Il 23 giugno di 15 anni fa il mio papà se n’è andato. Certe volte lo sogno, sogno che vive solo, un po’ sciupato, come lo sono gli uomini soli, da qualche parte del mondo. Io lo incontro e provo molta pena per lui: come farà a stare senza di me, senza di noi? E chi ha voluto allontanarlo dalla nostra vita? Gli dico: “Ma dove sei, papà? Come te la passi, tutto solo?”. E spero perfino che trovi qualcuno, una donna, che gli possa fare un po’ di compagnia.

Da 15 anni non sono più la bambina di nessuno, niente mi sarà più perdonato incondizionatamente. Domani andrò al cimitero, comprerò rose rosse e bacerò e ribacerò quella foto di ceramica, un po’ sbiadita dal sole, dove lui ride perché era una creatura ridente, sentendomi sempre più bambina a ogni bacio. Gli parlerò, ci proverò: al momento giusto mi mancano sempre le parole. Di solito dico solo “Ciao, papà”, e mi sembra di dire l’essenziale, mi sembra che lui non pretenda altro da me. Almeno lui. Poi me ne andrò di lì, compiacendomi per la mia forza e il mio coraggio, ma chissà mai che per una volta non mi sia fatta la grazia di qualche lacrima, dolente tra i dolenti che mi vedono mormorare davanti a un loculo, e accostare la bocca a una lastra intiepidita dal sole, e mi lasciano fare, senza giudicare.

15 anni, già 15 anni, e tutta la luce della notte di San Giovanni, la stessa di allora. Lui si chiama Giovanni, e andarsene al colmo della luce gli avrà reso più agevole il cammino verso la Luce.