Di fronte alla pandemia da virus A (accidenti, deve essere un virus che conta, per averlo chiamato così) ho constatato fin qui grossomodo tre tipi di reazioni.

A) maggioritaria: è una cretinata, hai visto l’avaria e la sars? sono epidemie mediatiche, invenzioni delle case farmaceutiche, eccetera (oltre a essere tutti ct, siamo anche tutti virologi)

B) preoccupazione rassegnata e perplessa: sarà quel che sarà, che cosa ci possiamo fare? laviamoci le mani di continuo, io mi compro il motorino, o anche un monopattino a motore, così non vado più in metrò

C) panico ipocondriaco

Un dottore di cui mi fido mi dice questo: che probabilmente ce la beccheremo in tanti, e che come nel caso di comune influenza dovremmo in stragrande maggioranza riuscire a cavarcela con un po’ di paracetamolo, semmai qualche antibiotico, più raramente l’antivirale. Che il rischio vero sarà quello di avere mezza Italia ferma, tra influenza effettiva e impanicamento preventivo (il mio collega tossisce, sarà meglio che mi faccio venire un attacco di cervicale, e che Brunetta vada a quel paese). Che gli ospedali rischiano di andare in tilt.

Ma tutto sommato potrebbe essere anche la prova generale per una pandemia prossima ventura -magari fra tre-quattro anni- causata da un virus che oltre a essere molto contagioso sarà effettivamente molto cattivo, e farà piazza pulita di un bel po’ di esseri umani.

Il fatto è questo: che il pianeta è sovraffollato di creature tossiche (noi umani). Noi siamo il suo virus, lo stiamo maltrattando, e lui vuole guarire. Lo si può capire. Ma la prospettiva, antropocentricamente parlando, non è delle migliori. L’apocalisse, per farla breve. Niente male.