Rosaria Aprea, 20 anni, la milza spappolata dalle botte del compagno

 

“Io lo amo, e voglio tornare con lui“. Sta in un letto d’ospedale, le hanno asportato la milza spappolata dalle botte e dai calci del compagno, che ora è in carcere per tentato omicidio, ma Rosaria Aprea, ventenne casertana non ha dubbi: «Non voleva sicuramente farmi male» dice al Corriere del Mezzogiorno «Ci amiamo e non vedevamo l’ora di andare a vivere insieme con nostro figlio. Sto male al pensiero che sia rinchiuso in carcere. Vorrei poterlo incontrare perché sono certa che si è pentito. Vorrei potergli dire da vicino: mi manchi tanto, vorrei tornare a passare le nostre serate assieme sul divano della tavernetta». (la denuncia potrà anche ritirarla, ma non serve: per tentato omicidio la Procura procede d’ufficio).

Lo sconcertante “voltafaccia” di Rosaria mi fa tornare in mente la storia di quella settantenne milanese che aveva denunciato il marito per averla accoltellata, e qualche mese dopo aveva chiesto al Gip che concedesse all’uomo un permesso “per passare il Natale insieme”. O la protagonista del film “East is East”, inglese sposata con un pakistano manesco: dopo l’ennesima violenza contro la madre i figli si rivoltano contro il padre, ma lei difende il suo aguzzino.

I comportamenti di queste donne -della stragrande maggioranza delle donne abusate che non sporge denuncia, o di quelle che la denuncia la ritirano- non vanno giudicati, ma attentamente interrogati (va peraltro detto che se a Milano, e verosimilmente anche nel resto del Paese,  più di metà delle denunce per maltrattamenti o per stalking viene archiviata senza alcun atto d’indagine, spesso denunciare serve solo a esacerbare gli aguzzini).

Rosaria sta dicendo questo: non voglio una vita peggiore -il carcere- per lui; quello che voglio è una vita migliore per tutti noi. Voglio la tavernetta, e i giochi con il bambino. Quello che mi ha fatto è stata una violenza, ma lui NON E’ un violento.

C’è la speranza di poter salvare la relazione, di cacciare fuori dalla storia tutti quelli che sono intervenuti nel momento dell’emergenza e riprendere il filo interrotto dell’amore. C’è il desiderio di cancellare quello che è capitato, e di farcela da soli, lei e lui senza l’incomodo di terzi, a uscire dai guai (e invece senza un terzo non se ne esce). C’è l’ingenua caparbietà del sogno d’amore -la ragazza ha vent’anni-, e c’è un bambino, che soffrirebbe ad avere il padre in galera.

Queste donne sbagliano un sacco di cose, certo. Ma c’è in loro anche una tenacia nella ricerca delle mediazioni, il tentativo di non distruggere tutto, di farcela a uscirne insieme. C’è il non affidarsi del tutto alla “legge che fa chiagnere”, per dirla con Filumena, la nostra Antigone, la legge che taglia i bambini a metà, che mette in galera e che recide i fili. C’è una pazza ostinazione nel ricucire, nel rilanciare, nel credere che l’amore alla fine l’avrà vinta.

E questa non è tutta roba da buttare, insieme all’acqua sporca della violenza maschile.

Conversando con Vandana Shiva, le ho detto che il patriarca in declino è un animale morente. E lei mi ha risposto: “Un animale morente è sempre feroce. C’è solo un modo per fronteggiarlo: non-violenza, compassione. Diversamente saremo specchi che riflettono quella paura, quella violenza. E fermeremo il cambiamento”.