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passato

esperienze Giugno 21, 2009

STARE QUI

Ci sono molti modi per classificare noi esseri umani. Uno dei tanti è questo: gli umani che vivono nel passato, e quelli protesi verso il futuro; quelli di oriente e quelli di occidente; quelli che ruminano i ricordi, abbarbicati all’irripetibile che è stato e incapaci di gioire di ciò che è, e quelli che si sentono vivi solo proiettando se stessi nel subito-dopo, costantemente dislocati in un maniacale “poi” dove tutto quello che oggi manca finalmente sarà.
Preferisco i secondi, a dire il vero, se non altro perché appartengo a questa categoria di inquieti cronici e fattivi, e li capisco meglio. Ho pena per loro e per me stessa perché so benissimo che le meraviglie del domani, salvo poche eccezioni, si depotenzieranno nelle carenze di un nuovo oggi, con nuova inutile fuga in avanti -o nel falso buon-presente del cibo, delle droghe e altro-.
Nella mia vita imparo sempre cose nuove, sono un’apprendista permanente e la considero una fortuna. Ma questa cosa no, non riesco proprio a impararla una volta per tutte, è difficilissima. A stare nel presente, intendo, anche se so che è l’unica possibile location del Regno dei cieli e di tutti i bei posti di questo tipo. Un presente schiuso al futuro e pieno di possibilità! Riesco a starci un po’, chissà perché, quando sono al sdraiata al sole, a patto che ci sia un po’ di brezza: lì ho questa bizzarra sensazione di un presente pieno. O quando la grande arte mi rapisce; quelle due-tre volte che sono stata innamorata; nell’armonia di buone relazioni umane; quando pratico un intenso lavoro fisico; con mezzo bicchiere –non di più- di buon vino; nella scrittura; o durante una buona lezione di yoga. Situazioni accomunate proprio dal poter stare saldi nel presente, sottratti al tempo, nel godimento estatico, in una fervida quiete.
Innamorati sempre non si può: ma tutto il resto –mezzo bicchiere di vino, arte, buone relazioni, scrittura, lavoro fisico: ora et labora– può essere praticato con regolarità.
La costanza di certe pratiche può insegnare come si fa a stare nel presente scovando sempre quel po’ di buono che c’è. Perfino in quei momenti in cui la vita ti fa proprio male, e allora avresti ragione a voler scappare via. Ma il più delle volte, sapete, non si può…

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 20 giugno 2009)

AMARE GLI ALTRI, Politica Giugno 6, 2009

L'ITALIA CHE VORREI

opera di giuliano tomaino

opera di giuliano tomaino

Oggi e domani si vota. Necessario silenzio pre-elettorale. Un’idea su come andranno le cose ce l’ho, ma la tengo per me. Saranno elezioni significative per il nostro paese, questo si può dire. E ci daranno un contributo per capire, lette in filigrana, da che parte stiamo andando.
Mi pare che sia uno di quei momenti climax, in cui si decide che strada imboccare e in quale mondo vivere. Uno di quei momenti in cui si tirano le somme e si gettano le fondamenta dei decenni successivi. C’è lotta, diciamo così, su tanti fronti, anche se è una lotta microfisica, interstiziale, più nel chiuso delle coscienze che all’aria delle piazze. E i fronti sono molti. Che cosa fare con i migranti, tra deregulation e utopie claustrofiliche. Che strada imboccare in materia di energia. E poi il destino della famiglia, sottoposta a doppio attacco: una fisiologica erosione, da un lato, in favore della solitudine, e dall’altro la costante disattenzione da parte dello stato. Il lavoro, soprattutto per i nostri figli: migranti a loro volta, più o meno qualificati, stavolta verso Est, e noi qui, vecchi bianchi tenuti a bada, in tutti i sensi, da una gioventù coloured che ha lasciato i suoi vecchi nel paese d’origine. E poi le donne, sempre più disilluse sugli uomini, e gli uomini, sempre più trascurati dalle donne, e in mezzo le bambine e i bambini, sempre più lontani dai padri, in un nuovo assetto post-edipico che solo la fantapsicologia può aiutarci a immaginare…
Io non vi dico chi voterò, né se lo farò. Ma posso dire, a grandi linee, in che genere di paese mi piacerebbe vivere. Un paese in cui l’individuo conti un po’ di meno, e le relazioni un po’ di più, e la nostra millenaria capacità dell’altro in tutte le sue declinazioni -le donne per gli uomini, gli uomini per le donne, i vecchi per i giovani e i giovani per i vecchi, i migranti, e così via- torni a essere una risorsa decisiva. Un paese organizzato intorno all’intelligenza della bellezza, che ci è data in origine e per dono, e che sappiamo, quando vogliamo, restituire al mondo: un nuovo fecondo kalos kai agathos, un bello che è anche buono e produttivo.
Penso che per andare avanti noi italiani dobbiamo voltarci indietro. Anche molto molto indietro.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 6 giugno 2009)