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uomini e donne

TEMPI MODERNI, tv Luglio 16, 2010

VAI DANIELONA

daniela ranaldi, a sinistra

daniela ranaldi, a sinistra

Come senz’altro avrete letto, Daniela Ranaldi, 55 anni, signora del pubblico della trasmissione televisiva di Maria De Filippi Uomini e Donne (c.d. opinionista), tra quelle che più spesso fa strillando la morale a tronisti (oh, my God) e corteggiatori (tipo: “Vi state litigando un uomo per soldi, vi dovete vergognare!”) è stata arrestata a Roma per detenzione e spaccio di droga. Rimessa in libertà in quanto incensurata, attende il processo per direttissima. “Così mi rovinate” avrebbe dichiarato alla polizia, secondo la ricostruzione del settimanale Visto. “Lo so ho sbagliato. Ho fatto un errore, ma io faccio parte di Uomini e donne“.

A voler essere precisi, forse è lei a rovinare gli altri se è vero che gli vende droga. Ma quello che colpisce è l’orgogliosa dichiarazione delle sue credenziali: faccio parte di Uomini e donne. Esistono l’immunità e il legittimo impedimento anche per il pubblico televisivo?

Quando uno va in tv ritiene di aver conquistato il diritto ad andarci per sempre, oltre che di essere entrato a far parte di una sorta di super-cittadinanza non perseguibile. Un po’ come quando si va in Parlamento. Forse a Danielona, casalinga di Trastevere, non sarebbe neanche venuta in mente la droga, se un bel giorno al casting non l’avessero selezionata.

tv Maggio 28, 2010

PARLIAMONE SERIAMENTE

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Questi sì che sono problemi seri. Samuele Nardi, l’unico tronista rimasto dopo la cacciata di Samuele Mecucci, rappresentanza del Trono del sesso forte della trasmissione Uomini e Donne di Maria De Filippi, ha fatto la sua scelta ma non è riuscito ad avere il suo lieto fine. Samuele ha scelto Teresanna e lei ha risposto di no. Nella puntata precedente,aveva preannunciato di sentirsi pronto alla scelta, il tronista era desideroso di un rapporto serio e duraturo.

Samuele voleva trovare la donna della sua vita, e si era affidato a Maria de Filippi. Ma per il tronista non ci sono stati fiori palloncini coriandoli e applausi e lacrime del pubblico in studio. La scelta di Samuele Nardi si è conclusa con un NO. Teresanna, perché l’hai fatto?

Donne e Uomini, Politica Febbraio 18, 2010

DONNE DI LOTTA E DI GOVERNO

mara carfagna, ministra per le pari opportunità

mara carfagna, ministra per le pari opportunità


Confidavo proprio qualche giorno fa alle amiche di Via Dogana che ho un’amica di destra, ma proprio di destra-destra: Legionari di Cristo, Dio-patria-famiglia con il Cavaliere in appendice, che lei chiama sensualmente e sicilianamente “il Dottore”. E volendo questa sarebbe già una notizia, nel mondo di noialtre guelfe e ghibelline. Perché io proprio la amo.
Ma la notizia vera è che con lei, casalinga di lusso –già ricca di suo e piuttosto ben maritata- io riesco a esibirmi nelle mie ambizioni più smodate e maniacali. Il fatto è che lei produce su di me un effetto di sfrenamento, di disinibizione, di slatentizzazione dei desideri (politici, s’intende, e professionali) come nessuna e nessuno mai prima.
In altre parole, mi autorizza. E poi subito mi carica, mi gasa, fa piani, costruisce sapienti e mafiose strategie di pr, e mi tocca fermarla, terrorizzata: no, guarda che era tanto per dire, io sto bene così. Ma intanto la osservo, come un bizzarro animale, e provo a capire. Perché a me, autorizzata dal padre a mettere un piede nel mondo –e giammai dalla madre autosessista-, pare di avere già ottenuto così tanto. E lei che invece scuote la testa: “Marinetta, con tutto quello che hai studiato… Proprio non sai fare”.

A me mi ha rovinato la sinistra, diciamo la verità. E a proposito di studi: in quarta ginnasio indimenticabili libri di lettura come “Il Manifesto del Partito Comunista” e “La Persia di Mossadeq”. All’Università Statale di Milano, facoltà di filosofia, come a Tirana: ogni tanto fantastico di fargli causa. Schopenhauer neanche di striscio. Tutto Marx, Engels, Lenin, Rosa Luxemburg, Toni Negri, il rinnegato Kautsky, la scuola di Budapest (ho visto che ora Agnes Heller scrive cose tipo “La bellezza della persona buona”. La rispetto e le sono grata, ma vorrei ammazzarla).
Qualche volta ce lo diciamo con mio marito, che nel Pleistocene ha lavorato all’Unità e manco gli hanno versato i bollini, ci mancherebbe. Sicché povero compagno gli toccherà ammazzarsi di fatica per un’altra ventina d’anni. “Ma a noi chi ce l’ha fatto fare? Ci avessimo guadagnato qualche cosa…”. Perché il guadagno dall’altra parte è ferocemente lampante. Tra l’altro io non ero neanche malaccio, e se questa cosa delle gnocche in lista fosse entrata in vigore prima…

Non mi piace il fatto che essere gnocche costituisca un titolo preferenziale per essere cooptata dagli uomini che comandano la politica. Ci vedo dentro sprezzo e illibertà. Ancora meno apprezzo che una sia ancora più titolata se è passata dal letto del leader o di qualcuno dei suoi scherani raccattabriciole, sistema di cooptazione ancora molto in uso in politica, nello showbitz e nelle professioni, compresa la mia. Lo sappiamo tutti, potremmo fare nomi e snocciolare curricula: quella ha cominciato con Tizio, poi è passata a darla a Caio. Abbracci mortali da cui non ti sciogli più, condannata a essere devota non tanto a quel singolo benefattore, quanto al Fallo che ti sei piegata -diciamo così- a onorare, e il cui potere hai corroborato. E destinata prima o poi a essere rimpiazzata con una “mucca nuova”. Chi di gnocca ferisce, di gnocca perisce. La casistica è ampia, e le cose vanno sempre così.

Il che non significa che io sottovaluti il potere della bellezza, che non può essere ridotta a banale fatto mediatico. La bellezza è in sé un medium potentissimo con cui non è il caso di scherzare. Diffido delle donne che non la onorano, che voltano le spalle alla potenza di Afrodite indebolendosi nella violenta sconnessione, irretite da una retorica della bruttezza che ha avuto la sua ragione d’essere nella fase aurorale della rivoluzione delle donne: liberarsi dallo sguardo maschile come misura unica della propria legittimità a esistere. Ma che poi si è malamente evoluta nella perversa equazione: “bruttina e senza tacchi = brava, seria, intelligente e perbene”, solo un altro modo per dare importanza a quello sguardo e adeguarvisi.
Dice la psicoanalista junghiana Ginette Paris che se “la bambola di lusso cerca di piacere, alla donna afroditica si cerca di piacere perché esercita un grande fascino”. Se ci pensate c’è una bella differenza.

Ma torniamo a terra. E al fatto che, con un certo stupore, e al di là dei mezzi più o meno condivisibili con cui si sono affermate, ho visto circolare nel centrodestra più libere e sfrenate ambizioni femminili di quante ne abbia osservate a sinistra. Libere nel senso di giocate interamente e spregiudicatamente per sé. Sebbene talora dovendo passare nell’amaro letto di Procuste –e non solo nel suo- e giocare il gioco sporco della seduzione. Oltre al rischio di essere a scadenza -consumare preferibilmente entro e non oltre-, il ricorso alla seduzione finisce per rinnovare le ragioni del puro arbitrio maschile, che include o esclude le donne secondo il suo capriccio, e condanna le altre a percorrere la stessa libidinosa strada, ad libitum.
Ma vorrei concentrarmi su questa cosa innegabile che libere ambizioni femminili si sono espresse e hanno avuto campo nel centrodestra. Che un’oscura avvocatina miope di Leno si è autorizzata a progettare per sé una carriera politica di tutto rilievo –io non me la sarei nemmeno sognata-, dandosi orizzonti grandi, e questo a prescindere dal giudizio che si può dare del suo successivo operato di ministra.
A sinistra ci sono state e ci sono tante brave, bravissime, preparatissime e meritevoli, e magari pure belle, e magari anche taccate, che però tanta spregiudicatezza non l’hanno mai mostrata, salvo eccezioni come Rosi Bindi. Che non hanno mai desiderato e giocato davvero per sé, che hanno sempre atteso nell’ombra il placet del loro capocorrente, che non hanno mai rotto il patto di fedeltà, che hanno sempre privilegiato il gioco di squadra: ma la squadra era e resta maschile.
Forse, a ben guardare, anche nella vecchia destra le cose andavano in questo modo, o anche peggio. La novità è stata probabilmente la scesa in campo del “Dottore” e con lui l’irruzione nella politica, con tutto il bene e tutto il male, del mercato, delle sue logiche. E delle sue ragazze. Giovani donne ambiziose nate e cresciute nel libero mercato, non nelle scuole della politica, salvo frettolosi corsi dell’ultim’ora. E il mercato è più accogliente della politica, per noi donne. Nessun dubbio. Date un’occhiata alle cifre impressionanti della womenomics e mi saprete dire.

(pubblicato su Il Foglio il 6 febbraio 2010)

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Dicembre 23, 2009

IL PATRIARCA E LE FEMMINISTE

Madonna_del_parto_piero_della_Francesca

Potrebbe sembrare irriverente chiedere a un Patriarca se è vero, come dicono le femministe, che il patriarcato è morto. Ma Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è uomo di un certo humour. “E’ con un patriarca che sta parlando” puntualizza. “Ma se per patriarcato intendiamo il sistema di dominio degli uomini sulle donne, direi di sì, che è finito, almeno nelle sue espressioni più clamorose e triviali. Ed è iniziato lo smarrimento maschile”.
Porporato tra i più vicini a Ratzinger e Wojtyla, indicato nel 2005 nella rosa dei papabili, oltre all’Università Lateranense ha guidato l’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Ha sempre avuto a cuore le questioni dei rapporti tra i sessi, del “caso serio” dell’amore, come l’ha felicemente chiamato in un suo saggio, della posizione della donna nel mondo. E nella circostanza del Natale ne parla volentieri, tenendo al centro Maria, la donna di Nazareth, la cui avventura straordinaria, dice, è un paradigma per le donne e per tutti: “Maria, la donna. I misteri della sua vita”, edizioni Cantagalli è il titolo del suo ultimo libro. Il Cardinale ha anche un blog: www.angeloscola.it.
La coppia che il Patriarca ha visto più da vicino è stata quella che l’ha messo al mondo. Due giovani poveri come Renzo e Lucia, in quelle stesse terre lambite dal lago a Malgrate, di fronte a Pescarenico. Socialista massimalista con la terza elementare suo padre, nato contadino e poi camionista; la mamma operaia in filanda e poi guantaia, poca scuola anche lei ma una fervida fede. 55 anni insieme, e felici.

“… Realisticamente felici” tempera il Patriarca “come potevano esserlo un uomo e una donna nati all’inizio del secolo scorso. Si volevano bene come si usava allora, un bene radicato nei fatti, poco ostentato: io stesso non ho avuto molti baci. E crescendo ho saputo vedere anche i momenti di incomprensione, di dialettica. Eppure hanno passato insieme più di mezzo secolo”.

Crede che oggi dell’amore abbiamo un’idea non realistica?

“Direi surrealista, perché se ne sottovaluta la complessità e ci si arena alla prima difficoltà. E nello stesso tempo iperrealista: ogni particolare è esplorato fino all’esasperazione, e spesso si scambia la parte per il tutto. Ma creda: non sto piangendo sulle miserie del presente. Non sono un laudator temporis acti, non amo la querulomania dominante. Mi pare anzi che viviamo un tempo affascinante, di transizione, di scoperta. Di travaglio verso il nuovo, che non necessariamente è l’inedito”.

E di grande disillusione. Gli uomini sfibrati da domande femminili che non capiscono, rintanati in un regressivo tra-maschi, spesso anche sessualmente parlando. Le ragazze che tagliano corto fantasticando il fai-da-te procreativo: mamma e figlio intrappolati in un ossessivo pas de deux, senza nessuno che arrivi a disturbarlo…

“Che le donne si sottraessero a un’oppressione millenaria è stato giusto. Ma il prezzo ingiusto è stata la perdita della loro identità profonda. Quel talento che Giovanni Paolo II chiamava genio femminile: il fatto di saper tenere il posto dell’“altro”. Che non è un posto di seconda fila, attenzione. Tenere il posto dell’altro vuol dire essere il segnavia di quell’Altro per eccellenza che è Dio. Un compito grandioso”.

Nel posto dell’“altro” non si vuole più sedere nessuno: tutti vogliamo essere quell’“uno” accomodato nel bel mezzo del mondo, omologato al modello maschile. Le ragazze vogliono avere “le palle”, come se di gente con le palle non ce ne fosse già abbastanza.

“Ma se ci stanno a cuore il destino e la vita buona delle donne e degli uomini, tutti dobbiamo tutti prendere coscienza del femminile”.

E si può essere uomini e padri, fuori dal patriarcato? Questa, oggi, è la “questione maschile”: crollato il pilastro del dominio, su che cosa ci si regge?

“Si può, a patto di non cercare di abolire la differenza, che è una dimensione non esteriore ma interna all’io, in grado di rivelarlo davvero. Ed è dinamica, perché indica la capacità di spostarsi da un’altra parte. Quando la donna e l’uomo sono una di fronte all’altro fanno esperienza di un modo differente di essere persona. E sono chiamati a spostarsi dal proprio baricentro. La differenza sessuale tiene il posto del terzo. Il posto del figlio…”.

Questo è Lacan.

“Così si spiega l’amore, che non può essere ridotto al trasporto affettivo. Deve arrivare effettivamente all’amato, è chiamato a diventare oggettivo. Amare è volere il bene dell’altro. E un bene che libera, non che lega.

Un amore così chiede un lavoro.

“Be’, non è certo cosa da una sera a cena. L’innamoramento è ambivalente. Poi si tratta di scegliere. Anche il discorso sulla paternità sta qui dentro. Oggi l’uomo può ancora essere padre, ma va anche detto che la paternità è l’amore più difficile. Tanti mi dicono: anziché eminenza, possiamo chiamarla padre? Certo, dico io. Ma non credano di liberarmi da un peso. Padre è ben più impegnativo. Ne sento tutta la fatica, sono come un infante che balbetta. Credo che la vera questione tra uomini e donne sia questa: la madre deve saper condurre il figlio al padre. Deve saper fare questo dono a entrambi. Il figlio deve prendere coscienza del fatto che accanto alla madre c’è un altro, e fargli spazio”.

Fare i conti con l’Edipo.

“Per non usare la parola truculenta di Freud, “castrazione”, direi che il rapporto con il padre è il luogo del sacrificio. E’ il principio che struttura il desiderio, ma a condizione di una rinuncia”.

Parlando della coppia, ho visto che lei usa una parola che è anche di Luce Irigaray, maestra del pensiero della differenza: “ammirazione”. Nel senso di sapersi fermare ad ammirare la differenza dell’altro, di non cercare di ridurlo a sé, lasciando uno spazio. Parlare come una femminista la imbarazza?

“Tutt’altro. Mi ha molto colpito il modo in cui pensiero della differenza affronta la questione. La mia riflessione muove da un punto di partenza molto simile”.

Sono state invece le femministe a essere colpite quando nel 2004 l’allora cardinale Ratzinger pubblicò la “Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna”. Quest’uomo almeno si sporge ad ascoltare, si dissero in tante, mentre la politica resta brutalmente sorda. La donna era definita “capace dell’altro”, e il dominio maschile una “perversione” del disegno di Dio; c’era un’idea molto ardita di libertà femminile, e una chiamata nelle stanze dei bottoni: come donne, però, non nei modi degli uomini, o tanto vale che ci stiano loro. Ma a questo omaggio cavalleresco non è seguito granché…

Gesù le donne le ha scandalosamente ascoltate. E l’attenzione del Santo Padre non manca. Se vi è un problema, a questo proposito, nella Chiesa, è lo stesso che esiste nella politica e nella società: e cioè il fatto che la questione del femminile non è pensata fino in fondo”.

Forse perché è un impensato che potrebbe rompere molti assetti. Peccato, perché oggi le donne sono affaticate, cercano l’aiuto dello Spirito Santo e finiscono per trovarlo nel buddismo, nel rebirthing… Nella nostra fede avremmo tutto quello che serve, ma c’è come un difetto di intimità, quando invece le donne, penso per esempio alle mistiche, hanno sempre avuto tanta confidenza con Dio. L’hanno sempre trattato come un parente, accudito come un figlio, o un amante.

“Maria è la prima a trattare Dio come familiare. E dice sì all’Angelo solo dopo aver interloquito criticamente con lui. Non è certo una sprovveduta. Se milioni e milioni di persone visitano ogni anno i santuari mariani è perché in quella ragazza trovano una via”.

Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio, dice che la nostra neurofisiologia dimostra che l’individuo è un’astrazione. Che siamo sociali fin nella carne. E invece abbiamo questa passione per la singletudine. L’Occidente, qualcuno ha detto, è il terzo mondo delle relazioni.

“Il soggetto nasce con la modernità. Prima l’uomo rischiava di essere pensato come cosa tra le cose. Da allora i due piatti, la società e il singolo, sono in squilibrio costante tra un’esaltazione del collettivo a scapito dell’individuo, come nelle utopie violente del Novecento, e il culto della singolarità che vediamo oggi. La terza via è quella di costruire comunità virtuose. Perché l’io è relazionale fin dal concepimento. E’ il distacco da sé, non la solitudine, che lo potenzia. La grande risorsa dell’amore è questa”.

(pubblicato sul Corriere della Sera il 23 dicembre 2009).

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