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Donne e Uomini, Politica Aprile 15, 2012

Che cos'è il "patto di genere"

Comincia a circolare e a diventare lingua corrente l’espressione “patto di genere”. Ieri al seminario nazionale di Se non ora quando sulla rappresentanza è risuonata molte volte. Si tratta però di capire bene di che cosa stiamo parlando, perché molte sono dubbiose: “Come faccio a stringere un patto di genere con la mia avversaria politica?”. Ebbene, il patto di genere è proprio ciò che consente di avere una nemica politica senza dispersione di energie.

Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro.

La cosa che fa più male a noi donne non è il conflitto politico, che è ovvio e necessario, ma il fatto che molte siano più fedeli agli uomini che al loro genere, e quindi a loro stesse. Che lavorino con le donne ma siano pronte a smobilitare rapidamente per rispondere al padre e compiacerlo. Questo è ciò che complica enormemente le nostre relazioni politiche, non il fatto che, poniamo, la si vede diversamente sulla legge 40 o sulla riforma del lavoro.

“Protette” dal legame con l’origine, potremo confliggere più agevolmente. Potremo convergere su alcune questioni, come capita facilmente in tema di violenza sessista o anche di salute, o sul valore politico della cura, e divergere su altre. I rapporti con la nemica non saranno più devastanti, perché la riconosceremo come possibile alleata in altre circostanze. Come dice Simone Weil, ci si potrebbe associare e dissociare “secondo il gioco naturale e mobile delle affinità…”, e questo sarebbe già uno straordinario cambiamento della politica, perché è certo che noi vogliamo andare lì per cambiarla.

Oggi c’è di sicuro un livello minimo che tiene insieme tutte le nostre differenze, un comune denominatore da cui partire per costruire un’agenda politica. Lo direi sinteticamente in due punti: riportare la vita al primo posto, ed essere lì a tenercela.

E’ di qui che si deve partire.

Donne e Uomini, Politica Aprile 15, 2012

Che cos’è il “patto di genere”

Comincia a circolare e a diventare lingua corrente l’espressione “patto di genere”. Ieri al seminario nazionale di Se non ora quando sulla rappresentanza è risuonata molte volte. Si tratta però di capire bene di che cosa stiamo parlando, perché molte sono dubbiose: “Come faccio a stringere un patto di genere con la mia avversaria politica?”. Ebbene, il patto di genere è proprio ciò che consente di avere una nemica politica senza dispersione di energie.

Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro.

La cosa che fa più male a noi donne non è il conflitto politico, che è ovvio e necessario, ma il fatto che molte siano più fedeli agli uomini che al loro genere, e quindi a loro stesse. Che lavorino con le donne ma siano pronte a smobilitare rapidamente per rispondere al padre e compiacerlo. Questo è ciò che complica enormemente le nostre relazioni politiche, non il fatto che, poniamo, la si vede diversamente sulla legge 40 o sulla riforma del lavoro.

“Protette” dal legame con l’origine, potremo confliggere più agevolmente. Potremo convergere su alcune questioni, come capita facilmente in tema di violenza sessista o anche di salute, o sul valore politico della cura, e divergere su altre. I rapporti con la nemica non saranno più devastanti, perché la riconosceremo come possibile alleata in altre circostanze. Come dice Simone Weil, ci si potrebbe associare e dissociare “secondo il gioco naturale e mobile delle affinità…”, e questo sarebbe già uno straordinario cambiamento della politica, perché è certo che noi vogliamo andare lì per cambiarla.

Oggi c’è di sicuro un livello minimo che tiene insieme tutte le nostre differenze, un comune denominatore da cui partire per costruire un’agenda politica. Lo direi sinteticamente in due punti: riportare la vita al primo posto, ed essere lì a tenercela.

E’ di qui che si deve partire.

Donne e Uomini, Politica Luglio 8, 2011

Se non ora, tra pochissimo

Si apre domattina a Siena la due giorni nazionale indetta da Se non ora quando “per cominciare a tracciare il nostro progetto e definire la nostra proposta politica dopo il 13 febbraio”.

Quella gigantesca piazza diffusa, probabilmente la più grande manifestazione mai vista nel Paese, in realtà ha già prodotto molto. Quello che è successo in maggio a Milano, Napoli, Cagliari e in altre città, e poi in giugno con i referendum, ha preso avvio in quella fredda domenica di febbraio e ha tratto di lì buona parte delle sue motivazioni.

Ma attenzione, lo dico alle amiche che si incontrano oggi a Siena –già visto a Milano-: per la politica degli uomini la tentazione di prescindere da quella piazza è molto forte. Come se la cosiddetta “svolta civica”, nutrita dalla pacifica rivolta delle donne, fosse una creatura ormai “svezzata” e avesse gambe per andare anche senza di loro.

Abituati alla gratuità del dono femminile, pochi penseranno di dover restituire facendo largo alle donne nei luoghi in cui si prendono decisioni per il bene pubblico. Per questo oggi è molto importante mostrare che l’onda femminile non è affatto rifluita, e che niente di politicamente rilevante potrà accadere a prescindere da loro. Che senza le donne non si farà più nulla.

Oggi e domani le amiche di Se non ora quando porranno a tema principalmente due questioni: il lavoro e l’immagine femminile nello spazio pubblico, tv eccetera. Ce ne sarebbe abbastanza per riempire le agende dei prossimi anni. Ma senza un’adeguata rappresentanza politica, la fatica di questo lavoro sarà immane. Lo dico anche se da sempre sono convinta che la politica vera, la politica prima, sia quella che si fa nella vita di ogni giorno, e a cui per esempio viene dato il nome diminutivo di volontariato, o quello “impolitico” di relazioni o di cura.

E’ vero che non bastano più donne nelle istituzioni rappresentative a garantire in automatico il doppio sguardo e la femminilizzazione della politica. Ma è vero anche che senza donne in quei luoghi il doppio sguardo non avrà alcuna possibilità.

A Milano abbiamo lottato per uno scardinante 50/50, e l’abbiamo ottenuto, non pensando certo che sia risolutivo. Ma in questo 50/50 c’è quanto meno una possibilità da far fruttare.

Fra poco o fra non molto, il tema si porrà anche a livello nazionale. Siena può essere un’ottima occasione per cominciare a farci un pensiero. Perciò buon lavoro, amiche!