Le bambole da stuprare raccontano la resa senza condizioni a una sessualità maschile che si esprime come predatoria, perversa e violenta “per natura”. Che chiede una cosa da usare, non un soggetto con cui entrare in relazione. La donna incinta, da sempre adorata e divinizzata, diventa un orinatoio e un vomitatoio. Misoginia estrema da fine patriarcato
Bambole, puttane, Dee
Pamela, il suo cliente, il giornalista: analisi di un testo
Indignazione e proteste per l’articolo del Corriere della Sera su Pamela e il suo “cliente”. Vale la pena di analizzare questo testo come lapsus rivelatore sui meccanismi della sessualità maschile
Le 26 ragazze sono morte a causa della violenza maschile: uomini che le hanno torturate e stuprate prima del viaggio, uomini i compagni di viaggio sopravvissuti, uomini i futuri clienti, schiavisti “a loro insaputa”. Ma vogliamo i particolari
Quando Saviano parla di donne. E sbaglia
Dopo aver dato delle egoiste alle italiane perché non donano i propri ovociti, Roberto Saviano minimizza per correctness la questione migranti-libertà femminile. Alimentando il consenso alle destre xenofobe
Un’enorme baraccone, kermesse, scarpette rosse, trasmissioni tv, business della formazione –che dà da mangiare a molti uomini-. Ma la violenza sulle donne non diminuisce. Alcune idee per ripensare come contrastarla
Rosanna Belvisi, uccisa a Milano dal marito, ha subito per vent’anni senza reagire. A Messina Ylenia difende il fidanzato che le ha dato fuoco. Ha senso comprendere e giustificare? Non dovremmo pretendere che le sorelle abusate reagiscano prima che sia troppo tardi?
Chiamiamoli delitti d’onore: il movente del femminicidio è ancora quello
Un cornuto è lo zimbello del mondo, incapace di difendere il suo onore, suggello di quel patto tra uomini per tenere nascosta la propria secondarietà e fragilità. Chiunque –gli omosessuali, i cornuti- non stia al patto verrà irriso e messo ai margini. Vale anche per un distinto professionista
Il vero lavoro che c’è da fare per uscire dalla violenza
La lotta contro la violenza non funziona perché le donne non sanno leggere come politica la violenza che subiscono e la tengono nascosta nel privato. Mancano le parole per dirlo. Un simbolico efficace. Il lavoro da fare, dunque, è trovare queste parole. E una pratica politica efficace
Capodanno a Colonia: piazza Tahir nel cuore dell’Europa
Il più grande pericolo che corriamo dopo i fatti di Colonia -un migliaio di “arabi e nordafricani” che la notte di Capodanno si sono avventati contro tutte le donne che incontravano libere per strada, 90 denunce per molestie, 2 stupri- è la sottovalutazione (episodi analoghi anche ad Amburgo, Francoforte, Düsseldorf e Stoccarda).
Si è trattato di un atto di guerriglia organizzato, eccitato dall’alcol e dai botti, in cui le donne hanno avuto la parte delle prede, come sempre in circostanze di guerra. Anzi, è stato molto di più. I predoni hanno rubato e hanno molestato: tra le cose e le donne non c’è stata alcuna differenza. Se degli attentati di Parigi si è parlato come di un atto di jihad nel cuore dell’Europa, dei fatti di Colonia si dovrebbe parlare come di una piazza Tahir esportata in Germania: non la piazza Tahir della primavera araba, quella dove le donne partecipavano da pari ai moti “rivoluzionari”, ma la piazza Tahir subito-dopo, quella in cui le donne venivano molestate, insultate, umiliate e palpeggiate per ricondurle brutalmente al loro stato di illibertà.
Tutte noi siamo state molestate almeno una volta nella vita. E ci è chiaro è il messaggio: sei solo una cosa a mia disposizione, specie se giri sola per strada, mostrando di non appartenere ad alcun uomo; nessuna libertà ti è consentita, se non quella di consegnarti a un padrone, e se non lo fai, se pensi di poter essere autonoma, di guadagnarti il pane, di guidare la macchina, di vestirti come ti pare, sei solo una puttana a mia disposizione. E devi avere paura.
“Essere una donna è pericoloso ovunque”, come scrive Mona Eltahawy (“Perché ci odiano”): deve tornare a esserlo anche in Germania, anche in Europa. E’ questo il messaggio che doveva arrivare, ed è arrivato. I balbettii della povera sindaca di Colonia (il consiglio alle sue concittadine di “tenersi alla distanza di un braccio, EineArmlaenge, dagli sconosciuti) sono lì a dimostrarlo. La pericolosità dell’essere nata donna, la paura che deve conseguirne –ovvero il preciso rovesciamento della paura che gli uomini provano per la potenza materna e l’illimitato godimento femminile- è il fondamento ineliminabile del patriarcato, il cuore della questione maschile. Se una sola donna mostra di non avere paura, tutto l’impianto è a rischio di crollo.
Gli uomini di Colonia non erano poveri astinenti sessuali che cercavano occasioni di “sfogo”: lo stupro e la molestia sono atti solo pseudosessuali, quello che si cerca non è il piacere, ma il dominio e l’assassinio simbolico della preda. Gli uomini di Colonia erano uomini che rimettevano le cose a posto, riaffermando un sistema di valori che nella postura del dominio -maschio sopra, femmina sotto- trova il suo fondamento, il suo suggello, la sua garanzia. Gli uomini di Colonia volevano dare una lezione agli uomini di Germania, che si fanno comandare dalle loro donne, che hanno addirittura un premier donna. Qualcosa di simile agli stupri etnici.
Si tratta, dicevo, di non sottovalutare: fare finta che gli uomini di Colonia non siano poi tanto diversi dagli ubriaconi dell’Oktoberfest significa lasciare alla destra xenofoba il compito esclusivo di interpretare la vicenda e di immaginare risposte politiche. E i maschi della destra xenofoba non sono certo paladini della libertà femminile.
Si tratta di saper leggere quello che è capitato la notte di Capodanno senza cercare riparo nella retorica della correctness. O, peggio, imbastendo patetiche e autoconsolatorie dietrologie, tipo: era tutto organizzato, anche il non-intervento della polizia, in modo da poter restringere le politiche di accoglienza, e altre cretinate simili.
Stiamo alle cose certe. E una cosa certa, come diciamo da sempre, è che il corpo della donna è il campo di battaglia definitivo. Quello che capita alle yazide, alle siriane, alle saudite ci riguarda, è molto più vicino di quanto vorremmo credere. E ridurre le nostre pretese di libertà, anche solo della misura di un braccio, significa ridurre anche le loro.
Tenere le donne al centro –a cominciare dalle politiche di accoglienza- è una primissima, ineludibile risposta. Più profughe di loro non c’è nessuno.
Colleghe della stampa estera: raccontate il business della violenza in Italia, ormai nelle mani della politica
Le donne in questo Paese non sono affatto messe bene, no.
Ci mancava pure la jattura dell’emendamento bianco rosa o rosa bianca o come diavolo l’hanno chiamato, che spazza via in un colpo solo tutto il sapere cumulato sul campo in anni e anni dai centri antiviolenza autogestiti dalle donne, quelli a cui la Convenzione di Istanbul attribuisce un ruolo preminente.
Perciò spero che le mie colleghe straniere, le corrispondenti di Libé, del Frankfurter Allgemeine Zeitung, del Guardian e del NYT possano dare una mano a questa lotta, raccontando alla fin fine quello che è: la violenza sessista in Italia è diventata un business da milioni di euro, la formazione di esperti è il core business del business, e i soldi stanziati dalla politica per affrontare la questione, la politica intende riprenderseli.
Domani in una conferenza stampa Donne in Rete contro la violenza (D.i.R.e), Udi, Casa Internazionale delle donne, Telefono Rosa, Pari e dispare, Fondazione Pangea e altre ribadiranno alla stampa estera che le donne vittime di violenza non sono minori deficienti da tutelare, ma persone –spesso ad alta scolarità e con buon reddito- da accompagnare in un percorso ogni volta diverso nei tempi e nei modi. Che devono essere loro stesse le protagoniste della propria liberazione: la libertà non è una medicina che si può inoculare. E che il ruolo delle “esperte” è quello di condividere con empatia e rispetto l’esperienza autonoma della donna che intende fuoruscire dalla violenza, mettendo a disposizione consapevolezza e strumenti.
E invece, niente: un emendamento alla legge di stabilità firmato da Fabrizia Giuliani (sempre lei, la sedicente candidata unica di Se Non Ora Quando, alla faccia di tutte quante le militanti basite, la romana piazzata da Bersani nel listino protetto a Milano dove nessuna l’ha mai vista nemmeno per sbaglio etc. etc., soprattutto una che nei centri antiviolenza non si è mai vista) parla disastrosamente di un “percorso tutela vittime di violenza” (sic!) da istituire negli ospedali. E per tutte le vittime di violenza senza distinzioni -donne, anziani, bambini, portatori di handicap e omosessuali-. Non viene quindi riconosciuta alcuna specificità alla violenza sessista, come raccomandato dalla Convenzione di Istanbul. Un disastro simbolico e reale.
Si tratta di “un percorso obbligatorio e a senso unico” dicono le donne di D.i.R.e, Udi e le altre. “Una donna che si rivolge al Pronto Soccorso sarà automaticamente costretta un tracciato rigido, senza poter decidere autonomamente come agire per uscire dalla violenza, e si troverà di fronte un magistrato o a un rappresentante della polizia giudiziaria prima ancora di poter parlare con una operatrice di un Centro Antiviolenza che la ascolti e la sostenga nelle sue libere decisioni”.
Come se le “malate” da presidiare fossero le donne, e non gli uomini violenti.
Con molteplici rischi: che pur di evitare di essere inserita nel “programma protezione”, una i suoi lividi se li tiene e all’ospedale non ci va. Inoltre chiunque si sia occupata della questione sa bene che il momento del post-denuncia è pericolosissimo per una donna, che potrebbe vedere aggravarsi la violenza. Infine i centri antiviolenza sono di fatto tagliati fuori dall’ospedalizzazione-securitarizzazione: i 50 milioni di euro promessi dalla ministra per la Salute Lorenzin per la formazione del personale dedicato all’assistenza psicologica alle vittime di violenza, usciti dalla porta rientrerebbero dalla finestra: saranno le istituzioni a gestire i fondi.
Insomma, l’emendamento Giuliani, che molte hanno chiesto invano di ritirare, è una vera catastrofe. Non per Giuliani, forse: a cui, si mormora, si sta pensando per il Ministero Pari Opportunità. Ci mancherebbe anche questa.
Colleghe della stampa estera, occhio a questa brutta storia.
Questo il comunicato che indice la conferenza stampa:
Settantatrè Centri Antiviolenza rappresentati dall’Associazione D.i.Re, Telefono Rosa che gestisce il numero pubblico di emergenza 1522 per la violenza contro le donne, l’Unione Donne Italiane, la Libera Università delle Donne di Milano, Ferite a Morte, la Fondazione Pangea, Be Free, Pari o Dispare, Uil invitano le giornaliste e i giornalisti il giorno 17 dicembre alle 11 alla Sala Cristallo dell’Hotel Nazionale a Montecitorio (Piazza Montecitorio 131) per annunciare le prossime azioni contro l’emendamento Giuliani detto “percorso tutela vittime di violenza” approvato il 15 dicembre dalla Commissione Bilancio della Camera:
Il “percorso tutela vittime di violenza” rappresenta un attacco alla libertà e alla sicurezza delle donne, alla cultura, all’informazione e alla consapevolezza che le associazioni femminili e femministe hanno costruito in questo paese. Il “percorso tutela vittime di violenza” assimila la violenza maschile, che colpisce una donna su tre e spesso con esiti fatali, a qualunque altra violenza su soggetti per giunta definiti “deboli”: anziani, bambini, portatori di handicap e omosessuali. Prevede una procedura che, tra ambiguità e contraddizioni, mette al centro le istituzioni e il sistema di interventi invece della consapevolezza e libertà di scelta della donna.
Vìola l’ordinamento nazionale e internazionale, innanzitutto la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica che prescrive un approccio di genere, firmato da 32 paesi, e dall’Italia fra i primi. – è solo l’ultimo grave atto contro le politiche di contrasto alla violenza, che si aggiunge alla mancata erogazione del denaro pubblico dovuto per legge ai Centri Antiviolenza.
La violenza di genere contro le donne non è una questione privata, non è una questione di sanità o di ordine pubblico, non è un affare lucroso. E’ un grave problema sociale che ha radici nella nostra cultura e va affrontato con una coerente e seria guida politico-istituzionale. Non può essere liquidato in maniera parziale, in un emendamento alla legge di stabilità già contestato da un appello pubblico e da molte parlamentari. Perché le donne non vengano più picchiate e uccise, perché migliaia di bambine e bambini non assistano più ogni giorno alla violenza domestica, abbiamo bisogno di un approccio integrato che faccia tesoro di trent’anni di esperienza sul campo e promuova una sinergia fra tutte le forze e le competenze già all’opera. E del denaro necessario per realizzare tutto questo.
Oltre alle Associazioni saranno presenti attiviste e parlamentari.
AGGIORNAMENTO ORE 15 DEL 17 DICEMBRE: alcuni firmatari dell’emendamento Giuliani sarebbero intenzionati a fare marcia indietro, avendo compreso di aver sottoscritto una proposta sbagliata.