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economics, giovani, italia, lavoro Agosto 26, 2013

La lotta per la restanza

 

Un ragazzo mi dice: “Io non me ne voglio andare. Io voglio restare in Italia”. Mi si stringe il cuore, la rabbia mi invade. Un sacco di suoi amici sono già partiti, in Inghilterra, in Germania, in Brasile, in Australia. Emigranti con il trolley, ma emigranti. Tanti invece lottano con le unghie e con i denti per restare. E’ una lotta con se stessi, non solo con il mondo fuori. L’informazione: “Siete la generazione perduta” è definitivamente introiettata. Una delle più sporche e riuscite operazioni di propaganda di questo secolo. Come dire: siete degli zombie, siete già mezzi morti, siete dei cagnetti randagi, accontentatevi delle ossa che vi lanciamo.

Non è vero niente. Resistete soprattutto a questa falsa informazione. Non siete affatto la generazione perduta. Siete una generazione che avrà moltissimo da inventare. Una nuova civiltà economica. Una nuova civiltà politica. Un altro modo di studiare e di lavorare. Caricatevi di tutta l’energia che serve per questo compito gravoso e bellissimo.

“Chi definisce chi una generazione perduta?”, si domandava Hemingway. Risposta (mia) chi ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo, e a bassissimo costo. Quasi il 40 per cento dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni è senza lavoro. Quelli che lavorano, lavorano in condizioni pessime e con paghe infime. Notizia di oggi, il boom di iscrizioni alla facoltà di ingegneria a Milano. Lesson number one: fate gli ingegneri o i “bocconiani” (l’idea della lost generation nasce in quell’ambiente) solo se pensate che sia davvero quella, la vostra strada. Un ingegnere infelice è anzitutto un infelice, e probabilmente un disoccupato.

Altra notizia di oggi (ne parla Il Fatto quotidiano): c’è un’Italia che dalla crisi guadagna, e parecchio. Tra il 2011 e il 2012 i nostri super-ricchi sono aumentati del 4,5 per cento. Come vedete, i conti non tornano (o meglio: tornano in una direzione sola).
Ragazzi della restanza italiana, tenete come stelle polari due concetti: la bellezza, e il bisogno crescente di cura, in tutte le sue declinazioni. E questa stronxata della generazione perduta levatevela dalla testa.
Aggiornamento del 29 agosto, ore 0.40: d’accordo con papa Bergoglio, perfetta sintonia. Leggete qui.
AMARE GLI ALTRI, lavoro, Politica Luglio 10, 2013

Senza lavoro: un aiuto dall’auto-aiuto

Per le nuove generazioni forse andrà diversamente: la “fine del lavoro” nel post-mercato preconizzato vent’anni fa dall’economista Jeremy Rifkin la portano iscritta nel Dna. Entrano, escono, si adattano, flessibili e cangianti, seguono l’onda come surfisti.

Non sarà necessariamente il lavoro, il core della loro identità.

Ma nel presente in scadenza, “chi sei” e “che mestiere fai” hanno ancora un unico significato. E quando il posto lo perdi, quando a finire è il tuo lavoro individuale, chi sei non lo sai più e ti ritrovi ai minimi. Proprio nel momento in cui per reinventarti avresti bisogno del massimo di te stesso.

La perdita del lavoro è un colpo gravissimo all’individualità personale e sociale. E segue la stessa scansione del lutto: incredulità, rifiuto, autocolpevolizzazione, rassegnazione, depressione. Se non riesci ad alzarti dal letto o se sei paralizzato dall’ansia, è improbabile che tu riesca attivare le energie che servono per tornare rapidamente in pista.

I gruppi di auto-aiuto organizzati in collaborazione da Camera del Lavoro e Comune di Milano, proposti a inoccupati, disoccupati e cassaintegrati, dicono essenzialmente che quel dolore personale è politico. Che non sei solo ad affrontarlo, e che insieme ad altri nella tua stessa situazione può essere meno complicato trovare l’uscita: già questo è terapeutico.

Spiega Cristina Tajani, assessora alle Politiche per il Lavoro: “L’idea, già sperimentata dalla Camera del Lavoro e che oggi il Comune ripropone in un protocollo di collaborazione, è quella di potenziare gli sportelli lavoro e formazione già operativi presso le sedi comunali, riportando le persone in una migliore condizione psicologica –dall’autocolpevolizzazione alla rabbia, dalla rabbia alla giusta energia- per dare alla ricerca di nuova occupazione maggiori chance di successo. Gli incontri, a cui partecipano dalle 15 alle 25 persone, sono coordinati da un facilitatore. Alcuni dei partecipanti al gruppo hanno già cominciato a seguire percorsi di formazione professionale, con possibile inserimento lavorativo”.

Gli incontri di auto-mutuo-aiuto si svolgono a Villa Scheibler, Quarto Oggiaro, via Felice Orsini 21, 02-88447502/45019, e-mail PLO.infolavoro@comune.milano.it (per tutte le altre info, cliccare qui), ma è possibile che si attivino nuovi gruppi in altre sedi.

Intanto è partita un’analoga sperimentazione riservata ad artigiani e piccoli imprenditori organizzata in collaborazione con la Confederazione Nazionale Artigianato, presso la Casa di Vetro di Via Luisa Sanfelice 3, 02.29408656.

Molto interessante che alla pratica dell’inconscio –o a qualcosa che le si avvicina molto- venga attribuito un significato politico, rompendo la barriera artificiosa tra pubblico e privato.

Scegliendo di ricorrere agli strumenti della narrazione e dell’autoanalisi anziché ai riti della giustizia ordinaria, i tribunali Gacaca del Rwanda (vedi qui) sono riusciti in pochi anni a pacificare e a far rinascere un Paese dilaniato da una spaventosa guerra tribale, con più di un milione di vittime. Una vera e propria terapia di massa basata, come ha affermato il presidente Kagame, “sull’introspezione e la ricerca interiore”.

Una grande e storica prova del fatto che le energie interiori e le relazioni con gli altri possono tutto.

 

Il post è pubblicato anche dal blog “Buone notizie” su Corriere.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

economics, giovani, lavoro, scuola Febbraio 25, 2013

Due pensieri sui giovani

Serie: tutto per i ragazzi, restituiamo loro almeno parte del debito mostruoso che gli abbiamo caricato sulle spalle.

1. Ha ragione Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria, quando chiede “di introdurre tirocinii e praticantati durante i corsi universitari, visto che oggi i nostri ragazzi incontrano il lavoro mediamente tre anni più tardi rispetto ai loro colleghi europei” (Corriere di ieri).

Intenderei la cosa in senso molto ampio: non solo, per esempio, stage in uno studio legale per chi vuole fare l’avvocato o in uno studio di architettura per chi intende fare quel mestiere, ma esperienze lavorative in senso lato, preferibilmente convertibili in crediti universitari, per sperimentare il lavoro in sé, e per verificare sul campo se la scelta di studio è stata quella giusta, rendendo possibili eventuali correzioni di rotta con piani di studi molto flessibili e tagliati su misura. Se, poniamo, uno studente di legge scoprisse in corso d’opera che la sua vera passione è la ristorazione -esagero- potrebbe orientare il suo piano di studi in senso commercial-gestionale, completare il triennio in studi giuridici e poi dedicarsi pienamente ad apprendere la sua professione. Perché poi ritrovarsi a fare il lavoro sbagliato è quasi peggio che fare il matrimonio sbagliato, oltre che garanzia di sicuro insuccesso e perdita secca per la comunità. E’ a vent’anni, e non a trenta, che uno impara bene un mestiere, e incastrarsi fino a 27-28 in una lunga teoria di master e contromaster non può essere la strada per tutti.

2. Sogno da tempo hub creativi permanenti nelle nostre città, dove le idee in embrione dei ragazzi possano incontrare liberamente l'”how to do it” e l’esperienza degli adulti, con relativi incubatori di progetto e d’impresa, microcredito e debito d’onore, convenzioni con aziende, canoni agevolati o comodati per l’affitto di spazi ecc. ecc.

Cosa dite? Ci si prova?

economics, giovani, lavoro, Politica Febbraio 11, 2013

#Regionelombardia: per i giovani, tutto

 

Siamo in par condicio, lo so, mi devo frenare, avrei un sacco di cose da dire, dovete tenere conto che io sto qui in Ohio, dove si gioca la partita perfetta. E ancora più decisiva di quella al Senato, quella per Regione Lombardia. Sondaggi non se ne vedono più, probabilissimo un vero testa a testa al fotofinish tra il centrosinistra di Ambrosoli, attorno al quale si stanno coagulando i salvifici consensi di parte dei centristi di Monti (forse in numero maggiore di quelli ufficialmente dichiarati) e il centrodestra di Maroni. Questi ultimi giorni di campagna sono decisivi, ogni singolo voto vale oro puro, è la piuma sul piatto della bilancia, c’è da stare all’erta perché ne vedremo di tutte e ne sentiremo di ogni.

Due scenari diversissimi: la macroregione del Nord, nel caso di vittoria di Maroni, con le sue tentazioni autonomiste e autarchiche (anche se queste medesime tentazioni in un quasi ventennio di solidissimo governo di centrodestra non hanno mai prodotto fatti decisivi); la rottura di questo blocco, nel caso di vittoria di Ambrosoli, leggibile come estensione a tutta la regione -e in progress al resto del Paese- del modello Milano a forte impronta civica.

Se la battaglia per il Senato sarà decisiva per il qui e ora della prossima legislatura, da molti osservatori intesa come a breve e di transito, quella per la Regione potrebbe delineare gli scenari politici per i decenni a venire, e dovrebbe essere guardata con attenzione da tutti, non solo dai lombardi. Il futuro del Paese si gioca qui.

Dico solo una cosa, da milanese e da lombarda, e sono sicura che tanti miei cittadini la pensano come me: sarei disposta ad altri sacrifici, a reggere il peso di tasse oggettivamente insostenibili, a rinunciare anche a molto, a congelare e a diminuire ulteriormente i consumi, se vedessi che qualcosa si muove da subito per i giovani. Parlo di lavoro, parlo di casa, parlo di istruzione, parlo di minime garanzie di cittadinanza.

Per i giovani si deve fare tutto: dal debito d’onore concesso dalle banche per gli studi o per l’avvio di un’attività lavorativa, a mutui stra-agevolati, ad affitti pubblici a canoni simbolici o poco più – le nuove generazioni sono molto mobili, poco propense a incastrarsi con una casa di proprietà-, alla concessione di spazi attualmente sfitti, parlo di negozi, magazzini e altro- per generare attività e imprese, agli incubatori di progetto, alla defiscalizzazione delle assunzioni di giovani e delle imprese giovanili, fino al reddito minimo di cittadinanza. Si prenda il modello Berlino, capitale giovanile europea, e lo si adatti alla situazione italiana. Si cominci da Milano e dalla Lombardia, perché in Italia comincia quasi tutto qui.

Non ce la faccio più a sentire, come mi è capitato sabato in un convegno bolognese, una ragazza di 27 anni dire: “Sono affaticata da tutto, anche la politica delle donne è faticosa. Non è che non vedo il futuro, io non vedo nemmeno il presente. Se penso al futuro vedo solo i nostri corpi sfatti dalla fatica di vivere così. Non ho tutta questa fiducia nelle istituzioni, ma due o tre cose si potrebbero fare: migliorare il trasporto pubblico… un sostegno alla maternità… Siamo sempre più stanche“.

Intendo questo: fare per i giovani significa fare per tutti, ridare fiducia e vitalità a tutti. Si deve cominciare di lì.

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica, questione maschile Dicembre 25, 2012

Caro Presidente Monti, noi donne…

Caro Presidente Monti,

Natale di lavoro per molti, questo. Anche per me, si parva licet. E poiché quest’anno sono esentata dal turno cucina -dietro ogni piccola donna c’è sempre una grande donna che l’aiuta in casa, con i bambini, con gli ammalati e tutto il resto- posso permettermi di stare qui all’alba del 25 dicembre a scriverle, non senza averle prima rivolto i miei auguri.

E’ consolante che nella sua Agenda lei abbia parlato di noi donne, e lo abbia fatto evitando l’ottocentesca locuzione “questione femminile”: perché in questo Paese, si sa, la questione è tutta e pervicacemente maschile. E che abbia riferito quel famoso dato espresso dalla Banca d’Italia, secondo la quale, come lei ha detto, “se raggiungessimo il traguardo fissato dal Trattato di Lisbona – un’occupazione femminile al 60 per cento – il nostro Prodotto interno lordo aumenterebbe del 7 per cento”. Molte di noi si sono chieste, in questi anni, perché questa grande opportunità non venisse colta senza esitazioni.

Anche dal suo governo in verità ci saremmo aspettate di più: speranza corroborata dal fatto che per la prima volta nella storia di questo Paese a discutere di riforma del lavoro c’erano tre donne -Fornero, Marcegaglia, Camusso- che a quel tavolo avrebbero finalmente potuto portare tutta la competenza delle donne in materia: perché da sempre e ovunque nel mondo sono le donne a lavorare di più, il lavoro è un’esperienza prevalentemente femminile, che sia una faccenda da uomini è solo un trompe-l’oeil ideologico. Ma è come se di quel fatto essenziale -essere donne, con tutto il loro grande sapere – le nostre protagoniste si fossero dimenticate, come se l’avessero messo tra parentesi: capita spesso alle poche donne che riescono a entrare nella politica degli uomini. La lingua delle donne non è entrata in quella trattativa.

Sono una delle 188 firmatarie dell’appello per il ripristino della legge 188 sulle dimissioni in bianco, norma abrogata dal governo Berlusconi: pratica violenta, discriminatoria e iniqua che rappresenta perfettamente la profonda misoginia del nostro pensiero politico sul lavoro. Invece del semplice ripristino, purtroppo, si è scelta una soluzione compromissoria e incerta, che nella sostanza non cambia la situazione.

Incertezza che purtroppo ha caratterizzato tutta l’azione del suo governo in materia di lavoro femminile: scarsi incentivi all’assunzione di donne, minicongedo-paternità di soli tre giorni, nessun correttivo al gap delle retribuzioni, nessuna iniziativa a sostegno di quella flessibilità “buona” -orari elastici, telelavoro, postazioni in remoto, un riavvicinamento del tempo di lavoro al tempo di vita-, ovvero di quella dis-organizzazione del lavoro che costituirebbe una spinta potente in direzione degli obiettivi di Lisbona, e anche oltre. Con tutto il bene che al raggiungimento di questi obiettivi conseguirebbe: quell’aumento di natalità da lei stesso auspicato -le donne fanno bambini quando hanno un lavoro e non, altro trompe-l’oeil, quando sono costrette a casa-, una domanda indotta di servizi, ovvero altri posti di lavoro, una maggiore autonomia femminile e una riduzione della violenza sessista -non c’è nulla che metta a rischio una donna come il dover dipendere da un uomo-, un’immediata modernizzazione del Paese, apportata dall’irruzione dello sguardo femminile sul bene comune.

Il taglio dei servizi è stato il colpo di grazia: vero welfare vivente, in prima linea sul fronte dell’assistenza e della cura nell’ultimo anno, quello del suo governo, siamo precipitate dal 74° all’80° posto nel Global Gender Gap Report stilato annualmente dal World Economic Forum. In assenza di servizi efficaci -servizi per la famiglia, non per le donne, che si trovano semmai costrette a surrogarli- l’innalzamento dell’età pensionabile è stata una vera mannaia. Quelli tra i 60 e i 65 rischiano di essere gli anni più faticosi in assoluto per la vita di una donna: che mentre lavora, se la fortuna di un lavoro ce l’ha, potrebbe ritrovarsi a dover accudire figli adulti ma ancora privi di reddito certo, e quindi costretti a restare nella famiglia d’origine, nipoti -i servizi per l’infanzia sono insufficienti e costosi- e dato l’allungamento della speranza di vita, uno o magari entrambi i genitori. Sempre che la salute l’assista.

A quanto pare, caro Presidente Monti, porre con decisione le donne al centro della sua Agenda, o di qualunque altra agenda politica, farne il perno di un deciso programma di riforme -non è un caso che tutti i mali del Diciassettennio berlusconiano si lascino perfettamente rappresentare da un corpo di donna umiliato e degradato- costituirebbe la panacea per quasi ogni nostro male.

Con la fiducia nel fatto che da doveroso punto programmatico la condizione delle donne in questo Paese passi a essere la stella polare dell’azione del futuro governo, chiunque sarà chiamato a guidarlo -e con tante donne in squadra, speriamo- le rinnovo i miei più sinceri auguri di Buon Natale e felice anno nuovo.

giovani, lavoro, Politica Dicembre 15, 2012

Un miliardo in dono agli spiaggiaroli

Oggi faccio silenzio-primarie (in Lombardia si vota per il candidato presidente di centrosinistra- e parlo del regalo di Natale agli spiaggiaroli d’Italia.

In parole povere: l’Europa obbligava l’Italia a rimettere all’asta le concessioni demaniali in scadenza il 31 dicembre 2015. Sulle vostre spiagge a tariffe salate la scorsa estate avrete già visto manifesti di protesta da parte degli spiaggiaroli, decine di migliaia di piccole imprese sparse sui nostri 7500 km di costa, che esercitano il loro diritto in cambio di canoni quasi sempre irrisori. Insomma un vero terno al lotto. I quali spiaggiaroli, con una fortissima azione di lobbying, chiedevano una megaproroga di 30 anni.

Il governo ha concesso una proroga di “soli” 5 anni, che potrebbe costarci una sanzione giornaliera Ce di 652 mila euro al giorno. Questo significa che le tasse mie, vostre, di tutti -di tutti quelli che le pagano, s’intende, categoria nella quale i gestori di stabilimenti balneari, come da esperienza diffusa, rari gli scontrini e le ricevute, sembrerebbero sottorappresentati- serviranno anche a pagare una maximulta di quasi un miliardo e duecento milioni di euro.

Un finanziamento alla categoria che, in tempi meno grami, potrebbe anche starci. Possibilmente in cambio di un maggiore rispetto della legge (tipo la legge Galasso, che obbliga a consentire il libero accesso al mare, spesso non applicata, oltre che a una più entusiatica adesione ai propri doveri fiscali). Ma sono questi tempi in cui mandiamo a scuola i bambini con la carta igienica in tasca perché i bagni non ne sono dotati:  insomma, avremmo altre priorità.

Ma a quanto pare le lobby della corporazione sono talmente forti che il governo sarebbe potuto cadere inciampando in un pedalò.

Una mediazione andava trovata -la politica serve a questo- ma quella individuata mi pare inaccettabile. Quanto meno si poteva prevedere, in cambio della proroga, un aumento dei canoni d’affitto che servisse a ripagare almeno in parte la sanzione.

Nel mio Paese ideale la gestione delle spiagge andrebbe affidata, con regolare asta e a canoni agevolati, a cooperative di giovani. Che hanno bisogno di lavorare, e che di vita di spiaggia, come è noto, se ne intendono.

 

 

economics, lavoro, Politica Settembre 12, 2012

Crescita. Delle tasse

 

Dunque il premier Mario Monti, discutendo con le parti sociali, ha parlato di rilancio della produttività come chiave per la crescita e l’occupazione.

Bene. Anche se continua a non essere chiarissimo che cosa debba crescere: quell’osceno Bengodi dei consumi non lo rivedremo più. E’ chiaro  invece che per rilanciare la produttività la pressione fiscale -le nostre aliquote sono le più alte del mondo- deve diminuire. Sulle imprese e sui lavoratori. E per diminuirla, la lotta all’evasione dev’essere feroce: ci sono nazioni che ci riescono, non sarà impossibile. E sulla spesa pubblica si deve intervenire: sarà demagogia, sarà populismo, ma il numero dei parlamentari non è diminuito, gli emolumenti neppure, le Province sono lì, i vitalizi pure, spese assurde che levitano costantemente.

Per carità, chi sono io per dire la mia? Solo una che tira avanti come tante una casa e una famiglia. Forse proprio per questo le dimensioni della coperta le ho ben presenti. Con questo carico fiscale spaventoso sulle spalle non potremo che fare due passetti, e poi fermarci, sfiniti. Quel poco ossigeno che resta non ci permetterà mai di respirare a pieni polmoni.

In effetti Monti ha aggiunto che lavorerà per ridurre il divario fra salario lordo e netto in busta paga. E Susanna Camusso ha proposto di detassare le tredicesime con le risorse della lotta all’evasione “per ridare fiducia alle persone”. Sempre meglio che niente, per carità, anche se con la “crescita” c’entra poco o nulla. Quei soldi in più serviranno alle famiglie per i debiti accumulati, o come riserva per un futuro che resta incertissimo.

Incontrando gli imprenditori, il governo ha sollecitato Confindustria e le altre associazioni ad avviare un confronto con i sindacati per ridefinire l’architettura contrattuale, al fine di aumentare la produttività. Tremano i polsi, sapete? Nel gergo aziendale fare aumentare la produttività, ottimizzare le risorse, da molti anni vuole dire tagliare, torchiare la gente e ridurne i diritti.

Apro i giornali, la mattina, e non vedo in prima, ogni giorno, la lotta all’evasione e la riduzione degli sprechi. Sono circondata di evasori e di spreconi, continuo a incontrarne dappertutto e ogni giorno. Il boccone è sempre più amaro da mandare giù.

La corda si potrebbe spezzare.

 

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, lavoro, scuola Agosto 27, 2012

I giovani! I giovani! I giovani!

Rieccomi amic*! Non mi farò tentare dalle disgustose risse a sinistra. Non intendo certo dedicare il primo post della ripresa a questo spettacolo immondo -solo, mi domando: chi si candida alla premiership, mi riferisco a Pierluigi Bersani, crede di guadagnare fiducia da una simile scompostezza?-.

Voglio ricominciare da quello che conta davvero, e se permettete parto dai miei principi politici assoluti, che voglio ribadire. Sono due, e semplicissimi: riduzione del danno per il maggior numero, tenere i più piccoli -piccoli umani, animali, piante- al centro di ogni decisione pubblica. Sono convinta che le cose andrebbero molto meglio per tutti se passassimo ogni scelta al vaglio di questi due principi.

Dal governo Monti mi aspetto che i giovani -e i piccoli in generale- siano il fuoco del rush finale, di qui alle prossime elezioni. Pensare a loro. Ascoltarli. Interpellarli. Coinvolgerli. Mobilitare la loro attenzione e la loro partecipazione. Ma più l’orribile espressione “generazione perduta”. La generazione perduta sarà la nostra, se non sapremo finalizzare ogni sforzo e ogni sacrificio a questo irrinunciabile obiettivo.

Il governo Monti finora ha fatto davvero poco per i giovani. La riforma del lavoro è stata una grande delusione soprattutto su questo fronte. A breve dovrebbe entrare in vigore il provvedimento sullo start up delle aziende innovative, che tra l’altro consentirebbe agli under 35 di aprire una srl con un solo euro. Perfetto, ma serve ben altro. Sappiamo tutti benissimo che cosa: misure davvero efficaci contro il precariato, incentivi alle aziende virtuose e penalità per gli sfruttatori, efficaci misure per l’apprendistato, serie politiche per la casa, mutui agevolati, servizi per le giovani coppie e i loro bambini, e così via.

Qui voglio dire qualcosa di più sul tema della formazione: di cui va garantito l’alto standard, ma l’imbroglio della formazione-parcheggio deve finire. Università, specializzazione, master, corsi e contro corsi: se va tutto bene si arriva alle soglie dei trent’anni. Ma è a venti e something che si apprende un lavoro.

Parlo ad esempio del mio mestiere, quello di giornalista. Dopo la laurea (da tre a cinque anni, se va tutto liscio), le strade possibili sono due: il praticantato di 18 mesi in una redazione (con regolare assunzione) al termine del quale si affronta l’esame di stato, opzione oggi meramente teorica; o un biennio di scuola di giornalismo -se non ho capito male solo scuole italiane: i master all’estero, incredibilmente, non sono riconosciuti-. A cui vanno aggiunti eventuali corsi specialistici, più quelli obbligatori di lingue, e via dicendo. Se tutto va come deve, insomma, si comincia a lavorare -precariamente, e chissà per quanto- solo sui 27-30 anni. Da quello che pare l’intenzione sarebbe quella di abolire del tutto la via del praticantato sul campo per rendere obbligatoria la scuola. Insomma, di fatto si abolirebbe l’apprendistato, che a mio parere resta la via maestra per imparare un mestiere. Una follia. L’apprendistato andrebbe favorito, introdotto, regolamentato, defiscalizzato in tutte le professioni e i mestieri. Si sta andando invece nella direzione opposta.

Così proprio non va. I ragazzi devono cominciare a lavorare prima possibile, alternando lavoro e formazione -solo strada facendo si capisce che cosa è necessario approfondire-. Il business dei corsi e dei master, per i quali le famiglie si costringono a enormi e spesso inutili sacrifici, va in ogni modo ostacolato.

Su questa sterminata questione -i giovani, cioè le nostre famiglie, la nostra vita- ancora un paio di cose: tutti dovremmo darci da fare per loro, mettendo in campo con generosità politica la nostra esperienza, offrendo le nostre consapevolezze e il nostro meglio. E infine: è assolutamente impensabile che la nostra futura rappresentanza politica non ringiovanisca, oltre a femminilizzarsi.

Ma a quanto pare non ci stanno pensando affatto.

 

economics, lavoro Agosto 4, 2012

Dare la terra ai giovani

I greci sono un po’ viziati, come noi.

Su 5 mila persone che hanno risposto a un annuncio rivolto ai disoccupati per la raccolta di pesche nelle regioni di Imathia e di Pella, solo 19 erano greci. Gli altri tutti albanesi. Eppure l’agricoltura è l’unico settore in ripresa. Tra il 2008 e il 2010 ha creato 32 mila nuovi posti di lavoro. Ma si resiste all’idea di tornare alla terra. Anche la Grecia, come noi, ha conservato il suo robusto “scheletro contadino” (Giuseppe De Rita). Ma scommettere sulla terra e sentirsi pre-moderni è tutt’uno.

In Toscana il 40 per cento degli agricoltori è ultrasessantenne. Il PIL dell’agroalimentare è di 3 miliardi di euro, con una posizione forte di vini ed oli sui mercati stranieri. Ma questa ricchezza rischia di andare perduta perché i giovani non ne vogliono sapereEnrico Rossi, governatore della Toscana, ha pensato  di avviare una campagna di rivalutazione della figura dell’agricoltore partendo dalle scuole.

Ma qualche segnale in controtendenza si comincia a intravedere. Gruppi di giovani greci hanno messo in piedi comuni agricole e hanno occupato terre incolte, dando un forte segnale simbolico. In un recente discorso ai giovani italiani, Vandana Shiva ha indicato la strada: “Non abbiamo molto altro da darvi: abbiamo perso la capacità di darvi lavoro, sicurezza sociale e garantirvi un decente tenore di vita. Ma la terra ha ancora questa capacità, noi consegniamo le terre pubbliche agli agricoltori del futuro: provvedete a voi stessi. Mettere la terra nelle mani delle generazioni future è il primo passo, e se non lo faranno, seguendo la strada giusta, invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze”.

Il Decreto Cresci Italia prevede la vendita di terre pubbliche, le associazioni degli agricoltori chiedono canoni agevolati per i giovani.

Pensiamoci tutti.

economics, lavoro Luglio 25, 2012

Idea Perugina: metà posto al padre, metà al figlio

Il Gruppo Nestlé ha proposto alle maestranze dello stabilimento di Perugia di fare entrare a lavorare con contratto di apprendistato i figli di quegli operai che accetteranno un part-time di 30 ore al posto del full time di 40. L’azienda ha parlato di “patto generazionale per favorire l’occupazione giovanile». Cgil dice no, e per domani annuncia scioperi e presidi: si divide il posto di lavoro in due senza garantire uno stipendio decente a nessuno. I lavoratori chiedono il rilancio del marchio Perugina e l’internalizzazione di servizi oggi affidati all’esterno.

Una volta, in alcune categorie, se non ricordo male qualcosa del genere era previsto: dentro il figlio e fuori il padre. Contenta l’azienda, che pagava uno stipendio più basso  e si portava “in casa” uno non del tutto sconosciuto, contenta la famiglia, che metteva “a posto” il ragazzo.

Vicini all’età pensionabile, con l’aiuto di qualche “scivolo”, molti padri e molte madri ci penserebbero, ne sono sicura: un posto per un figlio, di questi tempi, è come vincere al lotto. Un* accetta anche il downshifting anticipato, pur di levarsi quest’ansia.

Del resto, nel Paese del familismo e delle raccomandazioni, la pratica ha normalmente corso, si lasciano in eredità ben altri posti: figli di primari ospedalieri che diventano rapidissimamente primari, intere famiglie di docenti nella stessa università. Di sicuro, un sacco di lavoratori Perugina sono figli e nipoti di lavoratori Perugina.

Come abbiamo detto, i lavoratori non accettano l’accordo. Ma se fosse stato congegnato diversamente? Se offrisse maggiori garanzie? Insomma, quello che si rifiuta è il principio -la trasmissibilità del posto di lavoro- o la sostanza di un accordo economicamente poco vantaggioso?

L’idea Perugina sarebbe da copiare?