Due scene che mi hanno colpito, in questo rush finale sulla riforma del lavoro:

la piccola esitazione di Elsa Fornero in conferenza stampa, quando rispondendo a un giornalista le è toccato chiarire che le nuove norme sull’articolo 18 riguardavano tutti i lavoratori, e non soltanto i nuovi assunti come qualcuno poteva avere creduto; come se temesse una reazione, che invece non è arrivata.

Soprattutto, il singhiozzo trattenuto del Presidente Napolitano nel suo discorso alla gente di Vernazza, quando ha accennato alla sua propria “responsabilità”. La responsabilità è immane, non c’è dubbio. Ma quel cedimento mi ha fatto paura. Mi ha fatto pensare che nemmeno lui fosse del tutto certo che la strada intrapresa era quella giusta. Anche se poi oggi tutti i giornali riferiscono della sua instancabile attività di “moral suasion”.

Ieri sera la ministra Fornero ha assicurato che non saranno consentiti abusi. Che il nuovo art. 18 non significa dare alle aziende licenza di uccidere con licenziamenti in massa. Che saranno adottati strumenti in questo senso.

Quali? Qualcuno di voi riesce a immaginarli?  Quanto facilmente saranno aggirabili? Avete presente l’efficacia del lavoro di lobbying?

L’altra cosa è questa faccenda dei lavoratori statali. Fornero se ne lava le mani, con un certo sollievo. Ci penserà il ministro della funzione pubblica, dice. Ma che ai lavoratori del privato e quelli del pubblico tocchi un diverso destino è francamente inaccettabile, e forse facilmente aggirabile in quanto incostituzionale. Tanto più che, a proposito di investitori esteri, il nostro gigantismo burocratico, insieme alla pervasività della grande criminalità organizzata, altro che art. 18, scoraggerebbe un elefante. I conti non tornano. E però sì, tenere fuori gli statali ha i suoi vantaggi, significa fare fuori un grosso ostacolo sulla strada della riforma e spaccare il fronte del lavoro.

Intendo dire che, alla prova dei fatti, le performance del nostro magnificato governo tecnico sono molto meno infallibili di quanto ci fosse venuto comodo credere. Sono persone, possono sbagliare. Anche noi che non siamo professori e che non ce ne intendiamo, qualcosa che non torna lo intravediamo. Perfino la Chiesa è intervenuta in modo molto più duro di quanto ci sarebbe potuti aspettare.

Ogni tanto ho la sensazione che anche i professori dicano e facciano qualche cavolata. Mi capitava anche a scuola, ricordo. Non è una sensazione piacevole.

 

Aggiungo ultim’ora, dichiarazione di stamattina: «Non credo che stiamo per aprire le porte a una valanga di licenziamenti facili” ha detto il Presidente “sulla base della modifica dell’articolo 18, anche perché bisogna sapere a cosa si riferisce l’articolo 18»

Ecco, “non credo” -se ha detto proprio così- mi pare diverso da “vi assicuro”, vi garantisco”, “mi impegno”, “vi do la mia parola”.