Mi costringete sempre a parlare di politica, accidenti a voi. Ma vedo che la cosa vi appassiona molto, se sono contenta. Il fatto è che di politica si parla poco, mentre si parla veramente troppo di partiti. E tanta ottima politica corre fuori di lì.

Sempre per parlare di eccitanti novità in sintonia con lo spirito politico del tempo, qualche settimana fa sul New York Times ho letto una cosa sulla “generazione O“, e ci ho ritrovato qualche spiritello che si agita anche dalle nostre parti. E tutti questi spiriti insieme possono fare Storia (là, a quanto pare, hanno già cominciato a farla).

E allora, in sintesi: il pronome è personale è un larghissimo e includente “we”, non “I” né tantomento più “us versus them”, noi-contro-di-loro. Parlare-contro è vecchio e ritenuto inservibile. Tutto si fa in squadra, in team, in rete, e la politica è una cosa che riguarda tutti. Il modello è esattamente quello del socialnetworking, l’interlocuzione è paritaria, la collaborazione massima, tendente a includere un numero sempre più largo di soggetti secondo il metodo del passaparola, il dialogo fitto e trasparente, il feedback immediato: Mr President ti risponde subito, e si firma Barack. E i politici che non si adeguano (Levi, Levi, dammi retta…) si votano al suicidio. In questo mondo iperparitario barriere come il sesso o la razza e forse anche l’età non sembrano contare più. Se ne vedono di tutti i colori, e la bisessuazione del mondo appare acquisita. Jacketless atmosphere, dice il NYT, tutti confortevolmente in maniche di camicia, o anche in pigiama, come si sta quando chatti. “Sentirsi” dice una studentessa “come se si facesse parte di qualcosa di veramente grande”. Che poi è la Storia.

Vedete se vi ci ritrovate. Io sì. Tenere d’occhio questi criteri è un buon modo per distinguere la nuova politica dalla finta-nuova.