Io sono una, come tante e tanti, che sta aspettando di vedere:

1. se suo figlio riuscirà a trovare lavoro

2. che cosa ne sarà del suo proprio lavoro

3. che cosa ne sarà del lavoro di suo marito

4. come si evolveranno le situazioni economiche difficoltose di molti parenti e amici

Niente di eccezionale, beninteso. Sto raccontando una situazione assolutamente normale, anzi meglio del normale, e al momento non drammatica. Navighiamo tutti quanti a vista, correggendo la rotta ogni mezza giornata, impossibilitati alla lunga e alla media scadenza. E poi apprendi che il nostro Pil non crescerà nemmeno di quello striminzito 0.8 per cento previsto dal Def, che se nel 2014 registreremo un +0.3 sarà tanto, che in Europa cresciamo meno di tutti, che gli 80 euro in busta paga non hanno affatto dato una sferzata ai consumi ma sono serviti giusto a tappare un po’ di debiti personali o sono stati infilati nel salvadanaio perché non si sa mai.

E finché non c’è la guerra, come dice mia mamma, va tutto bene. Guardi gli orrori di Gaza, e capisci la fortuna che hai avuto a nascere 1500 km più a nord.

Questo mi consente, nonostante il mio engagement politico, di non sconnettermi dalla realtà-reale, e di sentirmi ben rappresentata da chi, come Piero Ignazi ieri su La Repubblica, osserva che “in assenza di indicatori positivi, di fatti reali… il governo indirizza la sua energia su altri fronti per evitare che l’insoddisfazione si impenni“. E ancora: “l’enfasi che il governo pone sulle riforme istituzionali è inversamente proporzionale sia all’interesse dell’opinione pubblica che agli effetti immediati sulla vita delle istituzioni e dei privati cittadini”.

La giornata campale di ieri, con la rivolta delle opposizioni alla “tagliola” imposta sul dibattito per la riforma del Senato, dice almeno un paio di cose:

1. che i tempi delle riforme costituzionali non possono essere dettati dall’urgenza di dimostrare che il governo “fa” anche se il Pil non si muove. Una riforma costituzionale non è un decreto omnibus né un treno ad alta velocità. La Carta va maneggiata con cautela, con tutto il tempo necessario a costruire il consenso più ampio. La riforma del bicameralismo perfetto piace a tutti, ma non ha affatto quelle caratteristiche di urgenza che le si vogliono attribuire. Quanto poi all’Italicum, perfino il renziano Giachetti conviene che, nel caso, si può anche tornare al voto con il Mattarellum

2. che le urgenze sono ben altre: la crescita, quella vera; i provvedimenti economici, quelli veri; la riforma del welfare: secondo l’Ue il settore dei servizi ha un potenziale di 7 milioni e mezzo di posti di lavoro, in Italia ancora tutto da esplorare; un piano per il risanamento del territorio: anche qui, un grande potenziale occupazionale. Ma mentre sulle riforme costituzionali si accelera, qui si decelera insensatamente, invertendo le priorità

3. che la stragrande maggioranza della popolazione guarda con speranza al punto 2, e comincia a mostrare insofferenza per il punto 1, e anche se la riforma del Senato si realizzasse entro l’8 agosto, se questa virile prova di forza andasse a buon fine, Matteo Renzi ne esagera il potenziale salvifico per il suo governo.

Si tratta di scambiare i binari: corriamo sulle riforme strutturali, rallentiamo su quelle istituzionali.