutte le misure necessarie alla prevenzione dell’infertilità maschile e femminile, in gran parte riconducibili alla ricerca tardiva dei figli a causa di un’organizzazione maschile del lavoro che punisce le madri con dimissioni in bianco, licenziamenti, interruzioni di carriera. Una diversa organizzazione, che tenga conto del pensiero delle donne sul lavoro, e un’autentica considerazione del valore sociale della genitorialità è il miglior presidio contro l’aumento dei casi di infertilità.
La non applicazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza e lo smantellamento dei consultori corrispondono a logiche di carriera ospedaliera, con aumento vertiginoso dell’obiezione di coscienza e alla salvaguardia degli interessi della sanità privata. Per il Pd è tempo di far sentire la propria voce su questi temi per migliorare la diffusione di informazioni sulle misure di contraccezione, anche attraverso corsi di educazione e informazione sessuale nelle scuole, finalizzate a una condivisione della responsabilità procreativa da parte degli uomini; di potenziare e modernizzare la proposta dei “vecchi” consultori familiari; di garantire l’applicazione su tutto il territorio nazionale della legge 194/1978, anche stabilendo una percentuale di personale non obiettore nelle unità ginecologiche degli ospedali pubblici.
Quanto alla violenza sulle donne e all’aumento dei casi di femminicidio, ciò costituisce la prova più evidente dell’esistenza di una “questione maschile” e della persistenza di una mentalità patriarcale che nella maggiore libertà delle donne non vede un’opportunità per tutti, ma solo un’insostenibile minaccia. La violenza non può essere affrontata solo con provvedimenti di ordine pubblico e di sicurezza. Il Pd deve porsi in ascolto della decennale esperienza dei centri e delle associazioni antiviolenza, destinando adeguate risorse a queste realtà, promuovendo interventi di sensibilizzazione nelle scuole e nelle Università, cambiando e certificando i libri di testo che continuano a tramandare modelli rigidi e fuori tempo, sulla base dei quali alunni e alunne formeranno le loro rispettive identità di genere e le loro relazioni; promuovendo una formazione delle forze dell’ordine e di tutto il personale addetto; destinando parte delle risorse all’accompagnamento e alla terapia degli stalker e dei sex offender per prevenire l’escalation delle violenze fino al femminicidio.
Nonostante numerosi studi evidenzino una correlazione positiva tra occupazione femminile e Pil, (Goldman Sachs stima che la parità porterebbe a un incremento del Pil del 22 per cento) è soprattutto alle donne che il mondo del lavoro fa pagare il prezzo della crisi, ostacolandone l’ingresso, relegandole nei settori meno qualificati, mantenendo il gap salariale, obbligandole alle dimissioni in bianco e a rinunciare al lavoro per motivi familiari, costringendole al ruolo di “welfare vivente” per sopperire alla cronica e crescente carenza di servizi, sottoutilizzando le più scolarizzate (il 56% dei laureati in Italia sono donne e l’Ocse calcola che nel 2020 saranno il 70%), resistendo fortemente alla femminilizzazione dei board: ecco un’altra faccia dell’irriducibile questione maschile nel nostro Paese, direttamente correlata alle sue molte arretratezze. Controprova: il trend positivo, nonostante la crisi, delle imprese create e gestite da donne, che rispondono in modo autonomo alla chiusura del mondo del lavoro pur trovandosi a dover superare numerosi ostacoli, come il più difficile accesso al credito nonostante le donne siano mediamente più solvibili degli uomini.
Il Pd deve assumere con decisione il tema del welfare, intendendolo come un servizio alle persone e alle famiglie e non alle donne; deve promuovere per tutti, donne e uomini, forme di dis-organizzazione del lavoro – dalla flessibilizzazione alle postazioni in remoto – che rendano più prossimi lavoro e vita; deve rimuovere gli ostacoli al credito per le donne, legati a superstizioni maschiliste, e introdurre una struttura della tassazione che incoraggi il ricorso al lavoro femminile; deve estendere i congedi obbligatori anche per i padri.
Più in generale, il Pd deve assumere e fare fronte alla crisi di quella soggettività maschile, attorno alla quale la società ha fin qui costruito il modello di sviluppo politico, sociale e culturale. E deve in ogni modo favorire la partecipazione delle donne alla vita pubblica, non pretendendo di inquadrarle nella rigidità delle strutture maschili, ma intendendole come portatrici di irriducibile differenza e promotrici di quel cambio di civiltà politica di cui la nostra democrazia affaticata ha estremo bisogno. Mai più senza le donne».
«Il combinato disposto è il “fai da te” del welfare fondato sul lavoro di cura delle donne, madri, compagne, figlie o nuore o delle badanti. Vanno finanziati i fondi politiche sociali e non autosufficienza e vanno garantiti i livelli essenziali di assistenza sociali».
Si tratta con ogni evidenza della mozione più ricca e innovativa, con un salto radicale dalla vecchia “questione femminile” a una “questione maschile” a cui è dedicata un’intera sezione, e alla quale viene ascritta la responsabilità di gran parte dei problemi delle donne di questo Paese -dal lavoro al welfare, dalla maternità alle dimissioni in bianco, dalla legge 194 alla fecondazione assistita, fino alla violenza e al femminicidio-, analizzati uno a uno. Si prospettano soluzioni originali. Si nominano la “crisi della soggettività maschile” e la “differenza femminile”: sensibilità e precisione evidentemente frutto di ascolto e attenzione continuativi.