Ieri a Milano il femminicidio numero 56 (casi pressoché quotidiani, negli ultimi giorni).

I fatti, nella loro essenzialità: via Rizzoli, periferia nordest di Milano, un uomo di 65 anni, Umberto Passa, in cura per depressione, accoltella a morte la moglie Matilde di 63 e poi si pianta a sua volta il coltello nel cuore.

Un’agenzia così dava la notizia:

E’ stato un omicidio-suicidio la morte dei due coniugi milanesi trovati accoltellati dal figlio nella loro abitazione. La malattia, le operazioni al cuore e un forte stato depressivo: Umberto Passa, sarto in pensione, era entrato in un tunnel da cui non e’ piu’ stato in grado di uscire, se non uccidendo la moglie e poi togliendosi la vita. Litigavano spesso perche’lei, ex infermiera, voleva tornare in Puglia. Avevano preso casa, ma Umberto aveva paura di lasciare i medici che lo avevano operato“.

Qui non intendo parlare del caso, ma di questo testo, che è esemplare.

Il giornalista dell’agenzia parte da lui, dall’omicida-suicida, dei suoi problemi di salute, della sua depressione, della sua condizione di pensionato: scatta subito in chi legge e comprensibilmente -neuroni specchio- l’empatia, la compassione per un uomo sofferente.

Si spiega poi che l’uomo “era entrato in un tunnel da cui non e’ piu’ stato in grado di uscire, SE NON uccidendo la moglie e poi togliendosi la vita“. Dunque, SE NON l’avesse uccisa (e poi non si fosse suicidato) non sarebbe uscito dal tunnel. Quindi non aveva scelta: doveva farlo, se voleva uscire dal tunnel. Quindi se un uomo è depresso e malato, uccidere la moglie è una possibilità, anzi forse la principale possibilità, per uscire dal tunnel e smettere di soffrire. Altre possibilità di azione -cure mediche, relazioni terapeutiche o amicali, diverse scelte esistenziali, o anche, tragicamente, uccidere se stesso- forse non sarebbero state ugualmente efficaci.

(ripeto, qui sto parlando di questo testo, non della vicenda,  testo che ho risentito pari pari in un radiogiornale stamattina: per brevità e per sintesi, le notizie d’agenzia sono quelle che si prestano meglio per notiziari radio, tv e online).

Ultimo passaggio del testo: lei voleva tornare in Puglia, ma lui si opponeva perché “aveva paura di lasciare i medici che l’avevano operato“. Quindi: lei, nonostante la malattia, la depressione e la paura di lasciare i medici di lui voleva tornare in Puglia. Qui scatta -anche in me, lo riconosco- un sentimento uguale a contrario a quello che si è prodotto per lui: antipatia, riprovazione per il suo egoismo. Ma come: lui sta male, è sofferente, vuole stare vicino ai suoi medici, e tu te ne vuoi tornare in Puglia? E’ poi così strano che lui ti abbia piantato un coltello nella gola? Che cosa poteva fare, pover’uomo, SE NON ucciderti?

(leggo poi sui giornali stamattina che questa povera donna, ammazzata nel sonno, sperava di tornare a Francavilla perché lì vive la figlia in attesa del suo secondo figlio: voleva stare vicino alla figlia, darle una mano con i bambini, stare vicino alla nascita, alla vita, rilanciare con fiducia, probabilmente pensava che anche al marito avrebbe fatto bene avere i nipotini accanto).

Ripeto, è un’analisi del testo. Non sto giudicando quell’uomo, la cui sofferenza era certa, tanto quanto quella di lei. Non sono autorizzata a giudicare. Provo compassione per lui. Sto giudicando la trattazione mediatica di un caso che ha, come esito, di fare apparire come “vera” vittima l’omicida-suicida, e la donna come vittima secondaria, in qualche modo necessaria, certamente “forte”. E mi impedisce quello che è giusto, di provare compassione soprattutto per lei.

Così non va.