Ebbene siamo state qui a combattere con clienti di prostitute che si facevano forti della proposta di Amnesty International di legalizzare la prostituzione in nome dei diritti umani–sulla legalizzazione questo blog ha già prodotto molto materiale: vedi qui, e qui, e qui-. La proposta di Amnesty ha sconcertato anche molte e molti fra noi, convinte/i che la legalizzazione e la teoria del libero sex working siano inutili e anzi dannose nella lotta contro la tratta e lo sfruttamento.
In effetti da Amnesty non ce lo aspettavamo. Poi leggi questo articolo del britannico “The Guardian”, e improvvisamente i conti tornano.
In sostanza: la vice-presidente del Global Network of Sex Work Projects, Alejandra Gil, ascoltatissima da Amnesty come esperta e con ruoli di opinion leading anche presso organismi delle Nazioni Unite, è una sfruttatrice, condannata a 15 anni di carcere per tratta a seguito della denuncia di una vittima.
Come scrive “The Guardian” (qui nella traduzione di Resistenza Femminista) “Gil faceva parte di una rete di sfruttamento che coinvolgeva circa 200 donne. Conosciuta come la Madam di Sullivan era una delle più potenti sfruttatrici di Sullivan Street, area di Città del Messico famosa per la prostituzione. Gil e suo figlio facevano parte di una rete di trafficanti nello stato di Tiaxcala, luogo conosciuto in Messico come l’epicentro della tratta. Madai, una ragazza di 24 anni che è stata trafficata a Città del Messico, è una delle persone che ha fornito le prove contro Gil. Parlando con un giornalista in Messico ha dichiarato: “il lavoro di Gil era di controllarci dalla macchina. Suo figlio ci portava negli hotel e ci prendeva i soldi. Lei teneva i conti. Aveva una lista dove prendeva nota di tutto. Scriveva perfino quanto tempo impiegavamo”.
Oltre ai suoi impegni di sfruttatrice, Alejandra Gil era presidente di Aproase,una NGO che diceva di sostenere i diritti delle persone in prostituzione, ma che in pratica funzionava da copertura utlile per le sue operazioni di sfruttamento. E fino all’arresto Madam di Sullivan era vicepresidente di un’ organizzazione che si chiama Global Network of Sex Work Projects. Nel 2009 la Gil è stata anche eletta co-presidente del “Comitato Consultivo su HIV e Sex Work“ di UNAIDS. UNAIDS è l’associazione internazionale responsabile del contrasto su scala globale alla diffusione del virus HIV. Alejandra Gil è anche personalmente riconosciuta, in un report sul mercato del sesso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità -WHO, 2012- come una degli “esperti” che hanno dedicato il loro “tempo e competenza” per sviluppare le loro raccomandazioni. Amnesty International fa riferimento, nella sua proposta sul sex work, al NSWP e al comitato consultivo che ha diretto. La politica di Amnesty fa riferimento a “organizzazioni per i diritti umani” che appoggiano la loro proposta: “e in modo particolare“, scrivono, a “un vasto numero di organizzazioni e reti per i diritti dei/delle sex workers, incluso il Global Network of Sex Work Projects, che sostengono la depenalizzazione del sex work”.
Come è potuto accadere tutto questo? Come ha potuto una sfruttatrice finire a essere seconda al comando di un’associazione globale che ufficialmente ha il ruolo di consulente per le agenzie delle Nazioni Unite sulle politiche da adottare in tema di prostituzione, e che è citata da Amnesty International nel suo documento sul sex work?
NSWP ha organizzato una campagna per la depenalizzazione delle “parti terze” nella prostituzione. Di questi fanno parte, secondo le loro dichiarazioni, “i managers, i proprietari di bordello e qualsiasi persona considerata un/a favoreggiatore/trice del sex work”. L’organizzazione insiste nel dire che “i sex workers possono essere lavoratori/lavoratrici o imprenditori o partecipare in una gamma di altri lavori collegati al sex work”. Secondo la politica del NSWP la sfruttatrice Alejandra Gil era una “sex worker” il cui ruolo nel mercato del sesso era la “manager”. L’organizzazione fa pressione politica perché lo sfruttamento e la gestione dei bordelli sia considerata un lavoro legittimo. Per ricoprire il suo ruolo come Vice Presidente del NWSP, Gil non aveva nessun bisogno di nascondere i suoi interessi come pappona, aveva un mandato per perseguirli. Questi interessi sono stati perseguiti con grande successo grazie a una delle organizzazioni per i diritti umani più famose al mondo.
Quello che è successo nel 2007 è fondamentale per capire in che modo il gruppo è riuscito ad imporsi. Una versione rivista della nota guida di UNAIDS fu pubblicata, questa volta contenente l’appendice preparata dal comitato informativo del gruppo. Questa raccomandava che “gli Stati abbandonassero le politiche di criminalizzazione del sex work e delle attività associate ad esso. La depenalizzazione del sex work dovrebbe comprendere la rimozione di quelle leggi penali contro la vendita e l’acquisto di sesso, della gestione dei sex workers e dei bordelli e delle altre attività legate al sex work”. Quel report è diventato adesso un riferimento fondamentale per i gruppi che fanno pressione sui governi per rendere legale lo sfruttamento e la gestione dei bordelli. È il modello legale sostenuto dal NSWP – la totale depenalizzazione del mercato del sesso- che la Direzione di Amnesty International ha votato ad agosto. Amnesty sostiene che la sua linea politica è stata il risultato di due anni di ricerche e che si tratta della soluzione migliore per la protezione dei diritti umani di quelle persone che alcuni uomini comprano per il sesso. Amnesty International sostiene la depenalizzazione di una forma di violenza contro le donne, consentendo agli Stati di diventare papponi, rendendo i bordelli leciti e tassando le donne che sono sfruttate là dentro.
Esohe Agathise, Consulente sulla tratta a scopo sessuale di Equality Now, ha detto “È sconvolgente come una persona condannata per tratta a scopo sessuale possa influenzare una politica che, in se stessa, è incompatibile con i diritti umani e la legge internazionale. Abbiamo bisogno di fermare la domanda che alimenta la tratta piuttosto che depenalizzare quelli che lucrano sullo sfruttamento degli altri. Le agenzie delle Nazioni Unite devono immediatamente chiarire la loro posizione sul mercato del sesso, in particolare alla luce di queste nuove prove schiaccianti”.
Senza dubbio, le persone che sono pagate per il sesso dovrebbero essere completamente depenalizzate. Ma non quelli che le sfruttano sessualmente: i papponi, i proprietari di bordello e i compratori. Questi sono criminali e non imprenditori o consumatori. Mia de Faoite, sopravvissuta alla prostituzione, ha detto: “Ho lasciato la prostituzione completamente distrutta come essere umano e non riesco minimamente a immaginare come un tale livello di violenza possa essere sancito e considerato “lavoro””.
La condannata per tratta a scopo sessuale Alejandra Gil e il suo gruppo sono stati così strettamente coinvolti nella costruzione della politica delle agenzie delle Nazioni Unite sulla prostituzione, da autorizzare a parlare di uno scandalo nel campo dei diritti umani. Chiaramente UNAIDS deve urgentemente condurre un’inchiesta trasparente e approfondita su tutte le politiche che sono state condotte dal NSWP e fare indagini su come tutto questo sia potuto accadere. Per quanto riguarda Amnesty International, sarebbe orribile vedere l’organizzazione perseverare nel suo appello per la depenalizzazione totale del mercato del sesso. Non c’è bisogno di una condanna per tratta di chi rappresenta il principale gruppo sostenitore della sua linea politica per capire chi è che in realtà trae i maggiori vantaggi, quando lo Stato legalizza la gestione dei bordelli e lo sfruttamento”.
Ma sulla proposta di Amnesty c’è di più. Non solo una sfruttatrice ha avuto molta influenza sulla sua risoluzione, ma uno sfruttatore ha redatto la bozza originale del documento. Ne dà notizia Resistenza Femminista. Si tratta di Douglas Fox, fondatore e partner commerciale della Christony Companions, una delle più grandi agenzie di escort della Gran Bretagna, un pappone che ha scritto il documento per sostenere la depenalizzazione di persone come lui, proprietari di bordelli, sfruttatori. Lui stesso ha rivendicato di aver scritto questo documento in un’intervista rilasciata a “The Guardian”. Douglas Fox si considera un “sex worker” nonostante non si sia mai prostituito. Nell’intervista afferma: “I think anyone who makes money from selling sex is a sex worker” (“Io credo che chiunque faccia soldi con la vendita di sesso sia un sex worker”). Fox afferma che “quelli che voi (femministe) chiamate papponi noi li chiamiamo managers” (“what you call pimps we call managers”).
Ecco la trascrizione di un confronto presso la Commissione Giustizia dell’Irlanda del Nord del 30 gennaio 2014 nel quale una rappresentante di Amnesty ammette che Fox faceva parte del gruppo di New Castle che nel 2008 ha proposto la prima versione del documento sul sex work, e che quindi Fox fosse al centro dell’iniziativa.
Che Amnesty ripensi seriamente alla sua proposta.
Noi ne siamo convinte da tempo: dove si parla di legalizzare la prostituzione e lo sfruttamento sessuale c’è sempre odore di business, e le lobby si muovono potentemente.