“Non vediamo l’ora di trovare una scusa per riproporre i soliti pregiudizi e luoghi comuni sull’Italia e gli italiani” ha ammesso una volta sul Corriere Bill Emmott, già direttore del settimanale britannico Economist. “Ci godiamo non poco la tragica saga di Napoli e della sua spazzatura… Gongoliamo addirittura se si tratta di menzionare la mafia e il Vaticano (per motivi diversi, mi precipito a specificare). Siamo affascinati dalla possibilità che sotto il luccichio della vita politica italiana si nasconda qualche tremendo intrigo”.
Di “scuse”, come dice Emmott, negli ultimi mesi ne abbiamo offerte in abbondanza. Pagine e pagine sul nostro paese e su chi lo governa: “il buffone d’Europa” (copertina di quei simpaticoni di L’Express). Non diversamente dal solito, in realtà –salvo che quando si parla di pizza, dolcevita e marechiaro-, titoli improntati al sarcasmo, al dileggio, allo sprezzo, alla liquidazione di un intero popolo, il nostro, come civilmente immaturo, inaffidabile, irresponsabile, incomprensibile, incapace di meritarsi tutta la grazia e la bellezza che gli è toccata in sorte, e che a dire il vero lascia stupefatti anche noi.
Il punto è qui, a me pare: perché anche chi, fra noi italiani under attack, sia dell’opinione che tutto questo dileggio ce lo meritiamo, non può non constatare un accanimento un po’ sospetto. E lo sprezzo, secondo una ben nota legge psicologica, non è che l’altra faccia del desiderio. Lo dice anche il proverbio. Forse basta la parola “Italia” a fare audience.
Così, mentre leggo sulla stampa estera quello che siamo –ce n’è nello specifico anche per noi donne, che non lottiamo per i nostri diritti, che ci massacriamo di lavori domestici, che subiamo di tutto dai nostri maschi-bambini- non posso non notare quel tedesco che ogni sera fa il suo barbecue nel carrugio del “mio” paesello ligure, quella che ci piazza nel mezzo il suo stendino pieno di mutande, quell’altra che strilla come un’aquila invadendo con arroganza lo spazio altrui, quello che ascolta le Valchirie alle tre di notte. Coloni prepotenti e incuranti di noi selvaggi, che qui si liberano del loro violento e supponente super-Io. Non posso non pensare che tutto questo non sia altro che invidia per tutte le meraviglie che noi abbiamo, e loro no, dannazione. Bene: che rosichino.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 19 settembre 2009)